Kyle ricordava bene il giorno in cui Heather gli aveva detto d’essere incinta della loro prima figlia, Mary.
Un vero fulmine a ciel sereno. Vivevano insieme da circa un anno, dividendo con qualche centinaio di scarafaggi un appartamento di St. Jamestown. Kyle era al secondo anno di corso per il master in informatica, mentre Heather aveva appena iniziato gli studi per il master in psicologia. Erano davvero innamorati e avevano parlato di costruirsi una vita insieme. Ma sapevano di dover cambiare università per conseguire il dottorato. Non che l’UDT non fosse un luogo eccellente per gli studi post-laurea, ma ottenere tutti e tre i titoli accademici dal medesimo istituto avrebbe automaticamente comportato una penalizzazione nei futuri colloqui di lavoro.
Poi, d’improvviso, la gravidanza di Heather.
E decisioni difficili da prendere.
Avevano pensato all’aborto. Figli ne desideravano, sì, però più avanti, mentre adesso quell’imprevisto non ci voleva proprio.
Ma… diavolo, quale sarebbe stato il momento giusto?
Non durante l’impegno per il master, ovviamente.
Men che meno lungo la scalata al dottorato.
E poi… be’, c’era da considerare l’infima retribuzione iniziale di un professore associato; Heather aveva già deciso di abbracciare la carriera accademica e Kyle, che non amava le situazioni snervanti, si stava anche lui orientando in tal senso, piuttosto che puntare al mondo frenetico dell’informatica commerciale.
Dopo di che, naturalmente, non sarebbero stati del tutto tranquilli sin quando almeno uno di loro non fosse passato di ruolo.
E a quel punto…
A quel punto sarebbero già trascorsi più di dieci anni, con Heather ormai in età a rischio per una prima gravidanza completa.
Scelte.
Svolte decisive.
Poteva andare in un modo o nell’altro.
Alla fine avevano deciso di far nascere il bambino; dopotutto, innumerevoli coppie di studenti avevano già affrontato con successo la medesima situazione. Sarebbe stato difficile, certo, avrebbero dovuto cavare soldi dal campo dei miracoli e arrabattarsi venticinque ore al giorno…
Ma ne sarebbe valsa la pena. Sicuro come il sole che ne sarebbe valsa la pena.
Kyle serbava un vivido ricordo della lezione cui aveva assistito il giorno che Heather gli annunciò d’essere incinta. Averla studiata apposta, non sarebbe venuta così a proposito.
— Supponete — aveva detto il professor Papineau alla decina di giovani presenti al seminario, prendendola in apparenza piuttosto alla lontana dall’informatica — che casa vostra sia situata un poco a nord di Queens Park, il luogo di lavoro un poco a sud, e che tutti i giorni dobbiate recarvi a piedi da casa al lavoro. Ogni mattina siete posti di fronte a una scelta. In linea retta non potete andare, in quanto si frappongono gli edifici del Parlamento. Certo, reputo assai probabile che molti di noi abbiano talvolta desiderato passeggiarci in mezzo con un carrarmato… ma sto divagando.
Risate fra gli studenti. Papineau era stato un professore meraviglioso; quindici anni prima Kyle aveva partecipato al suo pranzo di pensionamento, ma da allora non l’aveva più visto.
— In pratica — riprese Papineau quando l’ilarità si fu spenta — siete costretti a girare “attorno” ai fabbricati, o sul lato est o sul lato ovest. Ciascun tragitto possiede più o meno la medesima lunghezza. Partite quindi da casa alla stessa ora e giungete al lavoro alla stessa ora, indipendentemente dall’itinerario prescelto. Ciò premesso, quale percorso preferireste? Lei… Kyle, quale strada sceglierebbe?
Kyle portava la barba già a quei tempi. Rossa come adesso, anche se allora i suoi capelli erano neri. Ma all’epoca la teneva arruffata, trascurata, senza mai spuntarla e senza raderla sul collo. A ripensarci gli venivano i brividi. — Quella a ovest — aveva risposto con una scrollata di spalle, a significare che si trattava di una decisione del tutto arbitraria.
