Выбрать главу

— Ma… ripiegata come? In quale direzione?

— Come ho detto, nella quarta dimensione, che è perpendicolare alle prime tre, così come l’altezza, la lunghezza e la larghezza sono perpendicolari l’una rispetto all’altra. In effetti, esistono due modi per ripiegare un ipercubo, proprio come quel ritaglio bidimensionale di cartone può essere ripiegato verso l’alto oppure verso il basso: se verso l’alto, avremo all’esterno la faccia bianca e lucida del cartone; se verso il basso, all’esterno verrà invece il lato opaco e ruvido. Tutte le dimensioni possiedono due direzioni: la larghezza ha destra e sinistra; la profondità ha avanti e indietro; l’altezza ha su e giù. Quanto alla quarta dimensione, essa possiede anà e katà.

— Perché questi due termini?

— In greco, anà significa “all’insù” e katà vuol dire “all’ingiù”.

— Quindi, se si prende un gruppo di otto cubi come quelli del dipinto di Dalí e li si ripiega in direzione katà, si ottiene un ipercubo?

— Certo. Ma possiamo anche scegliere la direzione anà.

— Affascinante — commentò Heather. — E secondo Kyle questo genere di riflessioni sarebbe di stimolo ai suoi studenti?

— Così ritiene lui. Quando era studente qui, vent’anni fa, aveva un professore di nome Papineau…

— Me lo ricordo.

— Bene, il dottor Graves sostiene di non rammentare molto degli insegnamenti di Papineau, a parte il fatto che il professore trovava sempre nuovi modi per ampliare la mente ai suoi studenti, suggerendo loro nuovi criteri nell’osservazione delle cose. Quindi adesso sta provando anche lui a fare qualcosa di simile coi propri studenti e…

La porta si aprì ed entrò Kyle. — Heather! — esclamò, sorpreso. — Che stai facendo qui?

— Aspettavo te.

Senza una parola, Kyle raggiunse il pannello di Cita e fece scattare l’interruttore di pausa. — Qual buon vento?

— I messaggi alieni si sono interrotti.

— L’ho saputo. E… alla fine c’era, una stele di Rosetta? Heather scosse il capo.

— Mi dispiace — disse Kyle.

— Anche a me. Ma ciò significa che la caccia al tesoro è ufficialmente aperta. Ormai abbiamo tutto quello che i Centauri cercavano di comunicarci. Adesso è solo questione di tempo prima che qualcuno trovi il bandolo della matassa. Quindi sarò estremamente occupata, di qui in avanti. Mi rendo conto che non poteva capitare in un momento peggiore, ora che oltretutto c’è il problema con Becky, però bisogna che mi ci dedichi interamente. Spero che capirai la mia posizione… non voglio che pensi che ti sto chiudendo la porta in faccia o facendo finta di niente sperando che il problema si risolva da sé.

— Comunque anch’io avrò parecchio da fare — replicò Kyle.

— Davvero?

— L’esperimento con l’elaboratore quantico è fallito. Dovrò ammazzarmi di lavoro per scoprire cosa è andato storto.

In altre circostanze lei avrebbe cercato di consolarlo. Ma adesso, con quell’ombra fra loro, con quella incertezza…

— Peccato — disse. — Davvero. — Lo fissò ancora un poco, poi si strinse nelle spalle. — Sembra proprio che saremo tutti e due molto impegnati. — Tacque, riflettendo. Ma che diamine, la loro separazione non era mai stata intesa come definitiva, e poi, per l’amor di Dio, Kyle di sicuro non poteva aver commesso ciò di cui lo si accusava. — Senti — propose, esitante — sono quasi le cinque, che ne diresti di una cenetta anticipata?

Kyle parve gradire l’invito, ma poi la sua espressione s’incupì. — Purtroppo ho già un appuntamento.

— Oh — disse Heather, chiedendosi inevitabilmente se si trattasse di un uomo o di una donna. — Be’, pazienza.

Si fissarono ancora per qualche istante, poi Heather se ne andò.

