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Nella stanza, intanto: molta intimità, commozione, comunione; saluti, risa, Pilun che passava dall’uno all’altro, con poca soddisfazione dell’interessata, per venire coccolata, e la bottiglia che veniva passata dall’uno all’altro per bere; domande, conversazioni. Sedik, inizialmente, fu al centro dell’attenzione, poiché, di tutta la famiglia, era colei che veniva nella stanza con minore frequenza; poi il centro dell’attenzione passò su Shevek. — Che cosa voleva il vecchio sudicione?

— Sei stato all’Istituto? — chiese Takver, voltandosi verso di lui, che le si era seduto accanto.

— Ci sono andato adesso. Sabul mi aveva lasciato questa mattina un messaggio al Gruppo. — Shevek bevve il suo succo di frutta e abbassò la tazza, rivelando un curioso atteggiamento della sua bocca: una non-espressione. — Ha detto che la Federativa di Fisica ha libero un incarico a tempo pieno. Autonomo, permanente.

— Per te, vuoi dire? Laggiù? All’Istituto?

Egli annuì.

— Te l’ha detto Sabul?

— Cerca di arruolarti — disse Bedap.

— Sì, lo credo anch’io. Se non riesci a sradicarlo, addomesticalo, come dicevamo nell’Insediamento del Nord. — Shevek rise, bruscamente e spontaneamente. — E divertente, no? — disse.

— No — disse Takver. — Non è divertente. È disgustoso. Anzi, come hai potuto andare a parlare con lui? Dopo tutte le calunnie che ha diffuso sul tuo conto, le bugie sul fatto che i Princìpi erano stati rubati a lui, e il non averti detto che gli urrasiani ti avevano dato quel premio, e poi, l’anno scorso, quando ha fatto sciogliere quei ragazzi che avevano organizzato la serie di lezioni e li ha fatti allontanare a causa della tua «influenza cripto-autoritaristica» su di loro… proprio tu, un autoritarista! … è stato vomitevole, imperdonabile. Come puoi comportarti urbanamente con un uomo simile?

— Be’, non è soltanto Sabul, lo sai. Sabul è solo il portavoce.

— Lo so, ma a lui piace fare il portavoce. E si è comportato in modo schifoso per tanto tempo! Be’, cosa gli hai detto?

— Ho temporeggiato… come diresti tu — disse Shevek, e rise di nuovo. Takver lo osservò nuovamente, poiché adesso era certa che, nonostante il suo controllo, egli era in uno stato di tensione o di eccitazione estrema.

— Dunque, non gli hai detto un no deciso?

— Ho detto che alcuni anni fa mi ero ripromesso di non accettare alcuna assegnazione regolare di lavoro, per essere in grado di svolgere lavoro teorico. E così egli ha detto che, trattandosi di un incarico autonomo, sarei stato pienamente libero di portare avanti la ricerca che stavo facendo, e che lo scopo di dare a me l’incarico era quello di… sentite come l’ha messa lui… «facilitare l’accesso alla strumentazione sperimentale dell’Istituto, e ai regolari canali di pubblicazione e di diffusione.» Le edizioni del CDP, in altre parole.

— Be’, allora hai vinto — disse Takver, guardandolo con una strana espressione. — Hai vinto. Stamperanno ciò che tu scrivi. È quello che volevi quando siamo tornati qui cinque anni fa. I muri sono stati abbattuti.

— Ci sono dei muri dietro ai muri — disse Bedap.

— Avrò vinto soltanto se accetterò l’incarico. Sabul mi offre di… legalizzarmi. Di rendermi ufficiale. Allo scopo di separarmi dal Gruppo dell’Iniziativa. Non appare anche a te che sia questo il suo motivo, Bedap?

— Certo — disse Bedap. La sua faccia era cupa. — Dividi per indebolire.

— Ma riportare Shevek nell’Istituto, e stampare nelle edizioni del CDP ciò ch’egli scrive, è dare implicitamente un’approvazione a tutto il Gruppo, no?

— Potrebbe significare questo per molte persone — disse Shevek.

