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Ancora indolenzito e irrigidito, si avviò zoppicando verso il suo Ragno, montò, ordinò al drago di eseguire una teatrale corvetta. Fu un errore. La malignità notturna dominava ancora la mente del drago. Concluse la corvetta con un guizzo del collo che ancora una volta scagliò Carcolo al suolo, dove giacque quasi fuori di sé per la sofferenza e la frustrazione.

Cercò di rialzarsi, ricadde; tentò di nuovo e svenne.

Rimase privo di sensi per cinque minuti, poi parve scuotersi per pura forza di volontà.

— Sollevatemi — bisbigliò con voce rauca. — Legatemi sulla sella. Dobbiamo metterci in marcia. — Poiché era chiaramente impossibile, nessuno si mosse. Carcolo s’infuriò, e alla fine chiamò Bast Givven. — Procedi; non possiamo fermarci proprio ora. Tu guiderai le truppe.

Givven annuì, lugubre. Era un onore cui non teneva affatto.

— Conosci il piano di battaglia — fece lamentosamente Carcolo. — Gira a nord della Zanna, attraversa lo Skanse a tutta velocità, devia a nord intorno al Crepaccio Azzurro, poi a sud lungo l’Orlo dei Banbeck. Si può prevedere che là Joaz Banbeck vi scopra. Dovete spiegare le vostre forze, in modo che quando lui farà avanzare i suoi Massacratori voi possiate respingerli con i Diavoli. Evita d’impegnare i nostri Massacratori. Attaccalo con i Rissosi: tieni di riserva gli Assassini per colpirlo quando arriva all’orlo. Hai capito?

— Come lo spieghi tu, la vittoria è sicura — borbottò Bast Givven.

— Lo è, infatti, a meno che tu commetta grossi errori. Ah, la mia schiena! Non posso muovermi. Mentre infunerà la grande battaglia, io dovrò starmene accanto al vivaio, a guardare le uova che si schiudono! Ora vai! Colpisci con forza, per la Valle Beata!

Givven diede l’ordine. Le truppe si misero in marcia.

I Rissosi sfrecciarono all’avanguardia, seguiti dai serici Assassini dai Grandi Passi e dai più pesanti Assassini dal Lungo Corno, che avevano il fantastico sperone pettorale munito d’un puntale d’acciaio. Dietro venivano i ponderosi Massacratori, che grugnivano e gorgogliavano e digrignavano i denti per le vibrazioni di ogni passo. A fianco dei Massacratori marciavano i Diavoli, armati di sciabole corte e pesanti, tenendo alte le mazze ferrate caudali, come lo scorpione ostenta il pungiglione. Poi, alla retroguardia, venivano gli Orrori Azzurri, massicci e svelti, buoni arrampicatori, non meno intelligenti dei Rissosi. Ai fianchi procedevano cento uomini: Signori dei draghi, cavalieri, guide e suonatori di cornetta. Erano armati di spade, pistole e fucili a trombone.

Carcolo li seguì con lo sguardo da una barella, fino a quando scomparvero, e poi si fece riportare al portale che conduceva nelle grotte della Valle Beata.

Mai, prima d’ora, le caverne gli erano sembrate tanto squallide. Guardò risentito la fila irregolare di baracche lungo lo strapiombo, costruite di pietre, lastre di lichene impregnato di resina, canne tenute insieme dal catrame. Dopo aver concluso la campagna contro Banbeck, avrebbe dato ordine di aprire nuove camere e gallerie nella roccia. Le splendide decorazioni del Villaggio di Banbeck erano famose. La Valle Beata sarebbe diventata ancora più magnifica. Le gallerie sarebbero state uno splendore d’opale e di madreperla, d’argento e d’oro… Eppure, a che scopo? Se tutto andava secondo i suoi piani, c’era il suo sogno grandioso da realizzare. E allora, che importanza avrebbero avuto le banali decorazioni delle gallerie della Valle Beata?

Gemendo, si lasciò ricondurre a letto e passò il tempo immaginando l’avanzata delle sue truppe. Ormai dovevano avere iniziato la discesa della Cresta Pendente, per aggirare la Zanna alta un miglio.

Provò a stirare le braccia, a muovere le gambe. I muscoli protestarono. Fitte dolorose gli trafiggevano il corpo… ma sembrava che le lesioni fossero meno gravi, adesso. Ormai il suo esercito stava sicuramente scalando i bastioni che cingevano l’ampia area di burroni chiamata Skanse… Il chirurgo gli portò una pozione. Carcolo la bevve e si addormentò, e si svegliò con un sussulto. Che ora era? Le sue truppe potevano aver già incominciato a battersi!

