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«Vaporizza quest’uomo.»

L’uomo tarchiato, senza mutare espressione, si girò verso uno stipetto e ritornò con un ipo vaporizzatore. Lo applicò al collo di Gardius, e subito ci fu il sibilo acuto della droga vaporizzata.

Arman disse: «Tra un minuto sarai addormentato, e ti risveglierai ad Alambar. Un uomo più vendicativo di me potrebbe punirti, ma il ricavato dal tuo corpo sarà utile. Ogni ana sarà utile.»

Gardius sentì una lenta marea salirgli alla testa come una vertigine. Gli si piegarono le ginocchia, le braccia si rilasciarono. Vide Arman che sorrideva leggermente fare un cenno al piccolo uomo scimmiesco perché lo prendesse. Mentre i suoi occhi si appannavano vide una donna salire la scaletta verso la cabina. La nebbia invase il suo campo visivo. Avrebbe potuto essere Mardien.

Sentì delle dita sulla faccia, un ronzio nelle orecchie, una vibrazione al cuoio capelluto.

Aprì gli occhi. Un vecchio con un rasoio elettrico gli stava tagliando i capelli. Gardius si drizzò a sedere di scatto. Era in una grande stanza piastrellata di bianco, su una lastra di ardesia grigia che sentiva fredda e umida sotto di sé. Era nudo.

La sensazione di umido e la vista di una canna sul pavimento gli fecero capire che era stato lavato. Attorno a lui su altre lastre giacevano circa cinquanta uomini e donne, tutti nudi, tutti bagnati e luccicanti. Altri due inservienti stavano lavorando con i rasoi elettrici.

Sentì una costrizione al polso. Abbassò lo sguardo. Era ammanettato. L’inserviente arrivò con una chiave e gli tolse le manette. «Qualche volta i nuovi arrivati sono nervosi — rabbiosi, capisci — quando si svegliano,» disse in tono quasi di scusa.

Gardius si rilassò sulla lastra. «Suppongo di essere ad Alambar.»

«Corretto,» disse l’inserviente.

«Al Distributore.»

«Corretto.»

Gardius osservò rigidamente la stanza. «E questi altri erano nello stesso mio carico?»

L’inserviente annuì. «Seicento in un colpo. Il carico di Arman.»

«Da quanto tempo sono qui?»

«Siete stati scaricati questa mattina.»

Gardius si alzò in piedi, barcollò un poco. Gambe e braccia erano pallide; i tessuti sembravano flaccidi, deteriorati. L’inserviente disse: «Un giorno o due di buon cibo ti faranno ritornare come nuovo.»

«Dove sono i miei vestiti,» borbottò Gardius. «Devo andarmene da qui.» Poi con rabbia: «Dove sono i miei vestiti?»

L’inserviente tirò su col naso. «Stai buono, amico, buono. Gridare non serve mai. Adesso sei marcato con un circuito penale, e ti strineranno la pelle con qualunque scusa le prime settimane. Si divertono a vederti lottare e ruggire. È l’unico svago che hanno.»

«Voglio vedere l’Alto Ricognitore,» borbottò Gardius.

«A suo tempo, a suo tempo. Dillo a uno dei Sommi. Io non sono altro che uno schiavo come te.»

Gardius ricadde sulla lastra. Il tempo passò. Altri si mossero spasmodicamente, si sedettero. Gardius guardò una faccia dopo l’altra. Se gli Otro fossero stati pazzi ci sarebbero state bizze, attacchi di isterismo. Ma si mantenevano in perfetto ordine e serietà.

Erano uomini e donne che avevano oltrepassato il primo ardore della gioventù. Gli uomini non erano né muscolosi né appesantiti; le donne non erano né formose né bellissime. Quegli uomini e quelle donne non sarebbero stati assegnati né ai lavori pesanti né alle camere da letto. Potevano benissimo venire addestrati per attività tecniche.

Suonò un campanello, una porta si aprì, e una guardia in uniforme nera entrò nella stanza. Aveva in mano un frustino leggero e flessibile che agitava con disinvoltura. Gardius, incontrando i suoi occhi, sentì la rabbia ribollirgli dentro.

La guardia disse: «Titus, questo è un gruppo beneducato. Neanche un urlo. Bene, quelli di voi che sono vivi, in piedi adesso. Mettetevi in fila e seguitemi. Passerete dallo spaccio e ognuno di voi prenderà un completo di biancheria, un camiciotto, un paio di sandali, niente di più, niente di meno. Svelti, adesso, cerchiamo di essere un po’ vivaci e di partire con il piede giusto.» E fendette l’aria con il frustino.

