Ci fu un altro scroscio di applausi. Adoui Shgawe si sporse in avanti e fissò mitemente l’assemblea. «E questo conclude il mio discorso. Risponderò alle domande della platea… Ah, Compagno Bouassede.»
Il Compagno Bouassede, un vecchio fragile con una vaporosa barba bianca, si levò in piedi. «Molto bene, queste grandi armi, ma contro chi desideriamo usarle? Di che utilità possono essere a noi che non conosciamo queste cose?»
Shgawe annuì con enorme benevolenza. «Una domanda saggia, Compagno. Posso soltanto rispondere che non si può mai sapere da che direzione può colpire un insano militarismo.»
Faranah scattò in piedi. «Posso rispondere io alla domanda, Compagno Shgawe?»
«L’assemblea ascolterà le tue opinioni con rispetto,» dichiarò Shgawe cortesemente.
Faranah si girò verso il vecchio Bouassede. «Gli imperialisti sono con le spalle al muro, si nascondono nelle loro fatiscenti roccaforti, ma possono ancora radunare le forze per un ultimo balzo febbrile, se dovessero vedere un’occasione di profitto.»
Shgawe riprese la parola. «Il Compagno Faranah si è espresso con il suo abitudinale, instancabile entusiasmo.»
«Ma non va completamente oltre le nostre capacità mantenere questi congegni?» Domandò Bouassede.
Sghawe annuì. «Viviamo in un ambiente in continuo mutamento. In questo momento è così. Ma fino a quando non saremo in grado di agire da soli, i nostri alleati russi ci hanno offerto molti validi servizi. Ci porteranno grandi draghe aspiranti e collocheranno i tubi di lancio nella sabbia delle nostre coste soggette alla marea. Si sono anche impegnati a fornirci una nave appositamente progettata per le provviste di ossigeno liquido e carburante.»
«Queste sono tutte sciocchezze,» ringhiò Bouassede. «Dobbiamo pagare per questa nave; non è un regalo. Lo stesso denaro potrebbe essere speso meglio per costruire strade e comprare bestiame.»
«Il Compagno Bouassede non ha considerato i fattori immateriali coinvolti,» dichiarò Sghawe con serenità. «Ah, Compagno Maguemi. La tua domanda, prego.»
Il Compagno Maguemi era un giovane serio e occhialuto in abito nero. «Esattamente, quanti immigranti cinesi sono previsti?»
Sghawe guardò verso Faranah con la coda dell’occhio. «La proposta è fino a ora puramente teorica, e probabilmente…»
Faranah saltò in piedi. «È un programma di grande urgenza. Qualunque sia il numero di Cinesi necessari, daremo loro il benvenuto.»
«Questo non risponde alla mia domanda,» insistette freddamente Maguemi. «Cento tecnici capaci potrebbero infatti essere utili. Centomila contadini, una colonia di alieni in mezzo a noi, potrebbero solo arrecarci danno.»
Shgawe annuì gravemente. «Il Compagno Maguemi ha messo in luce una difficoltà molto importante.»
«Niente affatto,» esclamò Faranah. «I presupposti del Compagno Maguemi sono scorretti. Cento, centomila, un milione, dieci milioni, qual è la differenza? Siamo tutti Comunisti, e stiamo lottando per lo stesso scopo!»
«Non sono d’accordo,» gridò Maguemi. «Dobbiamo evitare soluzioni dottrinali ai nostri problemi.» Se veniamo sommersi dalla marea asiatica, la nostra voce sarà soffocata.»
Un altro giovane, magro come un uccello affamato, con il volto sottile e il naso affilato, si alzò. «Il Compagno Maguemi non ha il senso della proiezione storica. Ignora gli insegnamenti di Marx, Lenin, e Mao. Un vero Comunista non bada alla razza e alla geografia.»
«Io non sono un vero Comunista,» dichiarò Maguemi freddamente. «Non ho mai fatto un’ammissione tanto umiliante. Considero gli insegnamenti di Marx, Lenin, e Mao, ancora più obsoleti delle armi americane delle quali il Compagno Shgawe ci ha poco saggiamente gravati.»
Adoui Shgawe sorrise. «Possiamo tranquillamente procedere oltre l’argomento dell’immigrazione cinese, poiché con ogni probabilità non avverrà mai. Poche centinaia di tecnici, come suggerisce il Compagno Maguemi, naturalmente saranno benvenute. Un programma più esteso creerebbe certamente delle difficoltà.»
Nambey Faranah guardò torvo il pavimento.
