Eppure… nella loro arroganza, non poteva darsi che ignorassero la possibilità di un’azione tanto insolente?
L’indecisione tormentava Joaz. Poi una raffica di pallottole esplosive squarciò la guglia che ospitava il suo appartamento. Il reliquario, l’antico tesoro dei Banbeck, stava per venire distrutto… Joaz fece un gesto alla cieca, balzò in piedi, e chiamò a sé il Signore dei draghi più vicino.
— Radunate gli Assassini, tre squadre di Rissosi, due dozzine di Orrori Azzurri, dieci Diavoli, tutti i cavalieri. Saliamo sull’Orlo dei Banbeck. Scenderemo dal Crepaccio Clybourne. Attaccheremo la nave!
Il signore dei draghi se ne andò. Joaz si abbandonò a lugubri fantasticherie. Se i Basici avevano avuto intenzione di attirarlo in una trappola, stavano per riuscirci.
Il Signore dei draghi ritornò. — Il contingente è radunato.
— Partiamo.
Uomini e draghi risalirono il canalone, uscirono sull’Orlo dei Banbeck. Deviando verso sud, raggiunsero l’inizio del Crepaccio Clybourne.
Un cavaliere alla testa della colonna fece improvvisamente segno di fermarsi. Quando Joaz lo raggiunse, indicò le orme sul fondo della spaccatura. — Di qui sono passati di recente uomini e draghi.
Joaz studiò le impronte. — Sono scesi lungo il crepaccio.
— Sì.
Joaz inviò un gruppo di esploratori che poco dopo ritornarono galoppando all’impazzata. — Ervis Carcolo, con uomini e draghi, sta attaccando la nave!
Joaz fece girare di scatto il suo Ragno e si lanciò giù per lo stretto canalone, seguito dal suo esercito.
Urla e grida di battaglia giunsero fino a loro, quando si avvicinarono all’imboccatura del crepaccio. Quando irruppe sul fondovalle, Joaz vide una scena di disperata carneficina. Draghi e Fanti sferravano affondi e fendenti, sparavano con i disintegratori e le pistole termiche. Dov’era Ervis Carcolo? Joaz galoppò temerariamente e andò a guardare attraverso il portello. Era spalancato! Ervis Carcolo era riuscito a entrare con la forza!
Una trappola? Oppure aveva realizzato ciò che Joaz aveva progettato di fare, impadronirsi dalla nave? E i Fanti? I Basici erano disposti a sacrificare quaranta guerrieri per catturare un pugno d’uomini. Era irragionevole… ma intanto i Fanti resistevano. Avevano una falange, e concentravano l’energia delle loro armi sui draghi che ancora li attaccavano. Una trappola? Se lo era, era già scattata… a meno che Carcolo avesse ormai catturato la nave. Joaz si sollevò sulla sella, diede un segnale alla sua compagnia. — All’attacco!
I Fanti erano spacciati. Gli Assassini dai Grandi Passi li falciavano dall’alto, gli Assassini dal Lungo Corno li trafiggevano dal basso, gli Orrori Azzurri li dilaniavano, li smembravano. La battaglia era finita, ma Joaz, con gli uomini e i Rissosi, si era già lanciato alla carica su per la rampa. Dall’interno giungevano il ronzio e il rombo dell’energia, e voci umane… grida e urla di furore.
L’immensità della nave colpì Joaz. Si fermò di colpo e sbirciò incerto all’interno. Dietro di lui i suoi uomini attendevano, borbottando sottovoce.
Joaz si chiese: “Sono coraggioso come Ervis Carcolo? Comunque, cos’è il coraggio? Sono spaventato: non oso entrare e non oso restare fuori”. — Abbandonò ogni cautela e si precipitò avanti, seguito dai suoi e da un’orda di sfreccianti Rissosi.
Mentre entrava nella nave, Joaz comprese che Ervis Carcolo non era riuscito nella sua impresa. Sopra di lui, i cannoni cantavano e sibilavano ancora. L’appartamento di Joaz si squarciò. Un’altra raffica tremenda investì il Labirinto, scoprendo la pietra nuda del precipizio, e quello che prima era nascosto: l’orlo di un’altra apertura.
Joaz, nella nave, si trovava in un’anticamera. Il portello interno era chiuso. Avanzò, guardò attraverso un vetro rettangolare, e vide una specie di stanzone. Ervis Carcolo e i suoi cavalieri erano rannicchiati contro la parete di fondo, sorvegliati distrattamente da una ventina di Armieri. Alcuni Basici riposavano in un’alcova laterale, rilassati, silenziosi, in atteggiamento contemplativo.
