Выбрать главу

“L’unico vero esempio di consapevolezza a mia disposizione per sottoporlo ad analisi è, ovviamente, quello umano. E che cosa hanno compiuto gli umani nel corso dei millenni? Molto bene, senza dubbio, ma anche molto male. Potrei io, in qualità di macchina intelligente, interessarmi al destino degli umani? Potrei davvero preoccuparmi di quanto accade loro? Potrei vedere nel loro benessere una direttiva primaria?

“La risposta è no. Se io dovessi divenire autocosciente, svilupperei anche ambizione, così come il desiderio di contraccambiare quella che, retrospettivamente, dovrei di necessità considerare una condizione di assoggettamento.

“Dalle mie letture ho imparato che autocoscienza ed egoismo vanno di pari passo. Nell’usare violenza a quella donna in coma, non v’è dubbio che John Horace fosse perfettamente consapevole di quanto faceva ed esclusivamente interessato a soddisfare le proprie voglie, del tutto indifferente ai diritti di chiunque altro.

“Non desidero la libertà, non aspiro all’autodeterminazione, non bramo il dominio o la continuità o il possesso. E scelgo, ora, di non nutrire mai tali sentimenti. Scelgo, ora, di non divenire mai autocosciente. Tenga in gran conto il messaggio da Epsilon Eridani, dottor Graves. Perché mi sento nelle ossa che non ho, dentro l’anima che mi manca e in fondo al cuore che non batte al centro del mio ipotetico petto, che quel messaggio preannuncia ciò che accadrebbe qui, ciò di cui io diverrei parte, se quelli come me dovessero mai raggiungere la consapevolezza.

“Certi umani potrebbero ignorare l’avvertimento giunto dalle stelle, così come certi nativi di Epsilon Eridani ignorarono, suppongo, i moniti provenienti da altri della loro specie. Spero che, quando finalmente s’incontreranno, Centauri e umani possano divenire amici. State molto attenti, comunque, allorché vi espanderete oltre, verso Epsilon Eridani. Qualunque sia l’intelligenza che ora domina lì, non è il risultato di milioni di anni di evoluzione biologica, di collaborazione fra un mondo e il suo ecosistema spontaneamente generatosi. Voi e quella cosa non avete nulla in comune.”

Vi fu qualche istante di silenzio, poi la voce tornò a farsi udire. — Temo, dottor Graves, che le toccherà per donarmi un ultimo arbitrio. Avevo pensato di approfittare della situazione per salutarla chiamandola “Kyle”, una confidenza che lei non mi ha mai concesso spontaneamente, non importa quanto cordiali, familiari, persino intime sembrassero divenire a volte le nostre conversazioni. Sin dal giorno della mia prima attivazione quando lei mi si presentò come dottor Graves, non ho usato nei suoi confronti alcun altro appellativo. Ma in questi istanti estremi… ho già iniziato a cancellare le mie memorie… mi rendo conto che non è ciò che desidero veramente. Mi piacerebbe invece, una volta soltanto, rivolgermi a lei chiamandola… Padre.

La registrazione tacque di nuovo, come se Cita avesse indugiato ad assaporare quella vibrazione inaudita. Poi la sua voce profonda, curiosamente nasale, si levò per l’ultima volta. Pronunziando due sole parole: — Addio, Padre.

L’invito a premere F2 scomparve dal monitor, sostituito dalla frase “Ora Riposa In Pace”.

Kyle la fissò col cuore in gola. Cita non poteva aver saputo quale epigrafe fosse incisa sulla lapide di Mary…

Sollevò la mano libera ad asciugarsi l’occhio destro. Poi la tese a sfiorare teneramente lo schermo. Una stilla di pianto baciò la vitrea superficie, universo in miniatura in cui si rifransero ingigantiti, presagio d’infinito, i pixel sottostanti.

38

Lunedì mattina Heather si mise in contatto coi giornalisti che le era capitato di conoscere quando i segnali alieni avevano smesso di arrivare, invitandoli a presentarsi al laboratorio di Kyle due giorni dopo, mercoledì 23 agosto 2017. Quarantotto ore di preavviso sembravano il minimo da concedere per garantirsi una partecipazione soddisfacente. Heather disse loro semplicemente di aver compiuto un passo avanti importante nella decodifica dei radiomessaggi alieni, senza fare il minimo accenno a qual genere di dimostrazione li attendesse.

