— Nei suoi principi più ampi, certamente. Tuttavia, non voglio contribuire ad affamare i sacerdoti o a esercitare su di loro una qualunque coercizione. Potrebbe essere pericoloso, oltre che inutile.
Per un istante, Carcolo non riuscì a dominare la sua antipatia per Joaz Banbeck. — Pericoloso? Puah! Che pericolo può rappresentare un pugno di pacifisti nudi?
— Noi non sappiamo se sono pacifisti. Sappiamo che sono uomini.
Carcolo ridiventò cordiale. — Forse hai ragione tu. Ma almeno in sostanza siamo alleati.
— Sino a un certo punto.
— Bene. Propongo che, se si verificasse l’attacco da te temuto, noi si agisca insieme, con una strategia comune.
Joaz annuì, con aria distaccata. — Potrebbe essere efficace.
— Coordiniamo i nostri piani. Presumiamo che i Basici scendano nella Valle dei Banbeck. Propongo che la tua gente si rifugi nella Valle Beata, mentre l’esercito della Valle Beata si unisce al tuo per proteggerne la ritirata. Allo stesso modo, se i Basici attaccassero la Valle Beata, la mia gente si rifugerebbe temporaneamente presso di te nella Valle dei Banbeck.
Joaz rise divertito. — Ervis Carcolo, mi hai scambiato per un pazzo? Ritorna alla tua valle, rinuncia ai tuoi assurdi progetti grandiosi, e fai scavare gallerie protettive. E in fretta! Coralyne brilla intensamente!
Carcolo rimase immobile, irrigidito. — Debbo intendere che respingi la mia offerta d’alleanza?
— No. Ma non posso incaricarmi di proteggere te e la tua gente, se non vi aiutate da soli. Accetta le mie condizioni, dimostrami che sei un alleato valido… e allora potremo riprendere a parlare di alleanza.
Ervis Carcolo girò bruscamente sui tacchi, e fece un segnale a Bast Givven e alle due giovani guide. Senza una parola, senza uno sguardo, montò sullo splendido Ragno, lo pungolò lanciandolo in una corsa fulminea attraverso l’Orlo, su per il pendio, in direzione del Burrone della Stella Spezzata. I suoi uomini lo seguirono, meno precipitosamente.
Joaz li seguì con lo sguardo, scuotendo il capo con triste stupore. Poi, montando sul suo Ragno, ridiscese il sentiero che portava sul fondo della Valle dei Banbeck.
V
Passò il lungo giorno di Aerlith, corrispondente a sei delle vecchie Unità Diurne.
Nella Valle Beata c’era un’attività rabbiosa, un’atmosfera d’impegno e di decisioni imminenti. I draghi si esercitavano in formazioni più serrate. Le guide e i suonatori di cornetta lanciavano ordini con voci più aspre. Nell’armeria si fondevano le pallottole, si preparava la polvere, si forgiavano e si affilavano le spade.
Ervis Carcolo si dava da fare con teatrale spavalderia, sfinendo un Ragno dopo l’altro e obbligando i suoi draghi alle più svariate evoluzioni. Nelle forze della Valle Beata, erano in maggioranza Rissosi, piccoli draghi attivissimi dalle scaglie rosso-ruggine, sottili teste guizzanti, zanne affilate come scalpelli. Le branchie erano forti e sviluppate. Usavano con la stessa abilità lance, sciabole corte e mazze. Un uomo opposto a un Rissoso non aveva speranze, poiché le scaglie deviavano le pallottole e i colpi più forti che un umano poteva sferrare, e un solo colpo di zanna o la lacerazione d’un artiglio falcato bastava a dare la morte all’uomo.
I Rissosi erano fecondi e resistenti, e prosperavano anche nelle condizioni degli allevamenti della Valle Beata: per questo predominavano nell’esercito di Carcolo. La situazione non entusiasmava Bast Givven, Capo dei Signori dei draghi, un uomo magro e solido con la faccia piatta, il naso adunco, gli occhi neri e vacui come gocce d’inchiostro su un piatto. Solitamente laconico e taciturno, diventò quasi eloquente per opporsi al progetto di assalire la Valle dei Banbeck. — Stai attento, Ervis Carcolo. Siamo in grado di mettere in campo un’orda di Rissosi, e un numero sufficiente di Assassini dai Grandi Passi e di Assassini dal Lungo Corno. Ma Orrori Azzurri, Diavoli e Massacratori… no! Saremo perduti, se quello ci intrappola tra i burroni!
