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All’improvviso, Phade si mostrò piena d’interesse per la mappa in rilievo.

— E la guerra in corso… spaventosa. Attaccherai o ti difenderai?

— Questo dipende da Ervis Carcolo — disse Joaz. — Debbo solo attendere che si scopra. — Poi, abbassando lo sguardo sulla mappa, aggiunse pensieroso: — È abbastanza abile per causarmi danni, a meno che io mi muova con prudenza.

— E se i Basici tornano mentre tu combatti contro Carcolo?

Joaz sorrise. — Forse allora fuggiremo tutti nei Labirinti. Forse combatteremo tutti.

— Io mi batterò al tuo fianco — dichiarò Phade, assumendo un’aria coraggiosa. — Attaccheremo la grande astronave dei Basici, sfidando i raggi termici, deviando le scariche d’energia. Assedieremo il portale. Tireremo il naso al primo scorridore che si affaccerà!

— C’è una piccola lacuna nella tua strategia, altrimenti così saggia — disse Joaz. — Come si fa a prendere un Basico per il naso?

— In tal caso — disse Phade — li prenderemo per il… — Girò la testa, sentendo un rumore nel corridoio. Joaz attraversò la sala, spalancò la porta. Il vecchio Rife, il siniscalco, si fece avanti. — Mi avevi detto di chiamarti quando la bottiglia si fosse rovesciata o si fosse rotta. Ebbene, s’è rovesciata e si è rotta.

Joaz passò davanti a Rife e si avviò correndo per il corridoio. — Cosa significa? — chiese Phade. — Rife, perché quello che hai detto lo ha tanto sconvolto?

Rife scosse il capo, freneticamente. — Sono sconcertato quanto te. Mi ha indicato una bottiglia. «Sorvegliala giorno e notte»… mi ha ordinato. E poi: «Quando la bottiglia si rompe o si rovescia, chiamami subito». Mi sono detto che si trattava sicuramente d’una sinecura. E mi sono domandato se Joaz mi considerava tanto rimbambito da accontentarmi di una mansione inutile, come sorvegliare una bottiglia. Sono vecchio, il mento mi trema, ma non sono stupido. E, con mia grande sorpresa, la bottiglia si è rotta! La spiegazione, certo, è semplice. È caduta sul pavimento. Tuttavia, pur senza sapere cosa significhi, ho obbedito agli ordini e ne ho informato Joaz Banbeck.

Phade si agitava spazientita.

— E dov’è la bottiglia?

— Nello studio di Joaz Banbeck.

Phade corse via a tutta la velocità consentitale dalla guaina che le stringeva le cosce; prese una galleria traversa, superò la Via di Kergan passando per un ponte coperto e salì una rampa che conduceva all’appartamento di Joaz.

Phade corse per la lunga galleria, attraversò l’anticamera, dove una bottiglia rotta stava sul pavimento, si precipitò nello studio e si fermò sbalordita. Non c’era nessuno. Notò che una sezione degli scaffali era spostata ad angolo. Senza far rumore, timorosamente, attraversò la stanza e sbirciò giù nel laboratorio.

Era una scena strana. Joaz stava ritto, negligentemente, sorridendo imperturbabile, mentre in fondo alla stanza un sacerdote nudo cercava con aria grave di spostare una barriera che era scesa di scatto attraverso un tratto del muro. Ma la grata era ingegnosamente fissata, e gli sforzi del sacerdote erano inutili.

Si voltò, lanciò un’occhiata a Joaz, e poi si mosse per passare nello studio.

Phade trattenne il respiro e indietreggiò.

Il sacerdote passò nello studio e si diresse alla porta.

— Un momento — disse Joaz. — Desidero parlare con te.

Il sacerdote si soffermò e girò la testa con aria mite e interrogativa. Era giovane, e aveva un volto blando, vacuo, quasi bello. La pelle fine, trasparente, era tesa sulle ossa chiare. Gli occhi grandi, azzurri, innocenti, sembravano fissi e sfocati. Aveva una struttura delicata e scarna. Le mani erano esili e le dita tremavano come per una sorta di squilibrio nervoso. La lunga chioma castana gli scendeva sul dorso, fin quasi alla vita.