Si fece condurre al portale; e poi, non soddisfatto, ordinò ai servitori di trasportarlo attraverso la valle, al nuovo vivaio dei draghi, il cui camminamento dominava l’intera vallata. Nonostante le proteste delle sue mogli, venne portato là, e sistemato comodamente, per quanto lo permettevano le lividure e le lussazioni.

Carcolo si preparò a un’attesa interminabile. Ma non tardarono a giungere notizie.

Dalla Pista Nord arrivò un suonatore di cornetta, in sella a un Ragno coperto di bava. Carcolo gli mandò incontro uno stalliere e, dimentico dei suoi dolori, si alzò dal giaciglio. Il suonatore di cornetta si buttò dalla cavalcatura, salì vacillando la rampa e si abbandonò esausto contro la staccionata.

— Imboscata! — ansimò. — Disastro!

— Un’imboscata? — gemette Carcolo con voce cupa. — Dove?

— Mentre salivamo sui bastioni dello Skanse. Hanno atteso che i nostri Rissosi e gli Assassini fossero passati, e poi hanno caricato con gli Orrori, i Diavoli e i Massacratori. Hanno diviso in due la nostra formazione, ci hanno ricacciati, e poi hanno fatto rotolare macigni sui nostri Massacratori! Il nostro esercito è annientato!

Carcolo si abbandonò sul giaciglio, guardando il cielo. — Quanti ne abbiamo perduti?

— Non lo so. Givven ha ordinato la ritirata. Abbiamo ripiegato nel miglior modo possibile.

Carcolo sembrava in coma. Il suonatore di cornetta si lasciò cadere su una panca.

A nord apparve una colonna di polvere, e poco dopo si dissolse e si separò, rivelando un certo numero di draghi della Valle Beata. Erano tutti feriti. Marciavano, saltellavano, zoppicavano, si trascinavano a casaccio, gracchiando, lanciando occhiate feroci e barriti. Veniva per primo un gruppo di Rissosi, che facevano sfrecciare a destra e a sinistra le teste maligne; poi un paio di Orrori Azzurri, con le branchie che si torcevano e si serravano quasi come braccia umane; poi un Massacratore, massiccio, simile a un rospo, che procedeva a zampe larghe per la debolezza. Quando si avvicinò alle caserme si rigirò, cadde con un tonfo e restò immobile, con le gambe e gli artigli levati in aria.

Dalla Pista del Nord giunse Bast Givven, stravolto e coperto di polvere. Smontò dal Ragno che si reggeva a stento, salì la rampa. Con uno sforzo straziante, Carcolo si sollevò di nuovo a sedere sul giaciglio.

Givven fece il suo rapporto con una voce così normale da sembrare noncurante: ma neppure l’insensibile Carcolo si lasciò ingannare. Chiese, sgomento: — Dov’è stata l’imboscata, esattamente?

— Abbiamo scalato i Bastioni attraverso il Burrone Chloris. Dove lo Skanse scende nel burrone, c’è un grande sperone di porfido. Era là che che ci aspettavano.

Carcolo sibilò tra i denti: — Incredibile.

Bast Givven annuì appena.

Carcolo disse: — Immaginiamo che Joaz Banbeck sia partito durante il temporale dell’alba, prima di quanto io ritenessi possibile. Immaginiamo che abbia costretto le sue truppe a correre. Come poteva, in ogni caso, raggiungere i Bastioni dello Skanse prima di noi?

— Secondo me — disse Givven — l’imboscata non rappresentava una minaccia fino a quando avessimo attraversato lo Skanse. Avevo intenzione di far pattugliare il Dosso di Barch, giù per il Burrone Azzurro e fin oltre il Crepaccio Azzurro.

Carcolo annuì cupamente. — E allora, come ha fatto Joaz Banbeck a portare così in fretta le sue truppe ai Bastioni?

Givven si voltò e scrutò la valle, dove i draghi e gli uomini feriti scendevano in disordine la Pista del Nord. — Non ne ho idea.

— Una droga? — fece Carcolo, sconcertato. — Una pozione per tenere tranquilli i draghi? È possibile che abbia bivaccato sullo Skanse tutta la notte?