— E sarebbe?
— Ecco, poter stabilire quale sostanza rappresenti i bit uno, e quale i bit zero. Gli uno sono bit “superiori”, quindi la vernice bisogna che rappresenti gli uno, in quanto va stesa sopra il… il…
— Il substrato, in scienza delle costruzioni lo definiamo così.
— Il substrato, certo. E… sarà difficile da realizzare?
— Be’, si torna alla questione di quanto debbano esser grandi i pannelli.
— Mi tocca rispondere di nuovo che non lo so. Non sono tutti delle stesse dimensioni, comunque anche i più grandi bisognerebbe che non superassero pochi centimetri… perché poi voglio connetterli fra loro.
— Come, connetterli?
— Sì, affiancarli, giustapporli, in modo che si corrispondano l’un l’altro come tante tessere di un mosaico. Vede, se i cinquantanove pannelli di ciascun gruppo vengono disposti correttamente, formano un quadrato perfetto… e per arrivarci esiste una sola configurazione.
— Ma allora perché non costruire subito i riquadri grandi invece delle singole tessere?
— Non lo so. Il fatto stesso di dover collegare le formelle potrebbe avere la sua importanza. Ma insomma, non voglio fare supposizioni campate in aria.
— Come il fatto che i bit “superiori” debbano andare “sopra” il substrato?… — domandò Komensky con garbata ironia.
Heather si strinse nelle spalle. — È un’ipotesi buona come un’altra.
Lui annuì e preferì non contraddirla. — Allora, da duemilaottocento pannelli quanti quadrati risulterebbero?…
— Quarantotto.
— Ottenuti i quadrati cosa pensa di farne?
— Costruirci dei cubi… e poi collegare questi cubi per ottenere lo sviluppo di un tesseratto.
— Incredibile… Ma dice sul serio?
— Le pare che stia scherzando?
— D’accordo. E… una volta terminato, vuole che l’oggetto sia abbastanza grande da consentirle d’infilarsi dentro uno dei cubi?
— No, non sarà…
Heather s’interruppe di colpo.
È vero. Niente indicazioni di grandezza. Da nessuna parte, in nessuno dei messaggi, pareva esservi il benché minimo suggerimento circa le dimensioni da attribuire all’oggetto.
Fatelo grande quanto vi pare, sembravano dire gli alieni.
Fatelo della “vostra” misura.
— Ma sì, sì, sarebbe perfetto! Abbastanza grande da poterci entrare.
— Bene, allora, intesi. Nessun problema per realizzare i pannelli del substrato. Di che spessore li vuole?
— Non saprei. I più sottili possibile, credo.
— Volendo posso anche scendere fino a una molecola dì spessore.
— Oh, non “così” sottili. Bisognerà pure che siano maneggevoli. Un millimetro o due dovrebbe andar bene.
— Niente di più facile. Abbiamo già pronta una macchina per fabbricare plastipannelli da edilizia destinati alla Scuola di Architettura. Posso modificarla senza difficoltà in modo che produca le formelle che servono a lei. Le preferisce con i bordi lisci oppure con un sistema a incastro per poterle agganciare?
— In modo, cioè, che componendo i riquadri grandi, quelli rimangano belli compatti?
Komensky annuì.
— Sarebbe l’ideale.
— Per l’applicazione dell’altra sostanza come pensa di procedere?
— Immagino che mi toccherà farla a mano — rispose Heather.
— Be’, potrebbe anche, però qui disponiamo di microspruzzatori programmabili in grado di evitarle il disturbo, purché la sostanza non sia eccessivamente densa. Ci servono a tracciare disegni di vario genere sui pannelli per gli studenti d’architettura, come sagome di mattoni, teste di chiodi… roba del genere.
— Non chiederei di meglio. Quanto tempo ci vorrà?
— Be’, durante l’anno accademico di solito siamo piuttosto ingolfati, ma ih estate abbiamo un sacco di tempo libero. Si potrebbe cominciare anche subito. Dev’esserci ancora un paio di laureati a ciondolare qui in giro; posso incaricarne uno di studiare la preparazione delle sostanze. Come ho detto, a prima vista sembrerebbero abbastanza semplici, ma non possiamo esserne certi finché non ci mettiamo sul serio a sintetizzarle. A proposito… le spese chi se le accolla?
