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— Be’, o sono in un modo o sono nell’altro, e proprio lì sta il problema. Gli psicologi ci si accapigliano da decenni, sulla questione se sia possibile o no rimuovere il ricordo di un’esperienza traumatica. Di per sé, il concetto di rimozione è roba vecchia e risaputa. Anzi, diciamo pure che è il fondamento della psicanalisi: basta costringere i pensieri rimossi a emergere in piena luce ed ecco che le tue nevrosi svaniscono come neve al sole. Però milioni di persone che hanno vissuto situazioni traumatiche sostengono che il problema è esattamente l’opposto: esse non dimenticano mai quello che gli è accaduto… — Abbassò lo sguardo e soggiunse: — Io di certo non ho mai dimenticato, e mai potrò dimenticare, la visione di Mary distesa esanime sul pavimento del bagno.

Kyle annuì lentamente. — Nemmeno io — disse con voce sommessa.

Heather si concesse qualche istante di silenzio per riprendersi d’animo, poi continuò. — Ci sono eventi… come una guerra, un incidente d’auto, persino la morte di un figlio… che possono venir considerati abbastanza comuni. Non si tratta di fatti inconcepibili. In pratica, qualunque genitore normale sta in ansia, se pensa a tutto quello che può succedere ai propri figli. Ma come la mettiamo se accade qualcosa di talmente inatteso, di così fuori dell’ordinario, di sconvolgente a tal punto che la ragione umana non è semplicemente in grado di affrontarlo? Come reagisce, in tal caso, la mente? Forse, davvero, innalzando una barriera per difendersi dall’intollerabile. Così per lo meno credono alcuni psichiatri e un numero incalcolabile di presunte vittime d’incesto. D’altra parte…

Kyle la fissò interrogativo. — D’altra parte?

— Ecco, secondo molti psicologi ciò non può assolutamente verificarsi in quanto i meccanismi della rimozione, semplicemente, non esistono… cosicché, quando ricordi traumatici compaiono d’improvviso a distanza di anni, o addirittura decenni, dal supposto evento scatenante, si tratta necessariamente di falsi ricordi. In psicologia se ne discute da più di trent’anni e ancora non esiste una risposta convincente.

Kyle respirò a fondo, cercando di raccapezzarcisi. — Insomma, quale sarebbe la conclusione? Che gli esseri umani riescono a liberarsi del ricordo di esperienze traumatiche effettivamente vissute… o che, al contrario, possiamo rammentare distintamente cose mai avvenute?

Heather annuì. — Lo so, nessuna delle due è una prospettiva allettante. Qualunque si decida di accettare… e, bada bene, non si può scartare l’eventualità che possano entrambi verificarsi, in momenti diversi… la conclusione è che i nostri ricordi, il nostro senso di identità e la percezione del nostro ruolo nel mondo sono molto più evanescenti e inattendibili di quanto ci piacerebbe credere.

— Be’, io se non altro so per certo che i ricordi di Becky sono fasulli. Ma quello che proprio non riesco a capire è da dove provengano, simili ricordi.

— Secondo la teoria più diffusa, sono stati inculcati.

— Inculcati? — Kyle ripeté il vocabolo in tono esitante, come se fosse la prima volta che lo udiva pronunciare.

Heather annuì. — Nella pratica terapeutica ho personalmente assistito alla dimostrazione del principio basilare con dei bambini. Un bambino viene a trovarti tutti i giorni, per una settimana. Il primo giorno gli chiedi com’è andata all’ospedale dopo che si è tagliato un dito. Lui ti risponde: “Ma io non ci sono mica stato all’ospedale”. Ed è vero, non c’è stato. Tu però glielo chiedi un’altra volta il giorno dopo, e di nuovo il giorno successivo, e così via. Alla fine della settimana il bambino è convinto di essere stato sul serio all’ospedale. Sarà anche in grado di fornirti un resoconto minuzioso e coerente della sua trasferta ospedaliera e crederà in assoluta buonafede che tutto ciò sia davvero accaduto. I ricordi possono essere inculcati anche solo tramite l’evocazione, più volte reiterata, di fatti e di idee. Se poi un analista amplifica l’effetto tramite ipnosi, è capace di creare falsi ricordi saldi come la roccia.

