A tempo debito, quel commento venne riportato a Ervis Carcolo, e per coincidenza lo toccò sul vivo. In segreto aveva tentato un’innovazione nei suoi allevamenti: un drago massiccio quasi quanto il Massacratore, ma con l’intelligenza feroce e l’agilità dell’Orrore Azzurro. Ma Ervis Carcolo si lasciava guidare da una mentalità intuitiva ed eccessivamente ottimista, ignorando i consigli di Bast Givven, il suo Capo dei Signori dei draghi.
Le uova si schiusero e sopravvisse una dozzina di piccoli. Ervis Carcolo li nutrì a dosi alternate di tenerezza e di maltrattamenti. Alla fine, i draghi divennero adulti.
La sperata combinazione di furia e di invincibilità che era nei progetti di Carcolo si era realizzata in quattro esseri torpidi e irritabili dai toraci enfiati, le zampe filiformi e un appetito insaziabile (- Come se si potesse creare un drago ordinandogli “Esisti!” — confidò sbuffando Bast Givven ai suoi aiutanti, e li consigliò: — State attenti a quelle bestiacce: sono capaci solo di attirarvi a portata delle loro mandibole).
Il tempo, le fatiche, i mezzi e il cibo sprecati per realizzare l’ibrido inutile avevano indebolito l’esercito di Carcolo. Non gli mancavano i fecondi Rissosi. C’erano abbastanza Assassini dal Lungo Corno e Assassini dai Grandi Passi: ma i tipi più pesanti e specializzati, soprattutto i Massacratori, erano tutt’altro che adeguati ai suoi piani.
I ricordi dell’antica gloria della Valle Beata ossessionavano i suoi sogni. Per prima cosa avrebbe soggiogato la Valle dei Banbeck; e spesso immaginava in tutti i particolari la cerimonia con cui avrebbe ridotto Joaz Banbeck al ruolo di apprendista stalliere.
Le ambizioni di Ervis Carcolo erano complicate da una serie di difficoltà sostanziali. La popolazione della Valle Beata era raddoppiata; ma anziché ampliare la città scavando altre gallerie nelle guglie di roccia, Carcolo costruì tre nuovi allevamenti di draghi, una dozzina di caserme e un enorme campo d’addestramento. Gli abitanti della valle potevano scegliere tra l’affollamento nelle fetide gallerie già esistenti e la costruzione di baracche lungo la base dello strapiombo. Gli allevamenti, le caserme, il campo di addestramento e le capanne invadevano i campi, già insufficienti, della Valle Beata. L’acqua veniva fatta deviare dal laghetto per rifornire gli allevamenti. Una percentuale enorme della produzione agricola serviva per nutrire i draghi. Gli abitanti della Valle Beata, sottoalimentati, malaticci, infelici, non condividevano le aspirazioni di Carcolo, che si infuriava per la loro mancanza d’entusiasmo.
Comunque, quando l’itinerante Dae Alvonso ripeté il consiglio di Joaz Banbeck, che Ervis Carcolo si accoppiasse con un Massacratore, Carcolo ribollì di collera. — Puah! Cosa ne sa, Joaz Banbeck, dell’allevamento dei draghi? Non credo che capisca neppure il suo linguaggio dei draghi. — Alludeva al mezzo con cui venivano trasmessi ai draghi gli ordini e le istruzioni: era un gergo segreto che caratterizzava ogni esercito. Imparare la lingua dei draghi dell’avversario era l’aspirazione principale di ogni Signore dei draghi, perché questo consentiva un certo controllo sulle forze nemiche. — Io sono un uomo pratico, e valgo due come lui — continuò Carcolo. — Lui sa forse progettare, nutrire, allevare e istruire i draghi? Sa imporre la disciplina, insegnare la ferocia? No. Lascia tutti questi compiti ai suoi Signori dei draghi, mentre lui ozia su un divano ingozzandosi di dolciumi, e combattendo solo contro la pazienza delle sue menestrelle. Dicono che per mezzo della divinazione astrologica predica il ritorno dei Basici, che cammini con il collo storto per scrutare il cielo. E un uomo simile merita il potere a una vita prospera? Io dico di no! Ervis Carcolo della Valle Beata lo merita? Io dico di sì, e lo dimostrerò.
Dae Alvonso levò la mano con aria sentenziosa. — Calma, calma. È più sveglio di quanto tu creda. I suoi draghi sono in ottime condizioni; e li visita spesso. In quanto ai Basici…
— Non parlarmi dei Basici! — esclamò indignato Carcolo. — Non sono un bambino che si lascia atterrire dagli spauracchi!
