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“Consideriamo per esempio la scomposizione dei numeri in fattori. Come viene realizzata? In sostanza, procedendo per tentativi, anche se ci si può aiutare con qualche espediente. Se vogliamo individuare i fattori di otto, cominciamo col vedere per quali numeri sia divisibile. Sappiamo che l’uno sta nell’otto un numero intero di volte… così come sta in qualunque numero non decimale. E il due? Sì, il due è un fattore, sta nell’otto quattro volte. Il tre? No, non ci sta un numero intero di volte. Il quattro? Sì, ci sta due volte. Ecco quindi come operiamo: a forza di calcoli, provando uno dopo l’altro tutti i possibili fattori. Man mano però che i numeri diventano più grandi, anche i loro fattori diventano sempre di più. Poche settimane fa, una rete di milleseicento elaboratori è finalmente arrivata a calcolare tutti i fattori di un numero di 129 cifre, il più grande numero che sia mai stato scomposto in fattori. Il procedimento ha richiesto otto mesi.

“Immaginiamo però un elaboratore quantico… un elaboratore cioè che sia in contatto con tutti gli altri possibili elaboratori degli universi paralleli. E immaginiamo un programma che scomponga numeri molto grandi in fattori lavorando contemporaneamente su tutte le possibili soluzioni. Peter Shor, un matematico dei Laboratori AT&T Bell, ha sviluppato un programma per fare proprio questo: provare simultaneamente ogni possibile fattore del numero di partenza esaminando solo un possibile fattore in ognuno di molti universi paralleli. Il programma fornirebbe i suoi risultati sotto forma di frange d’interferenza impresse su una pellicola fotografica. Grazie all’algoritmo elaborato da Shor, i numeri che non sono fattori verrebbero cancellati dalla figura d’interferenza, producendo zone scure. L’alternanza di fasce chiare e fasce scure formerebbe una specie di codice a barre, dalla cui lettura risulterebbe quali numeri siano effettivamente fattori del grande numero iniziale. E siccome i calcoli sarebbero effettuati in più universi paralleli, nel tempo impiegato nel nostro universo per provare un numero qualsiasi anche tutti gli altri numeri verrebbero esaminati e otterremmo il risultato. Poiché non importa quale sia il numero esaminato dal nostro elaboratore, il risultato verrebbe raggiunto quasi istantaneamente. Ciò che ai normali computer richiede otto mesi di elaborazione, per un computer quantico sarebbe questione di secondi.”

— Già, ma un computer quantico non esiste — obiettò Kyle.

— È vero — ammise Papineau. — Ancora non esiste. Ma un giorno o l’altro qualcuno lo costruirà e allora lo sapremo per certo.

6

Kyle e Heather cenavano insieme ogni lunedì sera.

Erano separati ormai da un anno. Non lo consideravano un distacco definitivo e non avevano mai parlato di divorzio. Sentivano solo il bisogno di un po’ di tempo, indispensabile a tutti e due, per rassegnarsi alla morte di Mary. Perché coi nervi a fior di pelle avevano cominciato a non sopportarsi più, a beccarsi di continuo, a farsi trascinare in liti furibonde da piccole cose assolutamente insignificanti, incapaci di consolarsi l’un l’altro, incapaci di comprendere perché fosse accaduto.

Non avevano mai saltato un lunedì, e sebbene la tensione fosse salita in seguito alla visita di Becky quattro giorni prima, Kyle confidava che Heather sarebbe venuta comunque all’appuntamento.

Attese dunque fuori del solito ristorante, godendosi la tiepida brezza della sera.

Verso le sei e quaranta, con dieci minuti di ritardo, il libratore blu cobalto di Heather fluttuò dentro il parcheggio.

Finora si erano sempre salutati, ogni lunedì sera da un anno a quella parte, con un bacio a fior di labbra, ma stavolta… stavolta esitarono entrambi. Kyle le tenne aperto il battente, ed entrarono nel ristorante.

