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Si sedette sulla predella del letto sotto la finestra. Era una stanza di buone dimensioni, con due predelle. Sul pavimento c’era una stuoia; non c’era altro arredamento, né sedie né tavolo, soltanto un piccolo recinto mobile che delimitava uno spazio di gioco o proteggeva il letto di Pilun. Takver aveva aperto il cassetto lungo e largo dell’altra predella, e metteva a posto pile di fogli di carta in esso contenute. — Tienimi Pilun, caro Bedap! — disse con il suo largo sorriso, quando la bambina cominciò ad avviarsi verso di lui. — Mi ha pasticciato questi fogli almeno dieci volte, ogni volta che li ho messi a posto. Qui avrò finito tra un minuto… dieci, anzi.

— Non metterti fretta. Non ho voglia di parlare. Mi basta stare qui a sedere. Vieni qui, Pilun. Cammina… ecco, così si fa! Cammina da Tadde Bedap. Adesso ti ho preso!

Pilun si sedette contenta sulle sue ginocchia e cominciò a studiargli la mano. Bedap si vergognava delle sue unghie, che, anche se non se le rosicchiava più, erano ormai deformate, e dapprima chiuse la mano per nasconderle; poi si vergognò di averne vergogna, e aprì la mano. Pilun cominciò a battervi sopra.

— Questa è una bella stanza — disse. — Con la luce a nord. È sempre tranquillo, qui dentro.

— Sì. Zitto, sto contandoli.

Dopo un poco, Takver mise via le pile di fogli e chiuse il cassetto. — Fatto! Scusa, ma avevo detto a Shevek che avrei messo il numero a quelle pagine. Vuoi bere?

Il razionamento era ancora in forza per molti cibi, anche se era molto meno restrittivo di cinque anni prima. I frutteti degli Altipiani del Nord avevano sofferto meno la siccità, e si erano ripresi più in fretta, delle regioni coltivate a grano, e l’anno precedente la frutta secca e i succhi di frutta erano stati tolti dalla lista delle razioni. Takver aveva una bottiglia sul davanzale della finestra, dietro gli scuri. Ne versò a tutti e due, in tazzine di terracotta un po’ bitorzolute che Sedik aveva fatto a scuola. Si sedette di fronte a Bedap e lo guardò, sorridendo. — Be’, come va al CDP?

— Sempre lo stesso. Come va al laboratorio dei pesci?

Takver fissò la propria tazza, muovendola per guardare il riflesso della luce sulla superficie del liquido. — Non so. Pensavo di andarmene.

— Perché, Takver?

— Meglio andarsene che sentirsi dire di andarsene. Il guaio è che il lavoro mi piace, e che sono anche brava, nel mio campo. Ed è l’unico del suo tipo ad Abbenay. Ma non puoi essere un membro di una squadra di ricerca che ha deciso che non sei un suo membro.

— Se la prendono con te, eh?

— Ed è sempre peggio — disse lei, e lanciò un’occhiata alla porta, rapidamente e meccanicamente, come per assicurarsi che non ci fosse Shevek, ad ascoltare. — Alcuni di loro sono incredibili. Be’, tu sai com’è. Non serve a niente parlarne.

— No, ed è questo il motivo per cui sono lieto di averti trovato da sola. Io, in realtà, non so affatto com’è. Io, e Shevek, e Skovan, e Gezach, e tutti gli altri che passano la maggior parte del tempo alla stamperia o alla torre radio, non abbiamo assegnazioni di lavoro, e perciò non vediamo molta gente al di fuori del Gruppo dell’Iniziativa. Io passo un mucchio di tempo al CDP, ma lì si tratta di una situazione speciale, lì mi aspetto dell’opposizione perché me la creo apposta. Ma, tu, contro che cosa ti sei imbattuta?

— L’odio — disse Takver con la sua voce cupa, bassa. — Vero odio. Il direttore del mio progetto non mi parla più. Be’, non è una gran perdita. Non mi è mai stato simpatico. Ma alcuni degli altri mi dicono ciò che pensano… C’è una donna, non nel laboratorio dei pesci, ma qui nel domicilio. Io sono nel comitato di igiene dell’isolato, e dovevo parlare con lei di qualcosa. Non mi ha lasciato parlare. «Non cercare di entrare in questa stanza, vi conosco, io, voialtri maledetti traditori, voialtri intellettuali, egoizzatori» eccetera eccetera, e poi mi ha sbattuto la porta in faccia. Una scena grottesca. — Takver rise tristemente. Pilun, vedendola ridere, sorrise, raggomitolata nel cavo del braccio di Bedap, e poi sbadigliò. — Ma, sai, mi ha spaventato. Sono codarda, Bedap. Non mi piace la violenza. Non mi piace neppure la disapprovazione!

