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Jarvis la esaminò con cura. Aveva un aspetto dispendioso ma non elaborato, emanante dignità piuttosto che eleganza. Si sentì meno scettico; gli annunci del bollettino talvolta promettevano più di quanto mantenessero; non poteva essere troppo prudente.

Si avvicinò alla locanda. L’entrata era una porta di legno massiccio con un vetro dipinto, dove il Vecchio Sole ridente scoccava un raggio dorato su una Terra verde e azzurra. La porta si aprì; Jarvis entrò e si chinò allo sportello.

«Sì, signore?» chiese l’impiegato.

«Il signor Belisario,» disse Jarvis.

L’impiegato esaminò Jarvis con un’espressione molto simile a quella del cameriere al Café. Con un’impercettibile alzata di spalle, disse: «Suite B, in fondo al corridoio.»

Jarvis attraversò l’atrio. Come avanzò nel corridoio udì aprirsi la porta d’ingresso; un uomo biondo, grande e grosso, vestito di pelle scamosciata verde, entrò nella locanda e si soffermò come Jarvis allo sportello. Jarvis proseguì per il corridoio. La porta della Suite B era socchiusa; Jarvis l’aprì ed entrò.

Si trovò in un’ampia stanza rivestita di pannelli scuri verde alga, arredata con semplicità: un tappetino di un colore bruno, sedie e divani lungo le pareti, un lampadario a bracci adorno di piccoli oggetti scintillanti, tanto elaborato che Jarvis sospettò un sistema di cellule spia. Fatto che in sé non significava nulla: in effetti poteva essere spiegato come una lodevole cautela.

Altri cinque stavano già aspettando: uomini di diversa età, taglia, colore. In comune avevano una sola caratteristica, un modo di guardare apparentemente da tutte le parti nello stesso momento. Jarvis prese posto e si appoggiò allo schienale; un attimo dopo entrò il biondo grande e grosso in pelle scamosciata verde. Girò lo sguardo per la stanza, fissò il lampadario e si sedette. Un uomo trasandato, con i capelli grigi, la pelle scura e rugosa, e un sorriso scaltro e sprezzante, disse: «Omar Gildig! Perché sei qui, Gildig?»

Gli occhi dell’uomo grande e grosso divennero vacui per un istante; poi rispose: «Per motivi simili ai tuoi, Tixon!».

Il vecchio tirò indietro la testa di scatto e sbatté le palpebre. «Mi confondi con qualcun altro; il mio nome è Pardee, Capitano Pardee.»

«Come dici tu, Capitano.»

Nella stanza si fece silenzio; poi Tixon, o Pardee, si diresse nervosamente dov’era seduto Gildig e gli parlò a bassa voce. Gildig annuì come un placido leone.

Entrarono altri uomini. Ognuno di loro girò lo sguardo per la stanza, fissò il lampadario e si sedette. Ormai la stanza ne. conteneva forse più di venti.

Ci furono altre conversazioni. Jarvis era vicino a un uomo basso e robusto, con una faccia rotonda da luna piena, una piccola pancia bulbosa, un piccolo naso a uncino e occhi scuri da gufo. Sembrava incline a parlare, e Jarvis fece i commenti che ritenne opportuni. «Una notte fredda, la notte scorsa, per chi di noi ha visto tramontare il sole rosso.»

Jarvis assentì.

«Questo pianeta porta fortuna a chi riesce a liberarsene,» continuò l’uomo dalla faccia rotonda. «Sono tre settimane che guardo il bollettino; se non mi metto con Belisario, ebbene, per il succo di Jonah, accetterò qualsiasi lavoro, basta che paghino un sacco di soldi.»

«Chi è questo Belisario?» chiese Jarvis.

L’uomo dalla faccia rotonda spalancò gli occhi. «Belisario? È conosciutissimo… è Belson!»

«Belson?» Jarvis non poté trattenere una nota di sorpresa; la contusione all’anca si mise a pulsargli dolorosamente. «Belson?»

L’uomo dalla faccia rotonda aveva voltato la testa, ma lo stava fissando oltre il dorso del piccolo naso a becco. «Belson è un vero viaggiatore, molto rispettato.»

