Fu interrotto da un flusso di pensieri sbalorditi che giungeva da Kart, il quale raggiunse ben presto uno stato di completa disperazione.
“Il mio talismano! Oktav lo ha rubato! È fuggito!”
6
Thorn incespicò sull’orlo oscuro; il suo piede alzato produsse su di esso un rumore raschiante, cercando di mantenere l’equilibrio. Si rese vagamente conto della presenza di grida e di un ago di luce verde che si abbassava ondeggiando su di lui.
Inutilmente mise in azione i muscoli dei polpacci, e agitò le braccia nell’aria.
Eppure, quando cadde, e quando l’orlo oscuro si allontanò, sopra di lui… dapprima molto lentamente… fu lieto di essere caduto, perché l’ago di luce verde che era sceso verso di lui veva trasformato il punto in cui si era trovato fino a pochi istanti prima in una fornace rovente.
Cadde a capofitto, cercando disperatamente i comandi di un abito di volo che non indossava.
Ebbe il tempo di compiere un futile, disperato tentativo di comprendere per quale motivo, addentrandosi nella foresta, fosse giunto su quell’orlo oscuro.
Delle aperture indistinte passarono accanto a lui, quasi a sfiorarlo. Poi si trovò all’interno di qualcosa d’intricato che impedì la sua caduta… dapprima lentamente, poi rapidamente, tanto che la sua caduta fu convertita con rapidità addirittura fastidiosa in un’ascesa. Fu attirato verso l’alto, poi compì una brusca capriola, e toccò il suolo in maniera alquanto rude.
Si trovò immerso fino alle ginocchia nella sostanza che aveva interrotto la sua caduta. Essa emise uno strano rumore frusciante, mentre lui se ne liberava.
Avanzò a tentoni, girando intorno a quello che poteva essere un angolo dell’edificio oscuro dal cui tetto era caduto. Le grida che giungevano dall’alto non si udirono più.
Si diresse con la mente intorpidita verso una delle luci bluastre che aveva visto. Queste luci lasciavano intravedere debolmente alberi scheletrici e terreno arido nello spazio che lo separava dalla loro sorgente.
Si rese conto che nel suo corpo c’era qualcosa di strano. Attraverso la nube di stordimento e di dolore provocata dalla caduta, questa sensazione si fece strada… un senso di malessere diffuso, e nello stesso tempo la consapevolezza di una forza muscolare tutt’altro che elastica e perfetta… e si trattava di una cosa nuova, e sgradevole.
Si aprì la strada in mezzo ai rifiuti e agli sterpi, e riuscì a salire, uscendo finalmente in cima a una terrazza. La luce bluastra era molto forte, ora. Giungeva dalla più vicina di una serie di lampade poste in cime a dei pali, ai fianchi di un ampio viale che si trovava ai piedi della terrazza. Una folla di persone si muoveva lungo il viale, ma una barriera irregolare gli impediva la vista.
Fece per scendere, poi esitò. La sostanza intricata era ancora attaccata al suo corpo. Automaticamente, cominciò a sbarazzarsene, e notò che essa era costituita di sottilissime spirali di plastica e metallo… identiche ai trucioli di un antiquato iper-tornio pre-subtronico. Presumibilmente, un’enorme quantità di quella sostanza era stata emessa dalle aperture che aveva visto durante la caduta, sfiatatoi, senza dubbio; ma Thorn fu sbalordito al pensiero del numero di quelle macchine utensili che doveva trovarsi all’interno del grande edificio, per produrre tanti rifiuti. Gli iper-torni erano antiquati, costituivano ormai una curiosità. E radunare tante macchine, di qualsiasi tipo, in un edificio, era un pensiero addirittura assurdo.
Questo problema gli uscì di mente, quando vide le sue mani e gli abiti che stava indossando. Sembravano strani… le mani erano pallide, sottili, snodate, sembravano quasi artigli.
Vivide, ma remote, come attraverso uno specchio deformante, giunsero alla mente di Thorn le prime immagini degli avvenimenti della serata. Clawly, la sincromia, il vecchio vestito di nero, la conferenza nella Sala del Cielo, la corsa nella foresta.