Kyle entrò a Persaud Hall e s’incamminò per l’angusto corridoio, fermandosi poco prima di giungere alla stanza 222.

Stone Bentley… bianco, sui cinquantacinque, spelacchiato e non particolarmente in forma… stava parlando con una studentessa fuori del suo ufficio; vide arrivare Kyle e gli fece segno di attendere un momento. Terminò di parlare con la ragazza, che sorrise e si accomiatò.

Kyle si avvicinò. — Salve, Stone. Mi spiace di averti interrotto.

— Macché, figurati. Adoro essere interrotto durante i colloqui.

Kyle rimase perplesso: le parole erano ironiche, ma il tono gli era parso normale.

— Dico sul serio — continuò infatti Stone, — Se devo parlare con una studentessa, mi fermo sempre nel corridoio… e più gente ci vede, meglio è. Vorrei proprio evitare il ripetersi di quello ch’è successo cinque anni fa.

— Ah — disse Kyle. Stone rientrò un attimo in ufficio a prendere la borsa, poi si diressero all’Abbeveratoio. Era un piccolo pub con una ventina di tavolini rotondi e il pavimento di legno. L’illuminazione veniva da lampade in stile Tiffany e le finestre erano coperte da pesanti tendaggi.

Comparve un cameriere. — Una Blue Light — ordinò Stone.

— Whisky di segale con ginger ale — preferì Kyle.

Ripartito il cameriere, Stone rivolse la propria attenzione a Kyle; strada facendo avevano parlato del più e del meno, ma adesso, era chiaro, Stone riteneva fosse giunto il momento di conoscere il motivo dell’incontro. — Allora — esortò — che mi dici di bello?

Era tutto il pomeriggio che Kyle ci rimuginava, ma venuti al dunque si accorse che il discorsetto già pronto in mente non gli andava più a genio. Così improvvisò. — Ho… ho un problema, Stone. E ho bisogno di parlarne con qualcuno. Lo so che non siamo mai stati in grande intimità, ma ho sempre pensato a te come a un amico.

Stone lo fissò senza replicare.

— Mi spiace — continuò Kyle. — Lo so che sei occupato. Non avrei dovuto romperti le scatole.

Stone esitò un istante, prima di domandare: — Cosa c’è che non va?

Kyle abbassò lo sguardo. — Mia figlia… — S’interruppe e Stone aspettò semplicemente che si decidesse a proseguire. Finalmente Kyle si sentì pronto. — Mia figlia mi ha accusato di averla molestata. — Poi attese l’inevitabile domanda: “L’hai fatto davvero?”. Ma la domanda non venne.

— Oh — disse Stone.

Kyle non poteva sopportare che quella domanda non gli venisse rivolta. — Io, però, non mi sono mai macchiato di una simile colpa.

Stone annuì.

Ricomparve il cameriere con le bevande.

Kyle rimase in silenzio a fissare il suo whisky vorticante nel ginger ale, in attesa che Stone si decidesse ad ammettere che comprendeva il nesso, che capiva per qual motivo Kyle si fosse, fra tanti, rivolto proprio a lui. Ma Stone faceva orecchie da mercante.

— Anche tu ci sei passato, no? — lo sollecitò allora. — Dico, dover subire una falsa accusa.

Stone distolse lo sguardo. — Roba vecchia, ormai.

— Sì, ma come te la sei cavata? Come hai fatto a liberartene?

— Eppure sei qui — rispose Stone. — Hai pensato a me. Non è evidente? Quella merda non te la scrolli più di dosso.

Kyle bevve un goccio dal suo bicchiere. Benché nel bar fosse ovviamente vietato fumare, l’atmosfera sembrava opprimente, soffocante. Fissò Stone dritto in volto. — Io sono innocente! — scandì, sentendo il bisogno di ribadirlo.

— Hai altri figli? — domandò Stone.

— Avevamo una figlia più grande, Mary. S’è uccisa poco più di un anno fa. Stone si accigliò. — Ah.