Vennero fatti sfilare davanti a un bancone, dove ricevettero i vestiti, e davanti a una scrivania dove venne loro appeso al collo un distintivo. Poi gli uomini vennero diretti attraverso una porta e le donne attraverso un’altra.

Gardius si trovò un lungo salone bene illuminato, con la facciata a vetrine. Era una stanza familiare, come la stanza in cui aveva visto Mardien per la prima volta. All’incirca altri cinquanta uomini erano nel salone; alcuni camminavano a capo chino, imbronciati, altri fissavano il vetro senza nessuna espressione. Pochi parlavano a voce bassa e cupa. Un ragazzo tirava su col naso tristemente.

In fondo alla sala c’era uno schiavo corpulento coi capelli rossi e una divisa nera e verde, un piantone che evidentemente godeva della propria posizione. Gardius gli si avvicinò, e incontrò un paio d’occhi freddi e assenti come quelli di un ranocchio.

Gardius disse: «Come posso usare un telefono?»

«Non puoi. I giorni in cui potevi telefonare sono finiti.»

«Voglio chiamare l’Alto Ricognitore. È un mio amico.»

Il piantone trovò l’osservazione divertente. «E io sono lo zio del Patriarca.»

Con voce misurata, Gardius disse: «Chiama il responsabile.»

«Io sono responsabile.»

«Allora se c’è anche un minimo ritardo, la responsabilità è tua.»

La guardia sbatté le palpebre. Dopotutto, erano accadute cose ancora più strane. «Solo un minuto.»

Andò alla porta, chiamò attraverso uno schermo, e un minuto dopo il Sommo caporale apparve all’esterno. Il piantone indicò Gardius con un movimento del pollice. «Quell’uomo dice che è amico dell’Alto Ricognitore. Vuole telefonargli.»

Il caporale sollevò le nere sopracciglia, sorrise indulgente. «Qualcuno pretende di essere il Messia in persona.»

Gardius disse pazientemente: «Voglio parlare con l’Alto Ricognitore al telefono o al teleschermo. Vi dico che lavoravo per lui. Sono qui per sbaglio. Ve la passerete dura se lo ostacolate.»

Il sorriso svanì dalla faccia magra e sarcastica. «Andiamo, allora. Vedremo. Te ne pentirai se stai solo creando fastidi.»

Portò Gardius in un ufficio centrale, dove Gardius raccontò la sua storia a un luogotenente in un’uniforme attillata nera e oro. Il luogotenente indicò un teleschermo. «È lì. Usalo. Titus lo sa, io mi faccio da parte dove cammina l’Alto Ricognitore.»

Gardius guardò il quadrante, premette il bottone che diceva «Ufficio Centrale». Sullo schermo apparve una stella a sette punte, e una voce disse: «Connessione.»

«L’Alto Ricognitore,» disse Gardius.

Apparve un volto aggrottato, una faccia con folte sopracciglia nere, una zazzera ispida di capelli, un naso a becco. «Ebbene?»

«Voglio parlare con l’Alto Ricognitore,» disse Gardius.

«E tu chi sei?» I suoi occhi passarono in rassegna la faccia e l’abbigliamento di Gardius. «Sei uno schiavo. Dov’è il tuo rispetto?»

«Sono Jaime Gardius. Di’ all’Alto Ricognitore che Jaime Gardius vuole parlargli.»

Grugnendo l’uomo si girò, parlò in una griglia, parlò ancora. Si voltò verso lo schermo. «Dice che non ti conosce.»

Dietro a Gardius il luogotenente e il caporale si mossero irrequieti. Disperato, Gardius tentò ancora. «Digli che ci siamo visti per Arman, un mese fa. Che mi ha mandato a inseguirlo.»

L’uomo si girò di nuovo, parlò nella griglia, annuì, parlò ancora. La sua faccia scomparve. Gardius si trovò a guardare nella faccia stretta dell’Alto Ricognitore.

«Ah, Gardius,» disse l’Alto Ricognitore, e rise di una risata esile e allegra. Gardius stette cupamente in silenzio, e arrossì. L’Alto Ricognitore disse infine: «Tutto ciò è ridicolo e triste. Ti ho mandato perché mi riportassi Arman, e invece Arman ti vende al Distributore come schiavo. Non è una farsa?»