— Ovviamente no. L’unica sicurezza che abbiamo è l’approvazione dei nostri vicini. Un archista può infrangere una legge e sperare di farla franca, senza subire punizione, ma tu non puoi «infrangere» un costume; è la cornice della tua vita con l’altra gente. Noi stiamo appena cominciando a provare che cosa voglia dire essere dei rivoluzionari, per dirla con le parole usate da Shevek alla riunione di oggi. Non è una cosa comoda.

— Ma alcune persone capiscono — disse Takver, sforzandosi di essere ottimista. — Una donna sull’omnibus, ieri, non so dove l’ho incontrata, lavoro del decimo giorno da qualche parte, credo; mi ha detto: «Dev’essere bello vivere con un grande scienziato, dev’essere così interessante!» E io le ho risposto: «Sì, almeno c’è sempre qualcosa di cui parlare.» … Pilun, non ti addormentare, piccola! Shevek arriverà a casa tra poco e andremo a mensa. Dondolala un po’, Bedap. Be’, comunque, vedi, quella donna sapeva chi fosse Shevek, ma non mostrava né odio né disapprovazione, era molto gentile.

— La gente sa bene chi egli sia — disse Bedap. — È curioso, perché non possono capire il suo libro più di quanto possa capirlo io. Alcune centinaia di persone possono capirlo, pensa lui. Quegli studenti dell’Istituto Divisionale che cercano di organizzare corsi di Simultaneità. Io penso che venti, venticinque persone sia un numero più aderente alla realtà, per conto mio. Eppure la gente sa di lui, hanno la sensazione che sia qualcosa di cui andare fieri. Ecco una cosa che il Gruppo ha fatto, se non altro. Ha stampato i libri di Shevek. Può essere l’unica cosa saggia che abbiamo fatto.

— Oh, adesso! Devi avere avuto una seduta dura, oggi al CDP.

— L’abbiamo davvero avuta. Mi piacerebbe darti delle buone notizie, Takver, ma non posso proprio. Il Gruppo sta colpendo assai vicino al legame fondamentale societario, la paura dello straniero. C’era un giovanotto, oggi alla riunione, che minacciava apertamente delle rappresaglie. Be’, è una povera risposta, ma troverà altri pronti ad appoggiarla. E quella Rulag, maledizione, è una opponente formidabile!

— E sai chi è, Bedap?

— Chi è?

— Shevek non te l’ha mai detto? Be’, non ama parlarne. È la madre.

— La madre di Shevek?

Takver annuì. — L’ha lasciato quando aveva due anni. Il padre rimase con lui. Nulla d’inconsueto, naturalmente. Eccetto i sentimenti di Shevek. Egli sente di avere perduto qualcosa di essenziale… tanto lui quanto il padre. Non cerca di trarne qualche principio generale, che i genitori dovrebbero sempre tenere con sé i figli, o qualcosa di simile. Ma l’importanza che la fedeltà riveste per lui, io credo, va ricondotta a questo.

— Quel che è inconsueto — disse Bedap, forte, dimenticando la presenza di Pilun. che gli si era addormentata in braccio, — nettamente inconsueto, sono i sentimenti di Rulag verso di lui! Aspettava soltanto ch’egli si presentasse a una riunione dell’Importazione-Esportazione; la cosa era chiarissima, oggi. Sa che è l’anima del gruppo, e ci odia per causa sua. Perché? Sentimento di colpa? La Società Odoniana si è talmente corrotta che siamo oggi motivati dai sentimenti di colpa?Sai, adesso che mi hai detto questo, quei due si assomigliano. Soltanto che, in lei, è tutto indurito, duro come pietra… morto.

La porta si aprì mentre egli parlava. Entrarono Shevek e Sedik. Sedik aveva dieci anni, era alta per la sua età ed era sottile, tutta lunghe gambe, flessuosa e fragile, con una nube di capelli neri. Dietro di lei venne Shevek; e Bedap, osservandolo nella strana nuova luce della sua parentela con Rulag, lo vide come una persona può qualche volta vedere un amico di lunga, lunghissima data, con una nitidezza a cui contribuisce tutto il passato: la faccia splendida e reticente, piena di vita ma consumata, consumata fino all’osso. Era una faccia intensamente individuale, e tuttavia i connotati erano non soltanto simili a quelli di Rulag, ma anche a quelli di molti anarresiani, un popolo selezionato da una visione di libertà, e adattato a un mondo spoglio: un mondo di distanze, silenzi, solitudini.