Si incamminò alla svelta, procedendo a lunghi passi sull’erba spugnosa. Le sue impronte splendevano di un improvviso azzurro acceso alle sue spalle.
Non sapeva per quanto o quanto a lungo stesse camminando. La fioca luce azzurra gli mostrava tronchi neri da ogni parte, che si levavano nitidi, senza rami, e il legno era duro e freddo come metallo. I suoi passi scricchiolavano su fragili funghi, affondavano nell’humus. Più volte calpestò grossi viticci, e gli parve di calpestare braccia umane.
Un lucore giallo-rosato che pareva scaturire dal suolo crebbe davanti a lui. Gardius avanzò lentamente e la luce si diffuse di fronte a lui, illuminando le prime fronde del fogliame a sessanta piedi sopra la sua testa.
La foresta terminò, il terreno scese a picco. Gardius si trovò a guardare oltre un ciglio roccioso in un sabbioso anfiteatro naturale. Una tenda di pesante tessuto rosso manteneva bassa la luce. File di panche si curvavano attorno a una piattaforma di grezze assi nere con un parapetto intagliato. Le panche erano per tre quarti occupate da uomini e donne.
Gardius osservò i presenti. Erano alti, ben fatti, con lineamenti armoniosi e regolari. Gli Otro delle Terre Alte di Alam, i pazzi Otro, erano davvero pazzi? Gardius trovava difficile credere diversamente. Gli abiti di ogni individuo erano completamente diversi per foggia e colore da quelli di tutti gli altri.
Era come un ballo in maschera, come il carnevale suggerito dalle luci colorate delle città Otro. Un uomo indossava un giustacuore di cuoio verde pallido, e calzoni di raso color bronzo; un altro ampi pantaloni bianchi e una voluminosa blusa porporina. Lì una donna era cinta di nastri dorati, là un’altra portava una veste pieghettata di seta azzurra, e un’altra ancora una tuta grigia con gheroni gialli sulle gambe e spalline nere.
Le acconciature si differenziavano allo stesso modo: disposizioni varie di setole di bronzo, piumini rossi, penne, elmetti di metallo e veli trasparenti. Stupefatto Gardius girava con lo sguardo da una faccia all’altra. Forse era un’occasione di festa. No, erano tutti ugualmente seri.
Gardius guardò di nuovo le facce: non c’era nulla che facesse sospettare la follia, niente che indicasse dei poteri sovrannaturali. A dispetto dell’abbigliamento fantastico, scoprì una serenità, un rilassamento e una calma che distendevano i volti dando loro un aspetto giovanile. Dov’era Arman?Dov’era Mardien? Da qualche parte in mezzo al pubblico?
Esaminò attentamente la circonferenza dell’arena. Non c’erano uscieri, né guardie, né assistenti. I nuovi arrivati che si univano al pubblico non destavano la minima attenzione. Lì un costume stravagante non avrebbe suscitato scalpore, pensò Gardius. La sua tuta grigia di volo sarebbe stata notata solo per l’assenza di colori. Uscì nel lucore giallo rosato, avanzò in mezzo a due file di panche, e prese posto. Nessuno gli badò. Una mezza dozzina di donne di mezza età si sedettero davanti a lui, e si divertì ad ascoltare i loro discorsi. Otro oppure no, erano chiacchiere di donne su qualunque pianeta della galassia.
«…Così aggraziato, ha detto Teresha. Le ha davvero tenuto la mano, e lei dice che il suo tocco l’ha fatta rabbrividire tutta.»
«Teresha non è sempre attendibile, sapete.»
«Ho una certa idea di invitarlo al notturno…»
«Dubito che venga. È sempre così occupato, studia in continuazione. È in grado di leggere otto lingue antiche…»
Le panche si riempirono rapidamente. Ben presto l’anfiteatro fu gremito. Una vecchia con una martingala giallo limone e un fascio di rose tra i capelli si sedette di fianco a Gardius. Dall’altra parte si sedette un quindicenne con una giacca verde. Nessuno gli rivolse una seconda occhiata.
La luce di un riflettore disegnò un alone bianco-rosato sulla piattaforma, e Arman apparve. Dalla folla si levò un sibilo a mezza voce. Arman. Gardius respirava appena tant’era tesa la sua attenzione. Arman: un uomo di magnifica statura e bellezza, con un cervello che irradiava sicurezza e intelligenza. Il suo volto era composto da mille campioni, tutti gli eroi su tutti i medaglioni.
