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— E la chiave pubblica di Huneker è composta da cinquecentododici cifre?

— Sì.

L’espressione di Kyle divenne, se possibile, ancora più cupa. — Quindi con degli elaboratori convenzionali servirebbero trilioni di anni per trovarne i fattori a forza di tentativi.

— Proprio così. I calcoli cominciarono pochi giorni dopo la morte di Huneker; diversi computer ci stanno lavorando ininterrottamente sin da allora. Senza esito, fino a oggi. Ma si tratta, come ha osservato lei, di elaboratori convenzionali. Un elaboratore quantico, invece…

— Per un elaboratore quantico sarebbe questione di secondi.

— Precisamente.

Kyle annuì. — Posso comprendere perché un seguace di Turing abbia trovato soddisfazione nel lasciare come testamento un messaggio in codice… — Durante la Seconda guerra mondiale, Turing aveva svolto un ruolo determinante nel decifrare i codici prodotti dai nazisti tramite il sistema Enigma. — …Ma perché mai dovrei acconsentire a lavorare per voi?

— Abbiamo una copia del disco di Huneker… e, mi creda, non ci è stato affatto facile procurarcela. Io e i miei soci riteniamo che le informazioni cifrate in essa presenti possano essere di notevole valore commerciale, e che se riusciamo a decrittarle per primi faremo tutti quanti un mucchio di soldi.

— Tutti quanti chi?

— Quando ho parlato con loro per telefono, i miei soci mi hanno autorizzata a proporle una partecipazione del due per cento a tutti gli utili.

— E se non ve ne fossero?

— Mi scusi, avrei dovuto essere più esplicita. In luogo della partecipazione ai ricavi sono pronta a offrirle quattro milioni di dollari in anticipo. E ogni diritto sulla tecnologia del calcolo quantico rimarrebbe a lei. A noi interessa solo decifrare il messaggio.

— Cosa vi fa pensare che contenga informazioni d’importanza commerciale?

— Il secondo biglietto scritto a mano da Huneker diceva semplicemente “Messaggio radio alieno rivela nuova tecnologia”. Il disco con la trasmissione crittata… un vecchio floppy da tre pollici e mezzo, forse li ricorderà… fu rinvenuto proprio sopra quel biglietto. Evidentemente, Huneker aveva compreso il messaggio e constatato che esso conteneva la descrizione di qualche tecnologia innovativa.

Kyle accolse quelle parole con espressione dubbiosa. — Ho passato metà della mia vita a cercar d’interpretare cosa diavolo vogliono dire gli studenti quando scrivono qualcosa. Forse Huneker intendeva solo affermare che sarebbe servita una nuova tecnologia, come il calcolo quantico, per decifrare il suo codice.

— Niente affatto — replicò la Chikamatsu con estrema serietà. — Siamo certi che deve descrivere qualche grande innovazione, e la vogliamo per noi.

Kyle decise che non era proprio il caso di mettersi a discutere con lei su questo punto. La donna aveva evidentemente investito in quell’impresa troppo tempo e troppo denaro, per prendere in considerazione l’ipotesi di aver gettato tutto al vento. — A me come siete arrivati?

— Da anni teniamo sotto osservazione le ricerche sul calcolo quantico. Sappiamo esattamente cosa stanno facendo tutti quelli che se ne occupano, e quanto siano vicini a un risultato. Lei, professor Graves, e Saperstein del Technion, siete entrambi a un passo dal risolvere le ultime difficoltà tecniche.

Kyle sospirò. Da sempre odiava Saperstein in modo totale e incondizionato. Chissà se la Chikamatsu ne era a conoscenza? Probabilmente sì, il che voleva dire che forse gli aveva solo gettato un’esca. Comunque, quattro milioni di dollari…

— Vorrei un po’ di tempo per rifletterci — propose.

— D’accordo. Mi rimetterò io in contatto — accettò la donna alzandosi. Tese una mano per farsi restituire il memowafer.

Kyle parve riluttante a cederlo.

— Contiene solo la chiave pubblica — chiarì la Chikamatsu. — Senza il messaggio alieno non serve a nulla.

Kyle esitò ancora un istante, poi disserrò il pugno e le porse il supporto, col rivestimento in plastica lucido adesso del suo sudore.