— Ma perché mai un analista dovrebbe fare una cosa del genere?

Scura in volto, Heather rispose senza esitazioni. — Per citare una vecchia battuta dell’istituto di Psicologia, molte strade conducono alla salute mentale, ma nessuna è redditizia quanto l’analisi freudiana.

Kyle sembrava piuttosto perplesso. Rimase in silenzio per parecchi secondi, apparentemente incerto sull’opportunità o meno di rivolgerle un’altra domanda. Alla fine si decise. — Senti, non per essere polemico, ma il tuo sostegno alla mia innocenza non mi risulta del tutto chiaro. Ti spiacerebbe spiegarmi esattamente perché ritieni che i ricordi di Becky potrebbero essere falsi?

— Perché la sua analista ha insistito a dire che anch’io sarei stata molestata da mio padre.

— Ah — disse Kyle. E poi: — Ah.

8

Quando Kyle fu uscito per tornarsene a casa, Heather rimase seduta al buio in soggiorno, a pensare. Era stanchissima, ma troppo nervosa per dormire.

C’era una cosa, in particolare, che aveva detto a Kyle buttandola lì senza troppo rifletterci, e adesso stava cercando di decidere se ci credeva davvero.

“Ci sono eventi… come una guerra, un incidente d’auto, persino la morte di un figlio… che possono venir considerati abbastanza comuni. Non si tratta di fatti inconcepibili. In pratica, qualunque genitore normale sta in ansia, se pensa a tutto quello che può succedere ai propri figli.”

A Mary, però, non era capitata una cosa qualunque. No, Mary si era tolta la vita recidendosi i polsi. Heather non si aspettava certo una cosa del genere e neppure aveva mai temuto che si potesse verificare. Era stata, per lei, un’esperienza sconvolgente come… ecco, sì, come l’evento cui Eileen Franklin aveva presumibilmente assistito: lo stupro e l’omicidio, da parte di suo padre, dell’amica d’infanzia.

Ma Heather non aveva innalzato una barriera per difendersi dal ricordo di quanto accaduto a Mary.

Perché…

Forse perché il suicidio non era affatto inconcepibile, per lei.

Non che avesse mai carezzato l’idea di togliersi la vita… non seriamente, a ogni modo.

No, non si trattava di questo. Però il suicidio era effettivamente entrato nella sua esistenza già una volta, in passato.

Non ci pensava spesso.

In effetti erano anni che non le tornava in mente.

Si trattava forse di ricordi rimossi, riportati alla luce dalle recenti emozioni?

No, sicuramente no. Avrebbe potuto senza dubbio ripensarci in qualunque momento, solo che aveva scelto di non farlo.

Era successo tanto tempo prima, quando era ancora molto giovane. Giovane e incosciente.

Diciott’anni, appena diplomata, aveva lasciato per la prima volta la cittadina di Vegreville, nell’Alberta, e percorso mezzo continente sino all’immensa, cosmopolita Toronto. Quante nuove esperienze aveva fatto, durante quel primo anno frenetico! Fra le tante cose, aveva seguito un corso preliminare di astronomia… finendo innamorata pazza dell’assistente, Josh Huneker. Josh, più anziano di sei anni, neolaureato, snello, delicate mani da chirurgo, romantici occhi azzurro chiaro, e i modi più cortesi e premurosi che Heather mai avesse trovato in chiunque.

Non era stato amore, ovviamente, non nel senso pieno del termine. Ma tale, allora, le era sembrato. Alle inequivocabili attenzioni di Heather lui aveva risposto… non con indifferenza, certo, ma come se fosse combattuto da sentimenti antitetici. Si erano conosciuti in settembre, all’inizio dell’anno accademico, e cinque settimane dopo erano amanti.

E fu proprio come Heather aveva sperato. Josh era sensibile, gentile, affettuoso, e dopo l’amore rimaneva a parlare con lei per ore intere… di ecologia, di balene, di foreste equatoriali, dell’umanità, del futuro. Erano usciti insieme per buona parte dell’anno accademico. Senza obblighi precisi, però. Josh non pareva propenso a impegnarsi in un rapporto stabile e a dire il vero neppure Heather. Voleva ampliare le proprie esperienze, non sistemarsi definitivamente.