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Ma lo era davvero? Forse Mardien aveva detto la verità. Forse le motivazioni di Arman erano state travisate. Forse Arman agiva su una scala secondo la quale seicento vite erano pari a nulla. Forse Arman era il Dio, il Destino, comunque si chiamasse. Forse Gardius era l’iconoclasta irresponsabile.

L’indecisione era peggiore della tortura. La sua vita era stata decisa così nettamente. Non c’erano stati dubbi, e adesso… E tuttavia nel cuore della sua mente risuonavano una serie di parole, lottava per raggiungere la sua coscienza.

Gardius si mosse; l’intontimento si dissipò. Parole — una frase — quale? La chiave per il suo dilemma. Chinò la testa tra le mani, rimase seduto un momento ad accarezzarsi il mento. In un punto Arman aveva sollevato la tenda, e un barlume era penetrato. Adesso ricordava. Gardius si alzò in piedi, fissò la piattaforma. La folla aveva lasciato l’arena. Arman se n’era andato. Divenne consapevole di un’altra presenza, di un sospettoso esame. Rivolse un’occhiata al ragazzo quindicenne che gli si era seduto di fianco. Erano quasi soli nel lucore che si andava affievolendo.

Il ragazzo disse: «Tu non sei un Otro.» Era una piatta affermazione.

Senza rancore né astio, Gardius disse: «Come lo sai?»

«Te lo vedo in faccia,» disse il ragazzo, «nelle rughe turbate degli uomini della morte. Lo leggo nell’inespressività della tua mente, la cui superficie è come il Deserto di Granito. Tu non sei un Otro.»

«E allora?»

«Se sei una spia di Maxus verrai ucciso.»

«Se fossi una spia di Maxus come avrei trovato la strada per questa adunanza?»

Il ragazzo scosse la testa, si allontanò indietreggiando. Gardius vide che era pronto a chiamare aiuto. L’arena era vuota ma gli uomini non erano molto lontani.

Gardius disse: «Bene, vedremo se sono una spia oppure no. Andiamo da Arman.»

Il ragazzo esitò. «Desideri vedere Arman? Parti domani?»

«Forse,» disse Gardius. «Non abbiamo ancora deciso.»

Il ragazzo si fermò guardando Gardius con la coda dell’occhio.

«Andiamo da Arman,» disse Gardius. «Tu sei più pratico della foresta. Fai strada.»

Il ragazzo fissò Gardius, che non corrispondeva all’immagine mentale che si era fatto di una spia. Le spie erano basse, con gli occhi sfuggenti, piene di falsi sorrisi. Gardius era grande, snello, muscoloso come una tigre della foresta…

«Ti dirò dove trovare Arman,» disse indeciso. «Non ti ci porterò.»

L’accordo andava benissimo a Gardius. «Come desideri.»

Il ragazzo cambiò idea. «No, ti ci porterò io. Così saprò che va tutto bene. Sono un Praticante Ingegnere,» aggiunse impacciato.

«Eccellente,» disse Gardius. «E qual è il tuo ruolo nella grande avventura?»

«Oh!» Il ragazzo scelse attentamente le parole. «Io tradurrò le idee in disegni accurati. Questa è la mia specializzazione.»

Gardius annuì. «Capisco, capisco. E ora, portami da Arman.»

Il ragazzo esitò. «Forse farei meglio a portarti da mio padre e lasciare che decida lui.»

Gardius si accarezzò il mento come se stesse riflettendo. «No,» disse infine, «ho poco tempo. Sarebbe meglio andare direttamente da Arman.»

Il ragazzo tentennò. Non era mai stato al cospetto di Arman, non aveva mai parlato con il grande uomo. Forse quella sarebbe stata l’occasione. «Seguimi,» disse.

Lasciarono l’arena, presero un sentiero che attraversava una strada lastricata e si rituffarono nei boschi. Camminarono per cinque minuti. La foresta si fece meno fitta. Uscirono in uno spiazzo. A est un pianeta luminoso splendeva come una gigantesca perla rosata. Gardius vide che si trovavano in una brughiera ondulata. Il vento gli soffiò in faccia l’odore forte della palude. Più avanti brillavano le luci di un villino.

