— Allora Anarres, come l’avete sentita descrivere da me… che cosa significherebbe Anarres per lei, Keng?
— Nulla. Nulla, Shevek. Abbiamo perduto per sempre la possibilità di una Anarres secoli fa, prima ancora che Anarres venisse alla vita.
Shevek si alzò e si recò alla finestra, una delle lunghe feritoie orizzontali della torre. C’era una nicchia nel muro, sotto la feritoia, su cui salivano gli arcieri per guardare in basso e prendere di mira gli assalitori del ponte; se non si saliva su di essa, non si poteva vedere nulla dalla feritoia, ad eccezione del cielo illuminato dal sole, leggermente coperto di foschia. Shevek si fermò sotto la finestra e guardò fuori, con la luce che gli riempiva gli occhi.
— Lei non capisce che cos’è il tempo — disse. — Lei dice che il passato se n’è andato, il futuro non è reale, non c’è cambiamento, non c’è speranza. Lei pensa che Anarres sia un futuro che non può essere raggiunto, esattamente come il vostro passato non può essere cambiato. Dunque non c’è nient’altro che il presente, questo Urras, il presente ricco, reale, stabile, il momento attuale. E lei pensa che è qualcosa che si può possedere! Lei lo invidia un poco. Lei pensa che sia qualcosa che le piacerebbe avere. Ma non è reale, lo sa. Non è stabile, non è solido… nulla lo è. Le cose cambiano, cambiano. Lei non può avere nulla… E meno di tutto può avere il presente, a meno che non accetti con esso anche il passato e il futuro. Non soltanto il passato, ma anche il futuro, non soltanto il futuro, ma anche il passato! Perché essi sono reali: soltanto la loro realtà rende reale il presente. Non otterrete, non comprenderete neppure, Urras se non accetterete la realtà; la realtà duratura, di Anarres. Lei ha ragione, noi siamo la chiave. Ma quando l’ha detto, lei non vi credeva realmente. Lei non crede in Anarres, lei non crede in me, anche se io sono qui con lei, in questa stanza, in questo momento… La mia gente aveva ragione, e io mi sbagliavo: noi non possiamo venire a voi. Voi stessi non ce lo permettereste. Voi non credete nel cambiamento, nel caso, nell’evoluzione. Voi distruggereste, piuttosto di ammettere la nostra realtà, piuttosto di ammettere che c’è speranza! Noi non possiamo venire a voi. Noi possiamo soltanto aspettare che voi veniate da noi.
Keng aveva sul viso un’espressione sorpresa e pensosa, forse leggermente confusa.
— Non capisco… non capisco — disse infine. — Lei è come qualcuno del nostro passato, gli antichi idealisti, i visionali della libertà; eppure non la capisco, come se lei cercasse di raccontarmi cose appartenenti al futuro; eppure, come lei dice, lei è qui, ora!… — Non aveva perso la sua acutezza. Disse, dopo qualche istante: — Allora, perché è venuto da me, Shevek?
— Oh, per darle l’idea. La mia teoria, lei sa. Per evitare ad essa di divenire una proprietà degli iotici, un investimento o un’arma. Se lei è disposta, la cosa più semplice sarebbe quella di trasmettere per radio le equazioni, darle ai fisici di tutto il mondo, e agli Hainiti e agli altri mondi, non appena possibile. Lei sarebbe disposta a farlo?
— Più che disposta.
— In tutto, basteranno poche pagine. Le dimostrazioni e parte delle implicazioni richiederebbero di più, ma queste possono venire in seguito, e altre persone potrebbero lavorarci sopra se non potessi farlo io.