— No, non lo significherebbe affatto — disse Bedap. — Verrà spiegato. Il grande fisico è stato fuorviato da un gruppo di dissidenti, per un certo periodo. Gli intellettuali si lasciano sempre fuorviare, poiché essi pensano a cose irrilevanti come il tempo, lo spazio e la realtà, cose che non hanno niente a che vedere con la vita quotidiana, e così vengono facilmente ingannati dai cattivi deviazionisti. Ma i buoni Odoniani dell’Istituto gli hanno cortesemente spiegato i suoi errori, ed egli è ritornato sul sentiero della verità social-organica. Privando così il Gruppo dell’Iniziativa del suo unico concepibile elemento capace di richiamare seriamente l’attenzione di tutti gli abitanti di Urras e Anarres.

— Non intendo abbandonare il Gruppo, Bedap.

Bedap sollevò la testa e disse dopo un attimo: — No, so che non intendi farlo.

— Bene. Andiamo a pranzo. Ho la pancia che borbotta: la senti, Pilun? Rrowr, rrowr!

— Ohp! — disse Pilun, in tono di comando. Shevek la afferrò e poi si raddrizzò, portandola sulla propria spalla. Dietro la sua testa e quella della bambina, l’unica scultura mobile appesa nella stanza oscillò piano. Era una grossa scultura, fatta di fili appiattiti, che, di lato, quasi scomparivano alla vista; avevano forma ovale, e questi ovali, di tempo in tempo, sparivano; ugualmente sparivano, in certe condizioni di luce, le sottili e trasparenti bolle di vetro che si muovevano nell’interno dei fili ovali e che formavano orbite ellissoidali intorno al centro comune, senza mai incontrarsi completamente, senza mai totalmente separarsi. Takver la chiamava Abitazione del Tempo.

Si recarono alla mensa di Pekesh, e attesero che la tabella indicasse una rinuncia, in modo da poter portare Bedap come ospite. Bedap si registrò presso la mensa, e questo suo atto lo cancellò dalla mensa in cui mangiava di solito: il sistema era coordinato da un calcolatore, sull’intera città. Era uno dei «processi omeostatici» altamente meccanizzati favoriti dai primi Coloni e che persistevano soltanto ad Abbenay. Come vari altri metodi meno sofisticati che venivano usati altrove, esso non funzionava mai perfettamente; c’erano carenze, eccessi e frustrazioni, ma niente di grave. Le rinunce alla mensa di Pekesh erano rare, poiché la sua cucina godeva la fama di essere la migliore di Abbenay e aveva una tradizione di grandi cuochi. Infine apparve un’apertura, ed essi entrarono. Due giovani che Bedap conosceva di vista e che erano vicini di domicilio di Shevek e Takver si unirono a loro al tavolo. Altri non vennero… o non vollero venire? Qual era l’ipotesi corretta? Non parve importare. Mangiarono un buon pasto e passarono piacevolmente il tempo chiacchierando tra loro. Ma ogni tanto Bedap provò l’impressione che intorno a loro ci fosse un cerchio di silenzio.

— Non so che cosa inventeranno ancora gli urrasiani — disse, e sebbene stesse parlando senza impegno, scoprì, con fastidio, di avere abbassato la voce. — Hanno chiesto di venire qui, e hanno chiesto a Shevek di andare da loro; quale sarà la loro prossima mossa?

— Non sapevo che avessero chiesto a Shevek di andare da loro — disse Takver, corrugando leggermente la fronte.

— Sì, lo sapevi — disse Shevek. — Quando mi hanno detto di avermi dato il premio, sai, il Seo Oen, mi hanno chiesto se potevo andare, ricordi? Per prendere il denaro del premio! — Shevek sorrise, radioso. Anche se c’era un cerchio di silenzio intorno a loro, egli non se ne preoccupava: era sempre stato solo.

— Vero. Lo sapevo. Soltanto, non mi era parsa una possibilità concreta. Da decadi parlate di suggerire alla riunione del CDP che qualcuno si rechi su Urras, tanto per sconvolgerli.