Perfettamente calmo nel grigiore della sua giacca anonima, Fogarty spense il digimemo e se lo fece scivolare in tasca, dove quello urtò con rumore di plastica lo storditole militare che già vi si trovava.
Ormai da mezzora in corridoio non passava nessuno; l’edificio era deserto e silenzioso come meglio non poteva essere. Quando Graves vi era entrato, Fogarty l’aveva seguito, osservando la sua preda raggiungere non il laboratorio bensì l’ufficio.
Fogarty si alzò e impugnò lo storditore nel palmo grassoccio. Non doveva far altro che toccare il corpo di Graves, e l’uomo sarebbe stato attraversato da una corrente elettrica sufficiente a fermargli il cuore. Coi precedenti cardiaci che si ritrovava, era difficile che qualcuno potesse sospettare un’aggressione. Ma poi che sospettassero pure. Chi avrebbe mai potuto metterla in relazione con Fogarty o con Cash? Una scarica di storditore non porta la firma di nessuno. A ogni buon conto, Fogarty aveva le mani coperte da uno strato di plastipelle modellata con le impronte digitali dello stesso Graves, il che gli avrebbe consentito d’ingannare la serratura scongiurando nel contempo il rischio di lasciare in giro tracce compromettenti.
Fogarty diede un’ultima occhiata in corridoio per assicurarsi che fosse deserto, poi si diresse verso la porta dell’ufficio di Kyle.
Ovviamente non gliene fregava nulla della minaccia all’industria bancaria, non erano fatti suoi. A sentir Cash avevano già comprato il silenzio di uno scienziato israeliano, ma se questo Graves era troppo stupido per approfittare dell’occasione, be’, peggio per lui.
Fogarty fece un passo e…
…e tutt’a un tratto si sentì confuso, lievemente disorientato, lo smarrimento di un attimo.
Finito. Però…
Kyle Graves, pensò. Età quarantacinque, stando all’informativa fornitagli da Cash.
Padre, marito… secondo Cash si era da poco riconciliato con la moglie.
Brian Kyle Graves… un altro essere umano.
Fogarty palpeggiò lo storditore, quasi a sincerarsi di averlo ancora in mano.
Certo, dall’informativa veniva fuori che quel Kyle era un tipo per bene e oltretutto…
Ecco, oltretutto a Fogarty non sarebbe piaciuto che qualcuno facesse a lui uno scherzetto del genere.
Un altro passo. Gli giunse il suono soffocato di Graves che dettava all’elaboratore testi.
Fogarty s’immobilizzò, incapace di procedere oltre. Che diavolo gli prendeva, solo nell’anno scorso aveva risolto una trentina di problemi così; e adesso…
Adesso invece…
“Non posso farlo” pensò. “Non posso”.
Si girò e si allontanò in silenzio per il corridoio.
Terminato di dettare la relazione, Kyle prese la via dell’Abbeveratoio dove aveva appuntamento con Stone Bentley, proveniente direttamente da un convegno al Royal Ontario Museum.
— Una volta tanto sembreresti decisamente di buon umore — lo accolse Stone, mentre Kyle gli sedeva di fronte. — Che ti succede?
Kyle sorrise. — Era un pezzo che non mi sentivo così bene. Mia figlia si è resa conto di essersi sbagliata.
Le sopracciglia di Stone diedero un soprassalto. — Questa sì ch’è una buona notizia!
— Vero, eh? Fra poche settimane è il mio compleanno e non avrei potuto sperare in un regalo migliore.
Arrivò la cameriera.
— Un bicchiere di vino rosso — ordinò Kyle. Stone era già alle prese col solito boccale di birra.
La cameriera trotterellò via.
— Ti volevo ringraziare, Stone — disse Kyle. — Senza di te non so se ce l’avrei fatta. — Stone rimase zitto e Kyle proseguì. — A volte essere uomini non è facile per niente… quando ci sono di mezzo certe questioni, la gente dà per scontato che uno sia colpevole. A ogni modo il tuo sostegno ha voluto dire molto per me. Sapere che ti eri già trovato in una situazione un po’ come la mia, uscendone magari un tantino malconcio ma ancora vivo, mi dava… non so, credo che “speranza” sia il termine giusto.