Shgawe continuò a parlare con voce suadente, e di lì a poco rinviò il Parlamento a due giorni dopo.
Keith ritornò nella sua stanza al des Tropiques, si mise comodo sul divano e rifletté sulla sua posizione. Non poteva essere soddisfatto delle sue prestazioni fino a quel momento. Aveva commesso un grave errore con Doutoufsky, un errore che poteva benissimo avere destato i suoi sospetti. Di certo aveva poche ragioni per essere ottimista.
Due giorni dopo Adoui Shgawe riapparve nella Grande Camera, per parlare di una faccenda ordinaria connessa all’industria di conserve alimentari amministrata dallo Stato. Nambey Faranah non poté trattenere un’allusione maligna: «Finalmente vediamo un utilizzo per gli impianti missilistici smessi dagli Americani: possono facilmente venire convertiti in impianti per la lavorazione del pesce, e possiamo sparare gli scarti nello spazio.»
Shgawe levò le mani contro il mormorio delle risate di apprezzamento. «Questa non è altro che stupidità; ho spiegato l’importanza delle armi. Chi non ha esperienza in tali faccende non dovrebbe criticarle.»
Faranah non era disposto a farsi sottomettere così facilmente. «Come possiamo non essere inesperti? Non conosciamo nulla di questi rifiuti americani, se ne stanno non visti a galleggiare nell’oceano. Non sappiamo nemmeno se esistono.»
Shgawe scosse la testa con compassionevole disgusto. «Non ci sono estremi ai quali non arriveresti? Gli impianti sono a portata di chiunque voglia esaminarli. Domani farò uscire il Lumumba, e richiedo ora che l’insieme di tutti i membri faccia un viaggio di ispezione. Non ci saranno ulteriori giustificazioni per lo scetticismo, sempre che ora ce ne siano.»
Faranah era stato ridotto al silenzio. Diede una petulante scrollata di spalle e si accomodò al suo posto.
Quasi due terzi della Camera risposero all’invito di Shgawe, e il mattino seguente si imbarcarono sull’unica nave da guerra della marina di Lakhadi, un vecchio cacciatorpediniere francese. Suonarono le campane, sibilarono i fischietti. L’acqua ribollì a poppa e il Lumumba uscì da Tabacoundi Bay, per dirigersi a sud su lunghe onde azzurre.
Il cacciatorpediniere percorse venti miglia restando parallelo alla costa battuta dal vento; poi all’orizzonte apparvero diciassette gobbe pallide, i tubi di lancio galleggianti. Ma il Lumumba virò verso la costa, dove il diciottesimo impianto era stato innalzato su cisterne galleggianti, spinto verso la spiaggia e calato sulla sabbia sotto il livello della marea. A fianco era ormeggiata una draga russa che pompava getti d’acqua sotto il tubo di lancio, spostando la sabbia e permettendo all’impianto di assestarsi.
I Parlamentari erano in piedi sul ponte di prua del Lumumba, e fissavano l’indiscutibilmente impressionante cilindro. Tutti furono costretti ad ammettere che gli impianti esistevano. Il Premier Shgawe uscì sull’ala del ponte, con accanto il Grande Maresciallo dell’Esercito, Achille Hashembe, un uomo di sessant’anni duramente temprato, con i capelli grigi tagliati molto corti.
Mentre Shgawe si rivolgeva ai Parlamentari, Hashembe li studiava con attenzione, un volto dopo l’altro.
«L’elicottero assegnato a questo particolare impianto, è in riparazione,» disse Shgawe. «Visitare il missile stesso sarebbe scomoda impresa. Ma non importa; la nostra immaginazione ci sarà d’aiuto. Figuratevi diciotto di questi grandi armi disposte a intervalli regolari lungo le coste della nostra madrepatria; possiamo forse concepire una difesa più impressionante?»
Keith, in piedi vicino a Faranah, lo udì mormorare qualcosa a quelli più vicini. Lo osservò con grande attenzione. Due ore prima i camerieri di bordo avevano servito tazze di caffè nero, e Keith, fermandosi quattro posti prima di Faranah, aveva lasciato cadere una Pillola dell’Impopolarità nella quarta coppa. Il cameriere aveva proseguito lungo la fila; ogni Parlamentare presente aveva preso una tazza, e Faranah aveva ricevuto la tazza con la pillola. Adesso il pubblico di Faranah lo guardava con infastidito disgusto e si allontanava. Una zaffata di odore raggiunse lo stesso Keith: i biochimici americani avevano fatto un lavoro efficace, pensò. Faranah puzzava davvero miseramente. E si guardava intorno sbalordito e perplesso.