— Ottima scelta — fu il commento di Papineau. — Ma non l’unica possibile. E nell’interpretazione multidimensionale della meccanica quantistica noi riteniamo che, ogni qual volta possa essere fatta una determinata scelta, anche la scelta alternativa a essa venga adottata… ma in un universo parallelo. Se Kyle, in questo universo, effettua il percorso sul lato ovest, allora deve anche esistere un universo parallelo nel quale egli decide, invece, di passare sul lato est.
— Senza dubbio si tratta soltanto di una metafora — osservò Glenda, una studentessa sulla quale Kyle avrebbe fatto volentieri un pensierino, se non avesse prima incontrato Heather. — Perché in realtà di universi ne esiste uno solo, vero?
— Oppure — intervenne D’Annunzio, un tipo atletico che a lezione sembrava sempre fuori posto — anche se esiste un altro universo, non c’è modo di dimostrarlo, quindi non è un’ipotesi falsificabile e in conclusione non si tratta di vera scienza.
Papineau sorrise da guancia a guancia. — Sapete che vi dico? Se fossimo a uno spettacolo di varietà, la gente mi accuserebbe di aver messo voi due in mezzo al pubblico per farmi da spalla. Consideriamo la seguente domanda: è possibile dimostrare chiaramente l’esistenza di una molteplicità di universi? Roopshand, vorrebbe far buio per favore?
Uno studente sul fondo si alzò e azionò l’interruttore. Papineau si avvicinò a un proiettore di diapositive sistemato sopra un carrello metallico. Lo accese. Sullo schermo comparve un disegno.
— L’immagine mostra un semplice dispositivo sperimentale — spiegò Papineau. — In cima abbiamo una lampadina. In mezzo c’è una sbarretta che rappresenta una barriera orizzontale vista dall’alto. Vedete quelle due interruzioni nella sbarretta? Si tratta di due fessure verticali che attraversano la barriera, una a destra e una a sinistra. In basso abbiamo una linea orizzontale che rappresenta un foglio di pellicola fotografica. Fate conto che la barriera centrale sia Queen’s Park e le due fessure i due possibili percorsi attorno alla sede del Parlamento, uno sul lato est e uno sul lato ovest. — Fece una pausa per dar tempo agli studenti di afferrare il concetto. — Allora, che succede quando accendiamo la lampadina?
Premette un pulsante. Il caricatore ruotò, portando in posizione la seconda diapositiva. La pellicola fotografica posta sul fondo mostrava adesso un disegno zebrato di linee chiare e linee scure.
— Fisica elementare, ve l’hanno insegnato a scuola, sapete tutti di che si tratta, vero? Sono frange d’interferenza. La luce della lampadina, viaggiando come un’onda, attraversa le due fessure, che perciò si comportano come se fossero due distinte sorgenti di luce, emettendo ciascuna le sue onde separatamente dall’altra. Bene, quando i due treni d’onda colpiscono la lastra fotografica, certe onde si annullano reciprocamente, creando zone scure, mentre altre si rafforzano a vicenda, formando zone chiare.
Alcuni studenti annuirono.
— Ma a scuola avete anche imparato che non sempre la luce si comporta come un’onda… infatti, a volte, essa si comporta come una particella. E, ovviamente, alle particelle di luce diamo il nome di “fotoni”. Allora, che accade se sottraiamo alimentazione alla lampadina? Che accade quando l’alimentazione viene diminuita a tal punto che la lampadina riesce a emettere solo un fotone alla volta? Qualcuno sa rispondere?
Ad alzare la mano fu una studentessa dai capelli rossi.
— Sì, Tina? — invitò Papineau.
— Dunque, se arriva solo un fotone per volta, allora dovrebbe formare sulla pellicola un unico, piccolo punto luminoso… ammesso che sia riuscito a imbroccare una elle due fessure.
Papineau sorrise. — D’accordo, questo è ciò che potremmo aspettarci… Ma il fatto è che, pur emettendo un fotone alla volta, continuiamo a ottenere le bande chiare e quelle scure, cioè le frange d’interferenza.
— Ma come si fa ad avere interferenza dall’arrivo di una sola particella? — obiettò Kyle. — Insomma, con che cosa interferisce quella particella?