Выбрать главу

Joaz arretrò, sbigottito.

Diede uno sguardo alle sue truppe. Non erano in condizioni d’attaccare né di difendersi. Restava una sola possibilità: la fuga. — Via, al Crepaccio Clybourne! — gridò con voce impastata.

Barcollando, traballando, i resti dei due eserciti fuggirono, sotto la curva della grande nave nera. Dietro di loro i Fanti avanzarono decisi, ma senza fretta.

Quando girò intorno alla nave, Joaz si fermò di colpo. All’imboccatura del Crepaccio Clybourne attendeva una quarta squadra di Fanti, con un altro Armiere e la sua arma.

Joaz guardò a destra e a sinistra, su e giù per la valle. Da che parte fuggire? Il Labirinto? Non esisteva più. Un movimento lento e ponderoso nell’apertura che prima era nascosta dalle rocce ammassate attirò la sua attenzione. Ne uscì un oggetto scuro. Una serranda si spostò, scintillò un disco luminoso. Quasi immediatamente, un sottile raggio di luce azzurra lattiginosa scaturì trapassando il disco terminale della nave dei Basici.

All’interno, i macchinari torturati ronzarono, con suoni che salivano e scendevano contemporaneamente di tono, fino a diventare inudibili. La lucentezza dei dischi terminali svanì: divennero grigi, opachi; il brusio d’energia e di vita che prima pervadeva l’astronave lasciò il posto a un silenzio di morte. La nave stessa era morta: e la sua massa, all’improvviso privata del sostegno, si schiacciò gemendo nel suolo.

I Fanti alzarono costernati gli occhi verso lo scafo che li aveva portati su Aerlith. Joaz, approfittando di quell’indecisione, gridò: — Ritirata! A nord, su per la valle!

I Fanti li seguirono, caparbiamente. Gli Armieri, però, gridarono l’ordine di fermarsi. Piazzarono le armi, le puntarono sulla caverna dietro il Labirinto. Nell’apertura, figure nude si muovevano con fretta frenetica. Vi fu un lento spostamento di macchinari massicci, poi un cambiamento delle luci e delle ombre, e ancora una volta scaturì il raggio di luce azzurra, lattiginosa, e si abbassò.

Armieri, arma, due terzi dei Fanti svanirono come falene in una fornace. I Fanti superstiti si fermarono, ripiegarono incerti verso la nave.

L’altra squadra di Fanteria Pesante attendeva ancora all’imboccatura del Crepaccio Clybourne. L’unico Armiere rimasto stava chino sul suo congegno a tre ruote.

Con estrema meticolosità regolò l’arma. Nell’apertura buia i sacerdoti nudi lavoravano furiosamente, spingendo, premendo: la tensione dei loro muscoli, dei cuori e delle menti si comunicava a ognuno degli uomini presenti nella valle. Il raggio di luce azzurra splendette di nuovo, ma troppo presto: fuse la roccia cento braccia più a sud del Crepaccio Clybourne, e dal congegno dell’Armiere scaturì una lingua di fiamma verde e arancione. Dopo pochi secondi, l’imboccatura della grotta dei sacerdoti eruttò. Pietre, corpi, frammenti di metallo, di vetro e di gomma balzarono in aria.

Il suono dell’esplosione riverberò in tutta la valle. E l’oggetto scuro era stato distrutto, non era altro che frammenti e brandelli di metallo.

Joaz trasse tre profondi respiri, liberandosi dell’effetto del gas narcotico per pura forza di volontà, Fece un segnale ai suoi Assassini. — Caricate! Uccidete!

Gli Assassini avanzarono.

I Fanti si buttarono ventre a terra, puntarono le pistole, ma morirono ben presto. Dall’imboccatura del Crepaccio Clybourne l’ultima squadra caricò all’impazzata, e venne immediatamente attaccata dai Rissosi e dagli Orrori Azzurri che erano avanzati strisciando lungo la base dello strapiombo. L’Armiere venne dilaniato da un Assassino. Non vi fu altra resistenza nella valle, e la nave rimase esposta all’attacco.

Joaz guidò di nuovo i suoi su per la rampa, nello stanzone ormai buio. I cannoni tolti ai Giganti giacevano dove li avevano abbandonati i suoi uomini.