Sebbene il locale fosse semivuoto, il cameriere cercò di farli accomodare accanto a un’altra coppia. Bene che andasse, Kyle detestava una sistemazione del genere, e stavolta non esitò a reclamare. — Ci sediamo laggiù — disse, indicando un angolo distante.

Il cameriere cedette e li accompagnò a un séparé in fondo. Kyle ordinò vino rosso; Heather un bicchiere di bianco della casa.

— Cominciavo a pensare che non saresti venuta — disse Kyle.

Heather annuì, ma rimase impassibile. — Scusa il ritardo.

Per un poco mantennero il silenzio.

— Non so proprio che cosa fare, per questa storia — tentò Kyle.

Heather distolse lo sguardo. — Nemmeno io. — Ti giuro…

— Per favore — lo zittì Heather. — Per favore.

Kyle assentì lentamente. Poi, dopo qualche esitazione: — Sabato sono andato a trovare Zack.

Un’ombra d’inquietudine parve calare sul volto di lei. — E allora?

— Allora niente. Cioè, non ci siamo presi a pugni. Abbiamo solo parlato un po’. Volevo convincerlo ad accompagnarmi al laboratorio di medicina legale, all’Università. Per sottopormi alla macchina della verità e dimostrargli la mia innocenza.

— E allora? — ripeté Heather.

— Ha rifiutato. — Kyle abbassò lo sguardo, poi lo rialzò, cercando gli occhi di Heather. — Potrei farlo anche per te, se vuoi. Ti dimostrerei che sono innocente.

Heather fece per aprire la bocca, ma la richiuse immediatamente.

Si trovavano a una svolta, a un momento cruciale. Kyle lo sapeva ed era certo che anche Heather se ne rendeva perfettamente conto. Il futuro dipendeva da quel che sarebbe accaduto adesso.

Heather doveva pensarci bene…

Se Kyle era innocente e lei gliene avesse chiesto la prova, non sarebbe mai riuscito a perdonarle la mancanza di fiducia. Se Kyle era innocente, il loro matrimonio sarebbe certamente sopravvissuto a quella crisi; ma se lei nutriva dei sospetti e li ammetteva, se ammetteva la possibilità di colpevolezza, sarebbe mai più stato capace di stringerla e di amarla come un tempo? Si era schierata o no al suo fianco, aveva o no creduto in lui, nel momento del maggior bisogno?

— No — decise infine Heather, chiudendo gli occhi. — No, non sarà necessario. — Poi, guardandolo: — Lo so già che non hai fatto niente.

Kyle cercò di rimanere impassibile, consapevole di come lei lo scrutasse in volto per comprendere se egli dubitava della sua sincerità.

— Grazie — disse, con un filo di voce.

Tornò il cameriere con le bevande. Ne approfittarono per ordinare petto di pollo alla griglia e patate al forno per Kyle; un quarto di pollo arrosto e patate fritte per Heather.

— Che altro è successo, con Zack? — volle sapere Heather.

Kyle bevve un sorso di vino. — Mi ha detto che Becky è in terapia.

Heather annuì. — Eh, già.

— Tu lo sapevi?

— Ha cominciato a vedere qualcuno dopo la morte di Mary.

— Lo stesso psicanalista da cui era andata Mary — aggiunse Kyle. — Me l’ha detto Zack.

— Anche Mary in terapia? Dio mio, non ne sapevo nulla.

— Io pure ci sono rimasto male — disse Kyle.

— Si sarebbe dovuta confidare con me.

— Oppure con me — aggiunse Kyle in tono deciso.

— Naturalmente — disse Heather. — Naturalmente. — Tacque un istante. — Mi chiedo se non ci fosse di mezzo la disgrazia di Rachel…

— Chi?

— Rachel Cohen. Ricordi? L’amica di Mary. Morta di leucemia quando Mary aveva diciott’anni.

— Ah, sì. Povera ragazza.

— Mary ne uscì davvero distrutta. Forse fu in seguito a quello che prese a vedere un analista… in cerca di un po’ di sollievo alla sofferenza della perdita, capisci?

— Allora perché non rivolgersi a te?