Il giovane si fermò di colpo, improvvisamente indeciso. Sarebbe stato ringraziato per avere portato uno straniero a disturbare l’eroe? E se quel cupo straniero dai capelli neri era un nemico, una spia di Maxus? Gli si agghiacciò il sangue.

«Abbiamo preso la strada sbagliata,» disse il ragazzo con voce fioca. «Meglio che ritorniamo nella foresta. Ti porterò da mio padre.»

Gardius tese il braccio quasi per caso, prese la nuca del ragazzo in una mano, tastò il punto giusto tra i muscoli, strinse. Il ragazzo si irrigidì, le braccia penzolarono insensibili, le gambe lo sostennero a malapena. Gardius si frugò nella borsa, tirò fuori un piccolissimo iniettore, un minuscolo sacco di narcotico con un ago. Allentò la presa. Il braccio del ragazzo scattò verso l’alto in un movimento riflesso, facendo cadere l’iniettore di mano a Gardius.

Gardius emise un grido soffocato, digrignò i denti, aumentò la stretta. Il ragazzo si irrigidì di nuovo. Dov’era l’iniettore? Costrinse il ragazzo inerte al suolo, tastò qua e là nell’intrico di ginestre spinose con la mano libera.

Trascorsero cinque minuti prima che lo trovasse, infilato nella biforcazione di un ramo. Lo spinse nel collo del ragazzo. Il ragazzo si intorpidì. Gardius mollò la presa. Il ragazzo rimase immobile.

Gardius attese fermo nel buio. Evidentemente il grido non era stato udito, forse soffiato via da quella brezza che odorava così forte. Si avviò furtivo verso il villino, una casa di campagna con un tetto a due spioventi meravigliosamente alto, finestre ovali e una porta a forma di tre dischi.

Dalle finestre filtravano crepe e punti di luce dorata, ma nessuna immagine era visibile all’interno. Gardius fece il giro della casa, passò casupole, capanni, edifici annessi. Trovò l’entrata posteriore, e la stanza dietro sembrava al buio.

Tirò il chiavistello. Come si era spettato la porta era chiusa. Infilò la mano nella borsa, prese il raggio termico, e, soffocando per il fumo, bruciò un buco attorno al chiavistello. Allungò le dita tra le schegge incandescenti, fece scorrere all’indietro il catenaccio, appoggiò la spalla alla porta e la socchiuse.

La stanza era buia e odorava di frutta guasta. Una cornice di luce rivelava un’altra porta opposta a quella di servizio. Gardius girò intorno il raggio della torcia e attraversò la stanza rapido e furtivo.

Dall’interno non giungevano né suoni né voci, nemmeno il fruscio di un movimento. Con in mano il raggio termico, Gardius aprì silenziosamente la porta.

Arman era seduto su una panca accanto al focolare, e fissava pensieroso le fiamme. Era solo. Gardius avanzò senza fare rumore. Arman percepì la sua presenza, sollevò lo sguardo.

«Silenzio,» disse Gardius mostrandogli il raggio termico. Arman si alzò in piedi, lo osservò tranquillamente. La sua presenza era straordinaria, sconcertante. Gardius si chiese se avrebbe dovuto tirare il grilletto. Alla fine sarebbe stato più facile. Ma Arman riportato vivo su Maxus avrebbe avuto più valore di Arman morto su Fell. Non c’erano solo suo fratello e sua sorella, ma anche molti amici, che Arman vivo avrebbe potuto riscattare.

«Voltati,» disse Gardius. Arman obbedì, osservandolo da sopra la spalla con grandi occhi luminosi finché si fu girato completamente.

Gardius si avvicinò con prudenza. Le ampie spalle muscolose di Arman emanavano forza. Qualunque presa sarebbe stata inaffidabile contro quel fascio di nervi. Allungò la mano, e trafisse il collo di Arman con l’iniettore.

Da dietro venne un fievole gemito di sorpresa e paura. Indietreggiando da Arman che si andava irrigidendo, Gardius vide una donna nello specchio di una porta. Portava pantaloni neri e una blusa bianca con alamari verdi. Era bionda come il sole di Exar. Con un piccolo strazio al cuore, Gardius riconobbe Mardien.

Arman si accasciò. Gardius disse a Mardien. «Entra, svelta. Potrei anche ucciderti.»