«Così ho sentito dire,» disse Jarvis.

«Gira voce che abbia subito dei rovesci, uno in particolare due mesi fa, nelle paludi di Fenn.»

«E cosa dice la voce?» chiese Jarvis.

«Molte parole, pochi fatti,» replicò gentilmente l’uomo dalla faccia rotonda. «E hai mai riflettuto sulla concentrazione di talento in una stanza così piccola? Ci sei tu, e i miei umili talenti; Omar Gildig, muscoloso come un toro di Beshauer, con un cervello insidioso. Laggiù c’è il giovane Hancock McManus, un vero lavoratore, e là quello che si fa chiamare Lachesi, una metafora. E scommetto che in tutte le nostre tasche messe assieme non ci sono venti corone Juillard!»

«Certo non nelle mie,» ammise Jarvis.

«Questa è la nostra vita,» disse l’uomo dalla faccia rotonda. «Viviamo senza riserve, ogni minuto è un’entità da spremere al massimo; il denaro, le corone, i crediti, ci permettono di comprare grandi dolcezze, ma finiscono presto. Poi Belisario accenna a fini temerari, ed eccoci qua, come falene intorno a una fiamma!»

«Mi meraviglia,» meditò Jarvis.

«Cosa ti meraviglia?»

«Di certo Belisario ha dei luogotenenti fidati… quando ricerca dei viaggiatori tramite il bollettino agricolo, c’è sempre la possibilità che le Autorità vi prendano parte.»

«Forse non conoscono la convenzione, il codice.»

«È più probabile il contrario.»

L’uomo dalla faccia rotonda scosse la testa, sospirò. «Un agente temerario verrebbe alla Old Solar Inn, un tal giorno!»

«Ci sono uomini temerari.»

«Ma non verranno alle selezioni, e sai perché?»

«No, perché?»

«Supponi che lo facciano, supponi che intrappolino sei uomini, una dozzina.»

«Dodici in meno a cui tenere testa.»

«Ma la prossima volta che verrà indetta una selezione, i viaggiatori dimostreranno la loro identità con la Prova Suprema.»

«E cioè?» domandò Jarvis disinvolto, pur sapendolo benissimo.

L’uomo dalla faccia rotonda spiegò con entusiasmo: «Ogni individuo uccide alla presenza di un arbitro. Le Autorità non vogliono rischiare la riesumazione di simili prove; e così consentono ai viaggiatori di incontrarsi e adunarsi in pace.» Poi sbirciò Jarvis. «Questa non è certo un’informazione nuova.»

«Ne ho sentito parlare,» disse Jarvis.

«La cautela è ammirevole quando non viene portata all’eccesso,» disse l’uomo dalla faccia rotonda.

Jarvis rise, mostrando i denti lunghi e appuntiti. «Perché non usare una cautela eccessiva, quando non costa nulla?»

«Già, perché no?» assentì l’uomo dalla faccia rotonda, e non disse più una parola.

Pochi minuti più tardi la porta interna si aprì; un vecchio smilzo, gobbo come un uncinetto, in un completo nero attillato, giacca e pantaloni, si affacciò. Aveva gli occhi miti, la faccia lunga, cerea, malinconica; la voce era adeguatamente grave. «La vostra attenzione, se non vi dispiace.»

«Per Crokus,» borbottò l’uomo dalla faccia rotonda, «Belson ha assoldato dei becchini per condurre i suoi abboccamenti!»

Il vecchio in nero continuò a parlare. «Vi chiamerò uno alla volta, nell’ordine del vostro arrivo. Vi saranno proposte alcune prove, vi sottoporrete ad alcuni interrogatori… Chiunque ritenga la prospettiva troppo pericolosa può andarsene adesso.»

Attese. Nessuno si alzò per uscire, ma molti si scurirono in volto, e Omar Gildig disse: «Nessuno si risente per richieste ragionevoli. Se mi sembrerà che l’interrogatorio sia troppo inquisitorio, allora protesterò.»

Il vecchio annuì. «Molto bene, come desiderate. Avanti il primo, allora, tu, Paul Pulliam.»