— E che cosa farà, lei, dopo? Intende ritornare a Nio? La città è tranquilla, ora, almeno a quanto si può vedere; l’insurrezione sembra sconfitta, almeno per il momento; ma temo che il governo iotico la consideri un insurrezionista, Shevek. Ci sarebbe sempre il Thu, naturalmente…
— No, non voglio rimanere qui. Non sono un altruista! Se lei fosse disposta ad aiutarmi anche in questo, potrei tornare a casa. Forse gli iotici potrebbero essere disposti a mandarmi a casa, potrebbe essere. Sarebbe coerente, penso: farmi scomparire, negare la mia esistenza. Naturalmente, potrebbero giudicare più semplice provvedere alla cosa uccidendomi o mettendomi in prigione per tutta la vita. Io non voglio ancora morire, e soprattutto non voglio morire qui all’Inferno. Dove va la tua anima, se muori all’Inferno? — Rise; aveva riacquistato tutta la sua gentilezza di comportamento. — Ma se lei potesse mandarmi a casa, penso che tirerebbero un respiro di sollievo. Gli anarchici morti diventano dei martiri, lei lo sa, e continuano a vivere per secoli e secoli. Ma quelli assenti si possono dimenticare.
— Pensavo di sapere che cosa fosse il «realismo» — disse Keng. Sorrise, ma era un sorriso molto tirato.
— Come può, se non conosce la speranza?
— Non ci giudichi troppo duramente, Shevek.
— Io non vi giudico affatto. Io chiedo soltanto il vostro aiuto, e in cambio di questo aiuto non ho nulla da darvi.
— Nulla? Lei chiama «nulla» la sua teoria?
— Mettete sull’altro piatto della bilancia la libertà di un singolo spirito umano — egli disse, voltandosi verso di lei, — e quale dei due peserà di più? Lei può dirlo? Io no.
CAPITOLO 12
— Desidero presentare un progetto — disse Bedap, — del Gruppo dell’Iniziativa. Come sapete, siamo in contatto radio con Urras da una ventina di decadi…
— In opposizione ai suggerimenti di questo consiglio, alla Federativa della Difesa, e a un voto di maggioranza della Lista!
— Sì — disse Bedap, squadrando colui che aveva parlato, ma senza protestare per l’interruzione. Non c’erano regole di procedura parlamentare alle riunioni del CDP. A volte le interruzioni erano più frequenti delle affermazioni. Il procedimento, paragonato a una riunione amministrativa ben diretta, era come un pezzo di carne cruda paragonato con uno schema elettrico. Ma la carne cruda, tuttavia, funziona meglio di quanto non potrebbe funzionare uno schema elettrico, al suo posto… all’interno di un animale vivente.
Bedap conosceva tutti i suoi vecchi oppositori al Consiglio Importazione-Esportazione; da tre anni, ormai, veniva lì a combatterli. Ma colui che aveva parlato era nuovo: un giovane, probabilmente un nuovo assegnato dalla estrazione a sorte alla Lista del CDP. Bedap lo guardò con benevolenza e proseguì: — Non rimettiamoci a litigare i vecchi litigi, vero? Ora ne propongo uno nuovo. Abbiamo ricevuto una interessante comunicazione da un gruppo di Urras. È arrivata sulla lunghezza d’onda usata dai nostri corrispondenti iotici, ma è giunta fuori degli orari preventivati, e il segnale era debole. Pare provenga da una nazione chiamata Benbili, non dall’A-Io. Il gruppo dava a se stesso il nome «Società Odoniana». A quanto pare, si tratta di Odoniani post-Insediamento, che trovano modo di esistere, chissà come, in qualche scappatoia ancora permessa dalle leggi e dai governi di Urras. Il messaggio era diretto ai «fratelli di Anarres». Potete leggerlo sul bollettino del Gruppo, è interessante. Chiedono se potrebbero avere il permesso di inviare gente qui da noi.
— Inviare gente qui? Lasciar venire qui degli urrasiani? delle spie?
— No, verrebbero come coloni.
— Vorrebbero riaprire l’Insediamento, è così, Bedap?
— Dicono che il loro governo dà loro la caccia, e sperano che…
— Riaprire l’Insediamento! Ad ogni profittatore che si protesta Odoniano?
Riportare in ogni particolare un dibattito amministrativo anarresiano sarebbe difficile; si svolgeva molto rapidamente, spesso più persone parlavano tutte insieme, nessuno parlava a lungo, c’erano un mucchio di frasi sarcastiche, un mucchio di cose restavano inespresse; il tono era emotivo, spesso fieramente personale; si raggiungeva una fine, ma non c’era una conclusione. Era come una discussione tra fratelli, o tra i pensieri di una mente che non ha ancora preso la decisione.