Dae Alvonso levò di nuovo la mano. — Ascoltami. Parlo seriamente, e tu potrai trarre vantaggio dalle notizie che ti porto. Joaz Banbeck mi ha condotto nel suo studio privato…
— Il famoso studio, sicuro!
— E da un armadio ha estratto una sfera di cristallo, montata su una base nera.
— Ah! — rise sarcastico Carcolo. — Una sfera di cristallo!
Dae Alvonso proseguì placido, senza far caso all’interruzione. — Ho esaminato il globo, e sembrava veramente che contenesse tutto lo spazio. Nell’interno fluttuavano stelle e pianeti, tutti i corpi celesti dell’ammasso. «Guarda bene» mi ha detto Joaz Banbeck «non vedrai mai, altrove, un oggetto come questo. Fu costruito dagli uomini dell’antichità e venne portato su Aerlith quando vi arrivò il vostro popolo.» «Davvero» ho detto io. «E che cos’è questo oggetto?». «È un armamentario celeste» ha detto Joaz. «Rappresenta tutte le stelle vicine, e le loro posizioni nel tempo che io specifico. Ora» e ha indicato qualcosa «vedi questo punto bianco? È il nostro sole. Vedi questa stella rossa? Nei vecchi almanacchi è chiamata Coralyne. Ci passa accanto a intervalli irregolari, perché tale è il movimento delle stelle in questo ammasso. E tali intervalli hanno sempre coinciso con gli attacchi dei Basici.»
“A questo punto ho espresso il mio sbalordimento, e Joaz mi ha rassicurato. «La storia degli uomini, su Aerlith, registra sei attacchi da parte dei Basici, o greph come venivano chiamati in origine. A quanto pare, via via che Coralyne si sposta nello spazio, i Basici compiono scorrerie sui mondi vicini, alla ricerca di covi nascosti dell’umanità. L’ultima volta è stato molto tempo fa, al tempo di Kergan Banbeck, con il risultato che tu conosci. A quell’epoca, Coralyne ci passò vicino, nei cieli. E per la prima volta, da allora, Coralyne è di nuovo vicina.»
“Questo — disse infine Alvonso a Carcolo — è quanto mi ha riferito Joaz Banbeck, ed è quanto io ho veduto.”
Nonostante tutto, Carcolo era rimasto impressionato. — Vorresti farmi credere — domandò — che entro quel globo si muovono tutte le stelle dello spazio?
— Questo non lo giurerei — rispose Dae Alvonso. — Il globo è inserito in un supporto nero, e io sospetto che un meccanismo interno proietti le immagini, o forse punti luminosi che simulano le stelle. In ogni caso, è un congegno meraviglioso, e sarei orgoglioso di possederlo. Ho offerto in cambio a Joaz Banbeck parecchi oggetti preziosi, ma lui non ha voluto saperne.
Carcolo aggricciò le labbra, disgustato. — Tu e i tuoi bambini rubati! Non ti vergogni?
— Non più dei miei clienti — rispose impassibile Dae Alvonso. — Se non ricordo male, in diverse occasioni ho concluso buoni affari anche con te.
Ervis Carcolo gli voltò le spalle, fingendo di osservare due Rissosi che si esercitavano con le scimitarre di legno. I due uomini stavano accanto a un recinto di pietra, dietro il quale dozzine di draghi si esercitavano a compiere evoluzioni, duellavano con spade e lance, si rafforzavano i muscoli. Le scaglie balenavano. La polvere si sollevava sotto le zampe scalpitanti. L’odore acre del sudore dei draghi saturava l’aria.
Carcolo borbottò: — È furbo, quel Joaz. Sapeva che tu mi avresti riferito tutto dettagliatamente.
Dae Alvonso annuì. — Precisamente. Le sue parole sono state… ma forse farei meglio a mostrarmi discreto. — Lanciò un’occhiata di sottecchi a Carcolo, sotto le folte sopracciglia candide.
— Parla — disse burberamente Ervis Carcolo.
— Benissimo. Bada bene, cito quanto ha detto Joaz Banbeck. «Riferisci a quel vecchio confusionario di Carcolo che è in grave pericolo. Se i Basici ritorneranno ad Aerlith, com’è possibile, la Valle Beata è assolutamente vulnerabile e verrà ridotta in rovina. Dove si nasconderà la sua popolazione? Verrà caricata sulla nave nera e trasportata su un altro, freddo pianeta. Se Carcolo non è completamente senza cuore, scaverà nuove gallerie, preparerà vie nascoste. Altrimenti…»