La sua mano sinistra stringeva qualcosa… con tanta forza che le dita si aprirono con difficoltà. Era la piccola sfera grigia che aveva rubato all’Yggdrasil. Thorn la osservò, con la mente in subbuglio. Certo, se aveva ancora quell’oggetto con sé, voleva dire che lui non era cambiato. Eppure… La sua mente si riempì di un presentimento senza forma ma incalzante.
Sotto la spinta di quel presentimento, infilò la sfera in tasca… una tasca che non si trovava al posto giusto e che conteneva un cilindro metallico, che gli provocò un brivido di stupore. Poi scese di corsa dalla terrazza, attraversò la barriera irregolare, e si mescolò alla folla che risaliva il viale immerso nella luce bluastra.
Il presentimento divenne una pesante bolla di paura, che esplose nella comprensione.
Quell’altro Thorn aveva preso il suo posto. Lui indossava gli abiti dell’altro Thorn… logori, servili, da lavoro. Abitava nel corpo dell’altro Thorn… che era il suo, ma stranamente alterato e trascurato, sconvolto da tensioni ed emozioni che non gli appartenevano.
Era nel mondo dei suoi incubi. Si fermò di colpo, e la folla fluì accanto a lui, sfiorandolo.
La sua prima reazione, dopo un’ondata di stupore e di incredulità che lo lasciò debole e sconvolto, fu di soddisfazione morale e profonda. L’equilibrio era stato ristabilito. Ora l’altro Thorn avrebe potuto godere la vita magnifica dell’utopia, mentre lui avrebbe sopportato la cupa esistenza dell’altro Thorn. Non c’era più la sensazione opprimente di essere dominato da un’altra personalità, frustrata da sventure e sofferenze.
Fu pervaso da un’esaltazione quasi demoniaca… il desiderio di esplorare e di conoscere quel mondo che aveva studiato tanto a lungo servendosi dei vaghi indizi offerti dagli incubi, di strappare alla folla che scorreva come una fiumana accanto a lui la risposta a tutti i suoi perché e a tutti i suoi dubbi.
Ma questo non sarebbe stato facile.
Un’atmosfera di vigile segretezza e di sospetto pervadeva il viale. Le voci delle persone che passavano accanto a lui erano sommessi mugolii attutiti. Tutti giravano a capo chino, non fissavano direttamente… ma gli occhi erano vigili e penetranti.
Si lasciò portare dalla folla, e nel frattempo cercò di studiare con maggiore attenzione gli individui che lo circondavano.
La miseria e la noia e la ricerca cupa e disperata di una via di scampo erano dipinte su tutti i volti illuminati delle luci azzurre, o perlomeno, sulla maggioranza di essi; e somigliavano alle espressioni che aveva visto nei suoi incubi che, con un lieve sforzo di fantasia, avrebbe potuto fingere di sognare… ma avrebbe potuto soltanto fingerlo.
Su alcuni di quei volti c’era qualcosa di familiare, ma così assurdamente distorto, che la semplice visione bastò a provocare in lui lunghi brividi di orrore. Dovevano essere individui i cui duplicati nel suo mondo d’origine erano da lui conosciuti alla lontana, o magari erano stati visti in circostanze diverse.
Era come se tutti gli abitanti del suo mondo d’origine fossero intenti a interpretare qualche strana commedia… magari una rappresentazione simbolica dedicata a tutte le vie anonime, monotone e futili dell’abisso della storia.
Uomini e donne, indifferentemente, portavano tuniche e pantaloni di un colore sbiadito, che la luce azzurra rendeva impossibile definire. Non esisteva individualità… i vestiti erano tutti uguali, sebbene alcuni somigliassero maggiormente ad abiti da lavoro e altri a uniformi militari.
Alcuni sembravano sorvegliare gli altri. Costoro erano trattati con un misto di deferenza e di ostilità… avevano la precedenza, ma nessuno parlava loro. E anch’essi erano spiati… in effetti, Thorn ricevette l’impressione di essere circondato da un complesso quasi intollerabile di spionaggio e controspionaggio.
Alcuni individui, che si vedevano di quando in quando, ed erano vestiti di nero, ricevevano manifestazioni di deferenza ancora maggiori, ma per un certo tempo Thorn non riuscì a vedere chiaramente uno di questi privilegiati.