Lei lo asciugò con un fazzoletto, quindi lo ripose in borsa. — Grazie — gli disse. — Ah, vorrei metterla in guardia. Ho motivo di sospettare che non siamo i soli a interessarci alle sue ricerche.

Kyle allargò le braccia e cercò una risposta spiritosa. — Allora forse dovrei semplicemente approfittare dell’offerta migliore.

La Chikamatsu era già sulla porta. — Non credo che le piacerebbe il loro genere di offerta.

Ciò detto se ne andò.

15

Squillò il telefono nell’ufficio di Heather. Lei diede un’occhiata all’identiteclass="underline" era una chiamata interna all’Università. Meno male. Cominciava a essere stufa dell’invadenza dei media. Comunque sembrava che anche loro si fossero stancati di lei. La cessazione dei messaggi alieni era ormai notizia vecchia e i giornalisti avevano preso a rarefarsi. — Pronto?

— Buon giorno, Heather. Sono Paul Komensky, del Laboratorio Costruzioni.

— Salve, Paul.

— Che piacere sentire la sua voce.

— Ah, grazie, anche per me.

Silenzio, poi: — Ecco, avrei pronte quelle sostanze che mi aveva chiesto di sintetizzare.

— Splendido! Grazie.

— Allora… il substrato non è niente di speciale, praticamente una specie di polistirene. Quanto all’altra sostanza, be’, avevo ragione. A temperatura ambiente in effetti è liquida, però si asciuga rapidamente lasciando una sottile pellicola cristallina.

— Meglio così.

— Ed è piezoelettrica.

— Piezo… cosa?

— Piezoelettrica. Vuol dire che quando viene sottoposta a pressione genera elettricità.

— Davvero?

— Non molta, ma un poco sì. —· Affascinante.

— A dire il vero non è una cosa tanto inconsueta. Si verifica spesso in vari minerali. Però non me l’aspettavo. I cristalli prodotti dall’essiccazione della sostanza sono simili in pratica a quelli che definiamo cristalli ferroelettrici rilassazionali. Si tratta di un genere particolare di cristalli piezoelettrici, che possono deformarsi dieci volte più di quelli normali.

— Piezoelettrico — ripeté Heather fra sé. Con la punta del dito scrisse il termine sul digimemo. — Devo averne letto da qualche parte, anche se al momento non saprei dire dove. A ogni modo, adesso può iniziare la preparazione delle tessere?

— Senza dubbio.

— Quanto ci vorrà?

— Per l’intero procedimento? All’incirca un giorno.

— C’è altro?

— Per il momento no.

— Allora pensa d’incominciare subito?

— Certamente. — Una pausa. — Ma perché non fa un salto qui da me? Voglio illustrarle tutto il marchingegno e assicurarmi che sia in grado di realizzare esattamente quello che vuole lei. Poi diamo il via alla produzione e magari nel frattempo ce ne andiamo a fare uno spuntino. Che ne dice?

Heather esitò qualche istante, poi si decise. — Va bene. Ottima idea. Sto arrivando.

L’apparecchiatura utilizzata da Komensky si presentava abbastanza semplice.

Sul pavimento del laboratorio c’era un pezzo di substrato di circa tre metri per tre. Altri due pannelli dello stesso materiale, poggiati a una parete, sfioravano il soffitto.

Il substrato appariva di un color verde scuro tipo schede per computer. Immobile sul pannello disteso a terra pazientava un robottino non più grande di una scatola da scarpe, con un serbatoio cilindrico applicato in groppa.

Heather attendeva vicino a Paul. Un monitor lì accanto mostrava il dodicesimo radiomessaggio alieno, quello immediatamente successivo al gruppo contenente nozioni elementari di matematica e chimica.

— Non dobbiamo far altro che attivare il robot — spiegò Paul — e lui comincia a percorrere la superficie del substrato. Vede quel serbatoio? Contiene la seconda sostanza, il liquido. Il robot spruzza la sostanza secondo il disegno indicato qui sul monitor. Poi, tramite un laser, ritaglia la tessera dal pannello. Quindi rovescia la tessera e traccia un identico disegno sull’altro lato. È programmato in modo da seguire su entrambe le facce il medesimo orientamento, cosicché, se il substrato fosse trasparente, vedremmo i disegni sovrapporsi perfettamente. Infine utilizza un piccolo manipolatore per riporre la formella pronta dentro uno di quei contenitori.