Ricomparve la cameriera e depose il vino sul tavolo. Kyle la ringraziò con un cenno del capo, quindi alzò il bicchiere. — A noi due… i sopravvissuti.
Dopo un attimo anche Stone sollevò il boccale, consentendo a Kyle di fare cincin. Però lo riappoggiò senza bere. E distolse lo sguardo, fissandolo nel vuoto.
— Nel mio caso era vero — mormorò. Kyle non aveva capito. — Come, scusa?
Stone tornò a fissarlo. — Quella ragazza, cinque anni fa… l’avevo molestata davvero. — Sostenne lo sguardo di Kyle per qualche secondo, forse in attesa di una reazione, poi chinò gli occhi sulla tovaglia.
— Ma la studentessa non ritrattò? — domandò Kyle.
Stone assentì quasi impercettibilmente. — Prove non ne aveva, sapeva di aver perso la partita, e poi in facoltà non campava più, con quasi tutti gli altri maschi che le tenevano il muso o facevano finta di non vederla. In quel modo sperava di sdrammatizzare un po’ le cose. — Stone si decise a mandar giù un sorso di birra. — Comunque ha finito per trasferirsi alla York… In certe situazioni, meglio darci un taglio.
Non sapendo che dire, Kyle prese tempo guardandosi attorno nel locale.
— Il fatto è che… — continuò Stone. — Ecco, lo so anch’io che c’è poco da giustificarsi, ma cavolo, per me era un momentaccio. Io e Denise stavamo divorziando, e… — Tacque un momento. — Comunque fu un’idiozia, una vera idiozia.
Kyle sospirò. — E tutto questo tempo te ne sei stato qui tranquillo a farti raccontare i miei problemi con Becky?…
Stone si strinse un poco nelle spalle. — Be’… pensavo che tu fossi colpevole.
La voce di Kyle si fece dura. — Ma se ti avevo detto di no.
— Lo so, lo so. Ma se invece eri colpevole… allora eri un bastardo anche peggiore di me, non credi? Tu sei un tipo a posto Kyle… e ho pensato che se uno come te poteva commettere una porcheria del genere, be’, allora quello che avevo combinato io un pochino almeno si ridimensionava. Insomma, cose che a volte succedono, mi spiego?
— Stone, ma ti rendi conto di quello che dici?
— Hai ragione. Comunque stai sicuro che non ci ricasco.
— Il lupo perde il pelo…
— No, ti giuro, adesso sono diverso. Non te lo so spiegare, ma sono cambiato, sul serio. Qualcosa dentro di me non è più come prima. — Stone si frugò in tasca ed estrasse la sua SmartCash. — Ascolta, capisco che non mi vorrai più vedere. Sono contento che fra te e tua figlia si sia aggiustato tutto. Davvero, sono proprio contento. — Si alzò.
— No — disse Kyle. — Rimani. Stone parve esitare. — Sei sicuro? Kyle annuì. — Sì, sono sicuro.
Martedì mattina Heather arrancava su per gli scalini di Mullin Hall, le braccia stracariche dei libri che voleva avere a portata di mano durante la conferenza stampa indetta per il giorno dopo al laboratorio di Kyle. Oggi l’umidità era abbastanza bassa e il cielo era sereno, un’incontaminata coppa cerulea.
Proprio dinanzi a sé Heather scorse un paio d’ampie spalle dall’aspetto familiare, bardate d’una giacca in pelle Varsity Blues col nome KOLMEX impresso a chiare lettere: lo stesso marmittone che due settimane prima aveva sbattuto in faccia a lei e a Paul la porta di Sid Smith.
Pensò di richiamare la sua attenzione ma non ce ne fu bisogno, perché il giovane atleta, lasciandola di stucco, raggiunto l’ingresso si fermò, si guardò attorno per controllare se arrivava qualcuno, vide Heather, spinse la porta e rimase lì a tenerle aperto il battente.
— Grazie — sorrise Heather nel passargli accanto.
— Piacere mio. Buona giornata — rispose lui restituendole il sorriso.
Ma la cosa davvero strana, pensò Heather, era che dava l’impressione di dire sul serio.