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— Be’, ho letto l’articolo di Pae… del dottor Pae sull’universo-blocco, il Paradosso e la Relatività.

— Ottimo. Saio è il nostro divo del momento, non c’è dubbio. Soprattutto nella sua stessa mente, eh, Saio? Ma che cosa c’entra con i nostri affari? Dov’è la tua Teoria Temporale Generale?

— Qui, nella mia testa — disse Shevek con un sorriso ampio, allegro.

Ci fu una brevissima pausa.

Oiie gli chiese se avesse visto il lavoro sulla teoria della relatività scritto da un altro fisico, Ainsetain di Terra. Shevek non l’aveva visto. Tutti si interessavano animatamente dell’argomento, ad eccezione di Atro, che ormai si era lasciato alle spalle, con l’età, l’animazione. Pae corse alla propria stanza a prendere una copia della traduzione per Shevek. — Ha già alcune centinaia di anni, ma contiene delle idee freschissime per noi — disse.

— Può darsi — disse Atro. — Ma nessuno di questi forestieri riesce a seguire la nostra fisica. Gli Hainiti la chiamano materialismo, e i Terrestri la chiamano misticismo: a questo punto, entrambi lasciano perdere. Non lasciarti portare su un binario morto da queste mode per tutto ciò che è forestiero, Shevek. In esse non c’è niente per noi. Scavati da te le tue patate, come diceva sempre mio padre. — Ripeté il suo sbuffo senile e si alzò a forza di braccia dalla poltrona. — Vieni a fare un giro in giardino con me. Non c’è da stupirsi che tu abbia il naso chiuso, a stare in gabbia qui dentro.

— Il dottore dice che devo rimanere in questa stanza per tre giorni. Potrei essere… infettato? Infettivo?

— Non dare mai ascolto ai dottori, caro amico.

— Forse sì, in questo caso, dottor Atro — suggerì Pae, col suo tono tranquillo, conciliante.

— Dopo tutto, quel dottore viene dal Governo, no? — disse Chifoilisk, con chiara malignità.

— Il migliore che hanno potuto trovare, ne sono certo — disse Atro, senza sorridere, e se ne andò senza insistere con Shevek. Chifoilisk se ne andò con lui. I due uomini più giovani rimasero con Shevek, a parlare di fisica, per lungo tempo.

Con immenso piacere, e con il senso profondo di riconoscere qualcosa, di trovare che una cosa è esattamente come dovrebbe essere, Shevek scoprì per la prima volta nella sua vita la conversazione di persone uguali a lui.

Mitis, sebbene fosse stata una splendida insegnante, non era mai stata capace di seguirlo nelle nuove aree di teoria che egli, con l’incoraggiamento di lei, aveva cominciato a esplorare. Garab era l’unica persona da lui incontrata la cui istruzione e la cui abilità fossero paragonabili alla propria, ma egli e Garab si erano incontrati troppo tardi, quasi alla fine della vita di lei. Da allora Shevek aveva lavorato con molte persone di talento, ma poiché egli non era un membro a tempo pieno dell’Istituto di Abbenay, non era stato capace di portarle abbastanza avanti: esse rimanevano impantanate nei vecchi problemi, la classica fisica Sequenziale. Egli non aveva avuto uguali. Qui, nel regno dell’ineguaglianza, egli finalmente li incontrò.

Fu una rivelazione, una liberazione. Fisici, matematici, astronomi, logici, biologi, tutti erano all’Università, e si recavano da lui o lo accoglievano in visita, e parlavano con lui, e dalle loro parole nascevano mondi nuovi. È nella natura delle idee il fatto di essere comunicate: scritte, dette, fatte. L’idea è come l’erba. Brama la luce, ama le folle, s’irrobustisce con gli incroci, cresce più forte se la si calpesta.

Già in quel primo pomeriggio all’Università, con Oiie e Pae, egli seppe di avere trovato qualcosa che gli era mancato fin da quando, da ragazzi e su un livello da ragazzi, egli e Tirin e Bedap solevano parlare fino a tarda notte stuzzicandosi e sfidandosi reciprocamente a voli mentali sempre più temerari. Egli ricordava ancora vivacemente alcune di quelle serate. Gli parve di vedere Tirin; Tirin che diceva: «Se sapessimo com’è veramente Urras, forse qualcuno di noi desiderebbe andarci.» Ed egli era stato così sconvolto dall’idea, che era balzato addosso a Tirin, e Tirin si era immediatamente tirato indietro; si era tirato indietro ogni volta, povera anima inquieta, e aveva sempre avuto ragione.