— Quanto crede che verrà a costare? — domandò Heather.
— Oh, non molto. I robot, di questi tempi, sono così a buon mercato che non li ammortizziamo più caricandoli sui costi di produzione come si faceva una volta. Diciamo quindi un cinquecento dollari per il materiale.
Heather annuì. Avrebbe trovato poi come giustificare la cosa col capodipartimento al suo ritorno dalle vacanze. — Va benissimo. Metta in conto a Psicologia. Firmo io la richiesta.
— Le manderò la nota per posta elettronica.
— Splendido. Grazie. Grazie davvero.
— Non c’è di che. — E le sorrise, avvolgendola col suo sguardo.
14
Suonò l’avvisatore alla porta dell’ufficio e Kyle premette il pulsante di apertura. In corridoio, sullo sfondo dell’atrio dalla tappezzeria cadente, stava una donna asiatica di mezza età, con indosso un completo grigio dall’aria costosa.
— Il dottor Graves? — domandò.
— Sì?
— Brian Kyle Graves?
— Esatto.
— Gradirei parlare con lei, per favore. Kyle si alzò e le fece segno di entrare.
— Mi chiamo Chikamatsu. Le vorrei parlare a proposito della sua ricerca.
Kyle le indicò una sedia. La visitatrice prese posto e Kyle si rimise a sedere.
— Corre voce che lei abbia conseguito qualche buon esito nel calcolo quantico.
— Non quanto mi piacerebbe. Ho fatto una figuraccia giusto due settimane.
— L’ho sentito dire. — Kyle inarcò le sopracciglia. — Ascolti, sono qui in rappresentanza di un consorzio che vorrebbe proporle un contratto per assicurarsi i suoi servigi.
— Davvero?
— Sì. Noi crediamo che lei sia prossimo al successo.
— Non a giudicare dai risultati attuali.
— Un problema superabile, ne sono certa. Lei sta cercando d impedire la decoalescenza tramite i campi di Dembinski, vero?… Difficili da controllare, com’è noto.
Le sopracciglia di Kyle ebbero un altro soprassalto. — Vedo che è bene informata.
— Abbiamo seguito i suoi progressi con grande interesse. Lei è senza dubbio assai vicino a una soluzione. E se la trova, il mio gruppo potrebbe essere disposto a investire in modo consistente sul suo procedimento… purché, ovviamente, lei sia in grado di convincermi che il sistema funziona davvero.
— Be’, o funziona o non funziona, non ci sono vie di mezzo.
La Chikamatsu annuì. — Non lo metto in dubbio, ma per quanto ci riguarda dobbiamo avere certezza assoluta. Lei verrebbe quindi invitato a effettuare per nostro conto la scomposizione in fattori di un certo numero, che naturalmente sarei io a fornirle, tanto per essere sicuri che non vi siano manipolazioni… immagino capirà.
Kyle strinse gli occhi. — Qual è, esattamente, la natura del suo… consorzio?
— Siamo un gruppo internazionale d’investitori — rispose la donna. Aveva con sé una borsetta cilindrica in pelle con rinforzi metallici. L’aprì, ne estrasse un memowafer e lo porse a Kyle. — Il numero che vorremmo farle scomporre è memorizzato in questo supporto.
Kyle prese l’oggetto senza neppure guardarlo. — Di quante cifre è composto, il numero?
— Cinquecentododici.
— Anche se riuscissi a eliminare gli attuali difetti del mio sistema, non potrei comunque accontentarla in tempi brevi.
— Perché?
— Be’, per due motivi. Il primo è di natura pratica. Democrito… il nome del nostro prototipo… ha una limitazione di carattere tecnico che gli consente solo il trattamento di numeri composti esattamente di trecento cifre, né una di più né una di meno. Pur nell’ipotesi di un funzionamento corretto, non sarebbe possibile fargli elaborare numeri di lunghezza a piacimento, in quanto i registri quantici vanno manipolati con estrema precisione in relazione all’esatta quantità delle cifre.