Nella camera c’erano tre porte, che vennero rapidamente bruciate. Dietro la prima c’era una rampa a spirale; dietro la seconda, un lungo corridoio vuoto fiancheggiato da file di cuccette. Oltre la terza stava un corridoio identico: ma le cuccette erano occupate. Volti pallidi si affacciarono, mani pallide si agitarono. Su e giù per la corsia centrale marciavano tozze sorveglianti in abiti grigi. Ervis Carcolo si avventò, scaraventando le sorveglianti sul ponte, sbirciando nelle cuccette. — Fuori! — urlò. — Siete salvi. Fuori, presto, finché è ancora possibile!

Ma fu necessario sopraffare la resistenza di mezza dozzina di Armieri e Battitori; non ve ne fu da parte di venti Meccanici, uomini piccoli e magri dai lineamenti aguzzi e dai capelli scuri, né da parte dei sedici Basici superstiti.

Tutti vennero condotti fuori dalla nave come prigionieri.

XIII

Il silenzio saturava il fondovalle: il silenzio dello sfinimento. Uomini e draghi stavano sdraiati sui campi calpestati. I prigionieri erano raccolti in un gruppo desolato accanto alla nave. Di tanto in tanto un suono sottolineava il silenzio: lo scricchiolio del metallo che si raffreddava all’interno della nave, la caduta di una roccia dagli strapiombi sventrati; qualche mormorio della gente liberata della Valle Beata, che stava in gruppo, separata dai guerrieri superstiti.

Solo Ervis Carcolo sembrava non trovare requie. Per un po’ rimase ritto, voltando le spalle a Joaz, battendosi la coscia con la nappa del fodero. Contemplò il cielo dove Skene, un atomo abbagliante, stava librato poco al di sopra dei precipizi occidentali, studiò lo squarcio al nord della valle, ingombrato dai resti contorti del congegno dei sacerdoti. Si diede un ultimo colpo alla coscia, guardò Joaz Banbeck, e si voltò per avviarsi verso la gente della Valle Beata, facendo movimenti bruschi e privi di significato, soffermandosi qua e là per arringare o lusingare, nell’evidente tentativo di ispirare energia e decisione al suo popolo sconfitto.

Ma non vi riuscì. Dopo un po’ girò bruscamente sui tacchi e attraversò il campo, dirigendosi verso il punto in cui stava sdraiato Joaz Banbeck.

Carcolo abbassò gli occhi su di lui. — Bene, dunque — disse baldanzoso. — La battaglia è finita, la nave conquistata.

Joaz si sollevò su un gomito. — È vero.

— Non voglio che ci siano malintesi su una cosa, — disse Carcolo. — La nave e il suo contenuto sono miei. Un’antica legge precisa i diritti di colui che attacca per primo. Baso la mia rivendicazione su questa legge.

Joaz alzò lo sguardo sorpreso, quasi divertito. — Secondo una legge ancora più antica, no ho già preso possesso io.

— Lo contesto — disse Carcolo, accalorandosi. — Chi…

Joaz alzò stancamente la mano. — Silenzio, Carcolo! Sei ancora vivo solo perché sono nauseato del sangue e della violenza. Non mettere alla prova la mia pazienza!

Carcolo gli voltò le spalle, rigirando con furia trattenuta la nappa del fodero. Guardò la valle, poi si girò di nuovo verso Joaz. — Stanno arrivando i sacerdoti. Sono stati loro a demolire la nave. Ti ricordo la mia proposta che, se fosse stata accettata, ci avrebbe permesso di evitare questa devastazione e questo massacro.

Joaz sorrise. — Hai fatto la tua proposta solo due giorni fa. Inoltre, i sacerdoti non possiedono armi.

Carcolo lo guardò come se lo credesse impazzito. — E allora come hanno distrutto la nave?

Joaz scrollò le spalle. — Posso fare soltanto qualche congettura.

Carcolo chiese sarcasticamente: — E in che direzione portano le tue congetture?

— Mi chiedo se avevano costruito la struttura di un’astronave. Mi chiedo se hanno puntato contro la nave dei Basici il raggio propulsore.

Carcolo sporse le labbra, dubbioso. — Perché i sacerdoti dovrebbero costruire un’astronave?