Il Demie si accasciò all’improvviso in un piccolo involucro arido, come una zanzara morta. A velocità incredibile, Joaz fuggì attraverso le grotte, le gallerie, risalì nel laboratorio, nello studio, nella sua camera da letto, dove si levò di scatto, con gli occhi sbarrati, la gola gonfia e la bocca secca.
La porta si aprì; si affacciò Rife. — Hai chiamato, signore?
Joaz si puntellò sui gomiti e si guardò intorno. — No, non ho chiamato.
Rife si ritirò. Joaz si riadagiò sul letto, e restò immobile a fissare il soffitto.
Aveva fatto un sogno molto bizzarro. Un sogno? Una sintesi delle sue fantasticherie? Oppure era stato veramente un confronto e un dialogo tra due menti? Era impossibile accertarlo, e forse non aveva neppure importanza. L’evento era comunque significativo.
Joaz buttò le gambe giù dal letto, guardando il pavimento. Sogno o incontro, era la stessa cosa. Si alzò, infilò i sandali e una vestaglia di pelliccia gialla, e salì, zoppicando imbronciato, nella Sala del Consiglio, poi uscì su un balcone soleggiato.
Erano già trascorsi due terzi della giornata. Le ombre si addensavano lungo gli strapiombi a occidente. A destra e a sinistra si estendeva la Valle dei Banbeck. Non gli era mai sembrata più prospera e fertile, né più irreale; come se lui fosse uno straniero, su quel pianeta. Guardò a nord, lungo il grande bastione di pietra che si innalzava perpendicolarmente verso l’Orlo dei Banbeck.
Anche quello era irreale: una facciata dietro cui vivevano i sacerdoti. Scrutò la parete di roccia, sovrapponendovi l’immagine mentale della grande grotta. Lo strapiombo, verso l’estremità settentrionale della valle, doveva essere poco più di un guscio sottile!
Joaz volse lo sguardo verso il campo degli esercizi, dove i Massacratori eseguivano energicamente evoluzioni difensive. Com’era strana la vita che aveva prodotto Basici e Massacratori, sacerdoti e uomini come lui. Pensò a Ervis Carcolo, e lottò contro un’improvvisa esasperazione. Carcolo era un fattore di distrazione molto inopportuno, al momento. Non vi poteva essere tolleranza, quando fosse venuto il giorno della resa dei conti con lui.
Un passo lieve alle sue spalle, la pressione d’un colletto di pelliccia, il tocco di mani gaie, il profumo d’incenso. Le tensioni di Joaz si dissolsero.
Se non fossero esistite creature come le menestrelle, sarebbe stato necessario inventarle.
Nelle viscere della roccia, sotto la Scarpata dei Banbeck, in una stanzetta illuminata da un candelabro a dodici fiale, sedeva in silenzio un uomo nudo e canuto. Su un piedistallo all’altezza dei suoi occhi stava il suo tand, una complessa struttura di verghe d’oro e di fili d’argento, intrecciati e piegati apparentemente a casaccio. La casualità del disegno, tuttavia, era soltanto apparente. Ogni curva raffigurava un aspetto della Percezione Finale. L’ombra gettata sulla parete rappresentava il Razionale, sempre mutevole, sempre identico. L’oggetto era sacro, per i sacerdoti, e serviva come fonte di rivelazione.
Lo studio del tand non aveva mai fine. Si traevano continuamente intuizioni nuove da qualche relazione tra angoli e curve, trascurata in precedenza. La nomenclatura era complessa: ogni parte, ogni giuntura, ogni curva e ogni torsione aveva il suo nome; anche gli aspetti delle relazioni tra le varie parti erano suddivisi in categorie. Era il culto del tand: astruso, difficile, senza compromessi. In occasione dei riti della pubertà, il giovane sacerdote poteva studiare il tand originale per tutto il tempo che desiderava. Poi ognuno doveva costruire un duplicato, affidandosi esclusivamente alla memoria. Quindi veniva l’evento più significativo della sua vita: l’esame del suo tand da parte di un sinodo di anziani.
In un silenzio che sgomentava, per ore e ore, essi studiavano la sua creazione, soppesavano le variazioni infinitesimali nelle proporzioni, nel raggio, nelle curve e negli angoli. Ne deducevano le qualità dell’iniziato, giudicavano i suoi attributi personali, determinavano la sua comprensione della Percezione Finale, il Razionale e la Base.