— Non ho intenzione di combattere tra i burroni — disse Carcolo. — Costringerò Joaz Banbeck a battersi dove vogliamo noi. I suoi Massacratori e i suoi Diavoli sono inutili, sugli strapiombi. E siamo quasi pari, per quanto riguarda gli Orrori Azzurri.
— Hai trascurato una difficoltà — disse Bast Givven.
— E sarebbe?
— L’improbabilità che Joaz Banbeck abbia intenzione di lasciarti fare. Mi sembra troppo intelligente.
— Dimostramelo! — ribatté Carcolo in tono d’accusa. — Tutto quel che so di lui indica esitazione e stupidità! Perciò attaccheremo… con forza! — Carcolo si batté il pugno sul palmo. — E così la faremo finita con quegli altezzosi Banbeck!
Bast Givven si voltò per andarsene, Carcolo lo richiamò irosamente. — Non mi sembri entusiasta di questa campagna!
— Io so quel che il nostro esercito può fare e quello che non può fare — rispose francamente Givven. — Se Joaz Banbeck è l’uomo che tu credi, potremmo vincere. Se invece possiede almeno la sagacia di un paio degli stallieri che ho sentito parlare dieci minuti fa, andremo incontro al disastro.
Con voce impastata per la rabbia, Carcolo disse: — Ritorna ai tuoi Diavoli e ai tuoi Massacratori. Voglio che diventino svelti come i Rissosi.
Bast Givven se ne andò. Carcolo balzò su un Ragno, lo spronò a colpi di tallone. Il drago spiccò un salto in avanti, si arrestò di colpo, e girò il lungo collo per guardare in faccia Carcolo. Questi gridò: — Via, via! Avanti a tutta velocità, sbrigati! Fai vedere a questi infingardi cosa sono lo scatto e lo spirito! — Il Ragno schizzò via con tale veemenza che Carcolo venne disarcionato e cadde riverso: piombò a terra e restò lì, gemente.
Gli stallieri accorsero e lo portarono a una panca, su cui egli sedette bestemmiando a voce bassa. Un chirurgo lo esaminò, lo tastò, e ordinò che Carcolo se ne andasse a letto e prendesse una pozione sedativa.
Carcolo fu portato nel suo appartamento, sotto la parete occidentale della Valle Beata, e venne affidato alle cure delle sue mogli. Dormì venti ore. Quando si svegliò, la giornata volgeva ormai al termine.
Avrebbe voluto alzarsi, ma era troppo indolenzito per muoversi; si lasciò ricadere sul letto, gemendo. Poco dopo mandò a chiamare Bast Givven, che si presentò e lo ascoltò senza fare commenti.
Venne la sera. I draghi ritornarono alle caserme. Non c’era altro da fare che attendere l’alba.
Durante la lunga notte, Carcolo venne sottoposto a varie cure: massaggi, bagni caldi, infusi e impacchi. Fece diligentemente ginnastica e, alla fine della nottata, dichiarò che era in perfetta forma. In cielo, la stella Coralyne vibrava di colori velenosi, rosso, verde, bianco… era l’astro più fulgido di tutto l’ammasso. Carcolo non voleva levare gli occhi verso la stella, ma il suo splendore gli colpiva gli occhi, ogni volta che camminava nel fondovalle.
Si avvicinò l’aurora. Carcolo intendeva mettersi in marcia non appena i draghi fossero pronti. Un barlume a oriente annunciò l’imminenza del temporale dell’alba, ancora invisibile oltre l’orizzonte. Con grande cautela, i draghi furono condotti fuori dalle caserme, radunati e disposti in colonna. C’erano quasi trecento Rissosi, ottantacinque Assassini dai Grandi Passi, altrettanti Assassini dal Lungo Corno, cento Orrori Azzurri, cinquantadue Diavoli tozzi, immensamente poderosi, con le code munite di mazze ferrate; diciotto Massacratori. Ringhiavano e borbottavano malignamente tra loro, cercando l’occasione di scambiarsi calci o di strappare una gamba a uno stalliere imprudente. L’oscurità stimolava il loro odio latente per l’umanità, sebbene non sapessero nulla del loro passato, né delle circostanze che li avevano ridotti in schiavitù.
I lampi dell’alba balenarono rischiarando le guglie verticali e i picchi vertiginosi delle Montagne della Sfortuna. Il temporale passò, tra raffiche di vento ululante e scrosci di pioggia, e si diresse verso la Valle dei Banbeck. L’oriente splendeva di un pallore verdegrigio: Carcolo diede il segnale di mettersi in marcia.