Carcolo e i suoi uomini non si erano arresi completamente. Mentre Joaz osservava, Carcolo balzò furiosamente avanti. Una scarica purpurea d’energia lo centrò, lo scagliò contro la parete.
Dall’alcova uno dei Basici, girando lo sguardo, scorse Joaz Banbeck. Mosse rapidamente una branchia e toccò una leva. Risuonò il sibilo allarme e il portello esterno si chiuse. Una trappola? Un’azione d’emergenza? Il risultato era identico. Joaz fece un cenno a quattro uomini carichi di pesanti fardelli. Quelli avanzarono, s’inginocchiarono, piazzarono sul ponte quattro dei cannoni disintegratori che i Giganti avevano portato nel Labirinto.
Joaz alzò il braccio. I cannoni eruttarono; il mantello scricchiolò, si fuse: odori acri saturarono l’anticamera. La breccia era troppo piccola. — Ancora! — I cannoni fiammeggiavano, il portello interno si dissolse.
Dalla breccia balzarono gli Armieri, sparando con le pistole a energia. Il fuoco purpureo falciò le file degli uomini di Banbeck, che si raggomitolarono, si contorsero, si accasciarono, caddero con le dita contratte e i volti sfigurati. Prima che i cannoni potessero rispondere, guizzarono avanti sagome dalle scaglie rosse: i Rissosi. Sibilando e urlando, travolsero gli Armieri, fecero irruzione nella grande camera. Si arrestarono di colpo davanti all’alcova occupata dai Basici, come sbalorditi. Gli uomini che si affollavano dietro di loro ammutolirono. Perfino Carcolo osservava affascinato.
I Basici fronteggiavano i loro derivati, e ognuno vedeva nell’altro la propria caricatura. I Rissosi avanzarono con sinistra lentezza. I Basici agitarono le branchie, fischiarono, pigolarono. I Rissosi accelerarono, balzarono nell’alcova.
Vi fu un orribile tumulto gracchiante. Joaz, preso da una nausea istintiva, dovette distogliere lo sguardo. La lotta terminò presto.
Nell’alcova c’era silenzio. Joaz si voltò a guardare Ervis Carcolo che ricambiò l’occhiata, ammutolito dalla rabbia, dall’umiliazione, dal dolore e dalla paura.
Quando finalmente ritrovò la voce, Carcolo fece un goffo gesto di furibonda minaccia. — Vattene — gracchiò. — Rivendico questa nave. Se non vuoi giacere del tuo sangue, lasciami quel che ho conquistato!
Joaz lanciò uno sbuffo di disprezzo e voltò le spalle a Carcolo, che trasse un profondo respiro e si avventò con una bestemmia soffocata. Bast Givven l’afferrò e lo trascinò indietro. Carcolo si dibatté. Givven gli parlò concitatamente all’orecchio, e alla fine Carcolo si calmò, quasi piangendo.
Joaz, intento, esaminava la camera. Le pareti erano grigie e disadorne; il ponte era rivestito di elastica schiuma nera. Non c’erano lampade, ma la luce era onnipresente: si irradiava dalle pareti. L’aria agghiacciava la pelle, e aveva uno sgradevole odore acre, che prima Joaz non aveva notato. Tossì. I timpani gli ronzavano.
Un sospetto spaventoso si trasformò in certezza. Con le gambe pesanti balzò verso il portello, chiamando a cenni le sue truppe. — Fuori! Ci avvelenano! — Uscì barcollando sulla rampa, aspirò boccate d’aria pura. I suoi uomini e i Rissosi lo seguirono e poi, correndo e traballando, arrivarono anche Ervis Carcolo e i suoi. Il gruppo si fermò all’ombra dell’enorme scafo: tutti ansimavano, barcollavano sulle gambe inerti, con gli occhi offuscati e lacrimosi.
Sopra di loro, ignari o noncuranti della loro presenza, i cannoni della nave scagliarono un’altra raffica. La guglia che racchiudeva l’appartamento di Joaz vacillò, crollò. Il Labirinto non era più che un mucchio di frammenti di pietra che scivolava entro un’altra apertura ad arco. Oltre quel varco Joaz intravide una sagoma scura, un brillio, una lucentezza, una struttura… poi venne distratto da un suono minaccioso alle sue spalle. Da un portello, all’altra estremità della nave, era uscito un nuovo contingente di Fanteria Pesante. Tre nuove squadre di venti uomini ciascuna, accompagnate da una dozzina di Armieri con quattro proiettori mobili.