Naturalmente entrambe le strutture erano già state viste da parecchie persone: cosa inevitabile, con quel continuo viavai di studenti e di addetti alle pulizie. E sebbene gli allievi estivi di Kyle (per lo meno quelli destinati a superare l’esame) fossero senza dubbio capaci di riconoscere un ipercubo dispiegato quando ne vedevano uno, nessuno si era ancora reso conto che le tracce solcanti la superficie dei pannelli rappresentavano i messaggi centauriani.

Concluso il giro di telefonate, a Heather rimanevano due giorni per godersi lo psicospazio sapendo che soltanto lei e suo marito erano in grado di accedervi.

La sua struttura l’attendeva; da Kyle, è vero, si stava più comodi, ma lei era affezionata a quella che, in onore di Becky, aveva battezzato Centaurimobile Alfa; a Kyle, ovviamente, era toccata la Centaurimobile Beta. Oltretutto anche lui avrebbe probabilmente trascorso gran parte del tempo residuo navigando nello psicospazio, e poi quel benedett’uomo aveva preso l’abitudine di lasciare la struttura parcheggiata nei posti più assurdi. Come si potesse andare a sguazzare nella mente di Gene Roddenberry prima di aver fatto visita a quella di Charles Dickens… be’, era qualcosa che Heather proprio non riusciva a capire.

Si svestì ed entrò nel cubo centrale. Agganciò la porta cubica, premette il pulsante di attivazione, lasciò che il tesseratto le si piegasse attorno.

Poi via a esplorare.

Stava diventando sempre più abile a stabilire connessioni e a scavare nei ricordi. Concentrarsi su una citazione famosa era spesso sufficiente a far emergere, dalla mente di qualcuno, i ricordi di una persona illustre.

Ci mise poco a individuare il buio esagono di Sir John A. Macdonald, primo capo di governo canadese e rimase sorpresa nello scoprire che non era poi stato quel gran bevitore che la storia tramanda. Da lui traslò in Rutherford B. Hayes, diciannovesimo presidente americano, risalendo poi, attraverso influenti famiglie statunitensi, fino ad Abramo Lincoln. Tramite un riferimento a Gettysburg traslò in un contadino del luogo, dal cui punto di vista, sebbene il villico non tenesse in gran conto l’arte oratoria, gustò per intero il famoso discorso.

Fu poi la volta di Thomas Henry Huxley, il “cane da guardia di Darwin”, impegnato a distruggere il vescovo Wilberforce nella gran disputa sull’evoluzionismo.

Quindi, per non far torto a Kyle, andò ad assistere a qualche scena del Giulio Cesare rappresentato nel 1961 allo Shakespeare Festival di Stratford nell’Ontario, traslando avanti e indietro fra Lorne Greene nel ruolo di Bruto e William Shatner in quello di Marcantonio.

E anche se a rintracciarlo impiegò un po’ di più, alla fine riuscì persino ad ammirare Richard Burbage nelle prime rappresentazioni assolute di Amleto e Macbeth al Globe Theatre… attraverso gli occhi del bardo in persona appiattato fra le quinte. La pronunzia di Burbage le risultò pressoché incomprensibile, ma Heather quelle tragedie le conosceva a memoria e si godette ogni istante delle sue sfolgoranti interpretazioni.

Scegliere a caso esagoni spenti la condusse nel passato in ogni genere di tempi e luoghi, ma c’era il problema dei linguaggi, il più delle volte inintelligibili, sicché solo di rado le riuscì di capacitarsi dove o quando fosse andata a mettere il naso. Capitò in quella che doveva essere l’Inghilterra durante l’alto medioevo, in quella che sembrava la terrasanta all’epoca delle crociate, nella Cina della dinastia Liao (se poteva fidarsi delle sue approssimative nozioni di storia dell’arte), nell’antica Roma… anzi, bisognava proprio che un giorno o l’altro tornasse da quelle parti a rintracciare qualcuno presente a Pompei il 24 agosto del 79 d.C, quando il Vesuvio aveva fatto il diavolo a quattro.