La conversazione era cessata. Pae e Oiie stavano in silenzio.

— Mi spiace — egli disse. — La testa è pesante.

— Come va, con la gravità? — chiese Pae, con il sorriso affascinante di un uomo che, come un bambino intelligente, faccia affidamento sulle proprie attrattive.

— Non me ne accorgo — disse Shevek. — Solo nelle, come si dice?

— Ginocchia… articolazioni delle ginocchia.

— Sì, ginocchia. La funzione ne è diminuita. Ma mi abituerò. — Fissò Pae, quindi Oiie. — C’è una domanda. Ma non vorrei offendere.

— Non abbia paura, signore! — disse Pae.

Oiie disse: — Non credo che saprebbe come fare. — Oiie non era un tipo simpatico come Pae. Anche nel parlare di fisica, aveva un modo di fare evasivo, riservato. Eppure, al di sotto del modo di fare, c’era qualcosa, Shevek sentiva, di cui fidarsi; mentre invece sotto il fascino di Pae che cosa c’era? Bene, lasciamo perdere. Doveva avere fiducia in ciascuno di loro, e si ripromise di averla.

— Dove sono le donne?

Pae rise. Oiie sorrise e chiese: — In che senso?

— In tutti i sensi. Ho conosciuto donne al ricevimento, ieri sera… cinque, dieci… e centinaia di uomini. Nessuna di esse era uno scienziato, credo. Chi erano, allora?

— Mogli. Una di esse era mia moglie, anzi — disse Oiie, con il suo sorriso riservato.

— Dove sono le altre donne?

— Oh, nessuna difficoltà sotto questo aspetto, signore — si affrettò a dire Pae. — Basta che lei ci dica le sue preferenze, e non ci sarà difficoltà a procurargliele.

— Si sentono delle illazioni assai pittoresche sui costumi che regnano su Anarres, ma credo che possiamo trovare qualsiasi cosa lei abbia in mente — disse Oiie.

Shevek non aveva idea di cosa stessero dicendo. Si grattò la nuca. — Allora, tutti gli scienziati, qui, sono degli uomini?

— Scienziati? — disse Oiie, incredulo.

Pae tossichiò. — Scienziati. Oh, sì, certamente, sono tutti uomini. Ci sono alcune insegnanti nelle scuole femminili, com’è naturale. Ma non superano quasi mai il livello del diploma.

— Perché no?

— Non riescono a capire la matematica; non hanno testa per il pensiero astratto; non è roba loro. Lei sa com’è, quello che le donne chiamano «pensare» viene fatto con l’utero! E naturalmente ci sono sempre delle eccezioni. Donne con tanto di cervello, e con l’atrofia vaginale.

— Voi Odoniani, invece, fate studiare scienze alle donne? — domandò Oiie.

— Be’, se ne trovano nelle varie scienze, sì.

— Non molte, spero.

— Ecco, metà e metà.

— Ho sempre sostenuto — disse Pae, — che le assistenti non laureate, trattate adeguatamente, potrebbero togliere dalle spalle degli uomini una buona dose di lavoro, in tutte le situazioni di laboratorio. Sono effettivamente più abili e più svelte degli uomini nei lavori ripetitivi, e più docili… si annoiano meno facilmente. Potremmo rendere disponibili gli uomini molto prima perché svolgano lavori originali, se ci servissimo delle donne.

— Non certo nel mio laboratorio, però — disse Oiie. — Che se ne restino al loro posto.

— Lei ha incontrato qualche donna capace di lavoro intellettuale originale, dottor Shevek?

— Be’, è più esatto dire che sono state loro a trovare me. Mitis, nell’Insediamento del Nord, è stata mia insegnante. E così pure Garab; voi la conoscete, credo.

— Garab era una donna? — disse Pae, genuinamente sorpreso. Poi rise.

Oiie non parve convinto. Sembrava offeso, anzi. — Non si può mai capire dai vostri nomi, naturalmente — disse con freddezza. — Voi vi fate un punto d’onore, suppongo, di non fare distinzioni tra i sessi.