Joaz sedette con ostentata lentezza, senza distogliere gli occhi dal sacerdote. Poi parlò, in un tono acuto, minaccioso. — Giudico il tuo comportamento tutt’altro che gradito. — Era una dichiarazione che non richiedeva una risposta, e il sacerdote non disse nulla.

— Accomodati, prego — disse Joaz. Indicò una panca. — Hai molte spiegazioni da dare.

Era solo l’immaginazione di Phade? Oppure una scintilla di divertimento guizzò e si spense quasi istantaneamente negli occhi del sacerdote? Ma non disse nulla neppure questa volta. Joaz, adattandosi alle bizzarre regole cui bisognava adeguarsi nel comunicare con i sacerdoti, chiese: — Vuoi sederti?

— Non ha importanza — disse il sacerdote. — Poiché ora sono in piedi, resterò in piedi.

Joaz si alzò e compì un gesto che non aveva precedenti. Spinse la panca dietro al sacerdote, batté sulla parte posteriore dei ginocchi nodosi e spinse con fermezza il sacerdote, costringendolo a sedere. — Poiché adesso sei seduto — gli disse — tanto vale che tu rimanga seduto.

Con mite dignità, il sacerdote tornò ad alzarsi. — Starò in piedi.

Joaz scrollò le spalle. — Come preferisci. Intendo rivolgerti alcune domande. Spero che collaborerai e risponderai con precisione.

Il sacerdote sbatté le palpebre come un gufo.

— Lo farai?

— Certamente. Tuttavia, preferirei andarmene come sono venuto.

Joaz non badò a quel commento. — Innanzi tutto — chiese — perché vieni nel mio studio?

Il sacerdote parlò cautamente, con il tono che avrebbe potuto usare con un bambino. — Il tuo linguaggio è vago. Sono confuso e non debbo rispondere, poiché sono vincolato da un voto a dire soltanto la verità a chiunque la richieda.

Joaz si sistemò sulla sedia. — Non c’è fretta. Sono disposto a una lunga discussione. Permettimi di chiederti, dunque: hai avuto qualche impulso che puoi spiegarmi, e che ti ha indotto o costretto a venire nel mio studio?

— Sì.

— Quanti di tali impulsi riconosci?

— Non so.

— Più d’uno?

— Forse.

— Meno di dieci?

— Non so.

— Uhm… Perché sei incerto?

— Non sono incerto.

— Perché non puoi precisare il numero che ti ho chiesto?

— Tale numero non esiste.

— Capisco… Vuoi dire, forse, che vi sono diversi elementi di un unico motivo che ha indotto il tuo cervello a impartire ordini ai tuoi muscoli, affinché ti portassero qui?

— È possibile.

Le labbra sottili di Joaz si torsero in un fievole sorriso di trionfo. — Puoi descrivere un elemento del motivo decisivo?

— Sì.

— Allora descrivilo.

Era un imperativo, e il sacerdote era inaccessibile agli imperativi. Ogni forma di coercizione nota a Joaz, il fuoco, la spada, la sete, la mutilazione, per un sacerdote non era altro che un fastidio: l’ignorava come se non esistesse. L’unico mondo della realtà era il suo personale mondo interiore. Agire o reagire nei confronti degli affari degli Uomini Totali lo avrebbe sminuito. La passività totale e la totale sincerità erano i suoi comportamenti inevitabili. Joaz se ne rese conto e formulò il comando in modo diverso: — Sai pensare a un elemento del motivo che ti ha spinto a venire qui?

— Sì.

— Qual è?

— Il desiderio di girovagare.

— Sai pensarne un altro?

— Sì.

— Quale?

— Il desiderio di camminare.

— Capisco… Tra parentesi, stai cercando di eludere le mie domande?

— Io rispondo alle domande che tu mi rivolgi. Finché lo faccio, finché schiudo la mia mente a tutti coloro che cercano la conoscenza, poiché questo è il nostro credo, non posso eludere le domande.

— Se lo dici tu. Tuttavia, non mi hai dato una risposta che io possa ritenere soddisfacente.

L’unica reazione del sacerdote a quel commento fu una dilatazione quasi impercettibile delle pupille.