La voce di Arman era seria, ricca, melodiosa, rendeva impellente la frase più ordinaria. E accresceva l’impellenza con un modo di parlare a testa bassa, guardando negli occhi del pubblico. Osservando quell’uomo, Gardius poteva capire la riluttanza di Mardien a pensare male di lui. Fisionomicamente era uno degli arcangeli, raggiante di virtù.
«Uomini e donne del futuro,» disse Arman, «domani comincia la nostra grande avventura. Domani lasciamo le Terre Alte.» Fece una pausa, girò lo sguardo per l’anfiteatro. Gardius sentì il momentaneo impatto. Arman continuò con voce lenta.
«Non ho molto da dirvi. Persino qui nella foresta, con voi che ho personalmente convocato, temo gli occhi e le orecchie di Maxus, e devo trattenere molto di ciò che è nella mente del Dio.»
Gardius si agitò sulla panca. Dio? Quale Dio?
Arman continuò a parlare con grandi frasi dondolanti, come un artista ispirato che stenda il colore sulla tela. Il tema era meno politico che spirituale, eppure Gardius si sentì turbato ascoltandolo. L’entusiasmo, l’ardore, erano sentimenti difficili da contraffare. Se Arman credeva nei propri sermoni… Attonito Gardius rimase seduto ad ascoltare.
L’uomo aveva perso la speranza, diceva Arman, aveva perso la fede nel destino che un tempo l’aveva mandato fino ai confini della galassia. C’era bisogno di un nuovo scopo, una nuova fiamma per accendere il cuore degli uomini, una nuova crociata.
«Una crociata viene iniziata dai crociati,» disse Arman dolcemente. «E i crociati siete voi che verrete con me domani. E la centralità, lo scopo… è in me. Chiamatelo Dio, Fato, Destino, Fine… esso è in me. Esso mi dona la parola. Esso fa di me ciò che sono.
«Mentre vi vedo davanti a me, questo Dio, questo Destino, guarda con i miei occhi. Quando io parlo, il Dio parla. La dichiarazione solenne è: gettate via i cenci della vita, indossate i vestiti dorati del nuovo universo. L’umanità affonda nello stagno. Maxus sguazza nel vino e nelle orge, mangia il grasso dal posteriore delle sue vittime. Maxus è una grande sanguisuga che succhia la vita, e l’umanità barcolla.
«Le vecchie frontiere si stanno ritirando, le colonie lontane sono preda delle bestie. Un mondo viene colpito dalla peste. Su un altro mondo la gente invecchia, indebolisce, vacilla e muore, e le loro pietose rovine sono perdute tra le stelle.» Arman alzò la voce, e la pelle si accapponò sulla nuca di Gardius.
«Noi contraiamo il volto nella risoluzione. Noi purifichiamo l’universo. Noi infondiamo il nostro liquore ardente! Noi gettiamo a terra la sanguisuga, la schiacciamo fino a farne poltiglia. Coloro che hanno schiavizzato saranno gli schiavi, suderanno, faticheranno e moriranno come sono morti i loro schiavi! Noi costruiamo nel nome di Arman il Dio! I nostri mattoni sono le menti umane, il nostro mortaio è il cammino degli Otro, la nostra struttura sarà un nuovo universo!»
Arman indietreggiò, respirando profondamente. La folla sospirò, un rumore acuto uscito dal diaframma. E Gardius si mosse irritato, seccato dalla discordanza tra la sua mente e le sue emozioni. Prima Mardien, adesso Arman, entrambi cospiravano a confondere la chiarezza delle sue intenzioni.
Arman riprese a bassa voce: «Domani noi lasciamo il pianeta, ci imbarchiamo per la nostra grande avventura. Voi che venite vedrete uno strano mondo. Vedrete l’oscura elegante putrefazione di una vecchia cultura che si basa sul male. Voi che restate preparatevi, preparatevi e imparate, costruite e attendete.
«Assieme vedremo grandi eventi. È la storia che stiamo vivendo questa notte sulle Terre Alte di Alam; noi che ci siamo incontrati qui nella foresta siamo la pulsante scintilla del futuro.»
Gardius sedeva intorpidito in una specie di autoipnosi. Attraverso un leggero velo di nebbia vide l’alone di luce spegnersi tremolando su Arman, sentì la folla alzarsi, andarsene. C’era qualcosa nell’aria. Una crociata, contro Maxus, contro lo stesso grande stato schiavista. E i crociati? Un anfiteatro di uomini e donne dai vestiti bizzarri? Ridicolo. Arman era pazzo come i suoi simili.