Talora la testimonianza del tand rivelava una personalità così inquinata da risultare intollerabile. Il tand spregevole veniva gettato in una fornace, il metallo fuso era versato in una latrina, lo sventurato iniziato veniva espulso sulla superficie del pianeta, a vivere a modo suo.
Il Demie, nudo e canuto, contemplando il suo bellissimo tand, si mosse irrequieto. Era stato visitato da un’influenza così ardente, appassionata, nel contempo così crudele e tenera, che si sentiva la mente oppressa. Involontariamente, nei suoi pensieri si insinuò un nero filo di dubbio.
“È possibile” si chiese “che senza rendercene conto ci siamo discostati dal vero Razionale? Studiamo i nostri tand con occhi accecati?… Come posso saperlo, oh, come posso? Tutto è relativamente fàcile e agevole nell’ortodossia, eppure come si può negare che il bene sia in se stesso innegabile? Gli assoluti sono le formulazioni più incerte, mentre le incertezze sono le più reali…”
Venti miglia oltre le montagne, nella lunga luce pallida del pomeriggio di Aerlith, Ervis Carcolo faceva i suoi piani. — Osando, attaccando con forza, colpendo a fondo, riuscirò a sconfiggerlo! Sono superiore a lui per decisione, coraggio e perseveranza. Non mi ingannerà più, non massacrerà più i miei draghi e non ucciderà più i miei uomini! Oh, Joaz Banbeck, come ti farò pagare il tuo inganno! — Levò le braccia, rabbiosamente. — Oh, Joaz Banbeck, pecora dalla faccia slavata! — Carcolo sferrò pugni nell’aria. — Ti schiaccerò come una zolla di muschio secco!
Aggrottò la fronte, massaggiandosi il mento rotondo e arrossato. Ma come? Dove? Lui aveva tutti i vantaggi! Carcolo esaminò i suoi possibili stratagemmi. — Aspetterà che io attacchi. Questo è certo. Senza dubbio tenderà un’altra imboscata. Perciò pattuglierò ogni spanna di terreno, ma lui prevedere anche questo, e starà in guardia perché io non gli piombi addosso dall’alto. Si nasconderà dietro Monte Disperazione, o lungo la Guardia del Nord, per sorprendermi mentre attraverso la Skanse? In tal caso, debbo avvicinarmi seguendo un altro percorso… attraverso il Passo del Pianto e sotto Monte Gethron? Allora, se ritarderà nella marcia, lo incontrerò sull’Orlo dei Banbeck. Altrimenti, lo seguirò tra i picchi e i crepacci…
VIII
Bersagliati dalla pioggia fredda dell’alba, sulla pista rischiarata soltanto dal bagliore dei lampi, Ervis Carcolo, i suoi draghi e i suoi uomini partirono. Quando la prima spera di sole toccò Monte Disperazione, avevano già superato il Passo del Pianto.
Fin lì, tutto bene, esultò Ervis Carcolo. Si alzò sulle staffe per scrutare il Burrone della Stella Spezzata. Non c’era traccia delle forze di Banbeck. Attese, esplorando con lo sguardo il limitare lontano della Catena della Guardia del Nord, nera contro il cielo. Trascorse un minuto. Poi due minuti. Gli uomini battevano le mani, i draghi borbottavano e mormoravano, frenetici.
L’impazienza cominciò a formicolare lungo le costole di Carcolo, che si agitava e imprecava. Possibile che neppure il piano più semplice potesse venire realizzato senza errori? Ma poi scorse il balenio di un eliografo dalla Guglia di Barch, e un altro a sud-est, sui pendii di Monte Gethron. Carcolo agitò il braccio, segnalando al suo esercito di avanzare: la strada attraverso il Burrone della Stella Spezzata era sgombra. L’esercito della Valle Beata scese dal Passo del Pianto: prima venivano gli Assassini dal Lungo Corno, con lo sperone d’acciaio e le creste appuntite; poi l’ondeggiante marea rossa dei Rissosi, che muovevano a scatti la testa mentre correvano; e dietro il resto delle forze.
Il Burrone della Stella Spezzata si spalancava davanti a loro, un pendio ondulato cosparso di frammenti di selce d’origine meteorica che scintiUavano come fiori sul muschio verdegrigio. Da ogni parte s’innalzavano picchi maestosi, coperti di neve che sfolgorava bianca nella chiara luce del mattino: Monte Gethron, Monte Disperazione, la Guglia di Barch e, più lontano, verso sud, la Sfera dell’Anello.