Dopo qualche minuto, ansante per lo sforzo sostenuto, con gli abiti infangati e pieni di foglie e fili d’erba, arrivò sulla cima dell’altura L’oscurità, e le stelle a lui familiari, gli portarono un certo sollievo.
Si guardò intorno.
La prima impressione fu rassicurante. Per un istante fu sfiorato dalla speranza che, arrampicandosi sulle pendici dell’altura, sarebbe riuscito a tornare nel suo mondo di origine. La Croce d’Opale si trovava là dove doveva essere. E c’erano anche i Gemelli Grigi. Concentrandosi sui pigliastelle, riuscì a ignorare la vista sgradevole di altri edifici, bassi e tozzi, che spuntavano come funghi, o meglio, come scarafaggi, della campagna; riuscì a ignorare perfino i viali affollati, illuminati dalle luci azzurre.
Ma il ponte aereo che collegava i Gemelli doveva essere immerso nell’ombra. Eppure, le luci proiettate dai Gemelli sarebbero state sufficienti a renderlo visibile.
E dove si trovava la Blue Lorraine? La notte non sembrava così piena di foschia da nascondere il grande pigliastelle.
E dove si trovava la Malva Zeta, che doveva essere tra la sua posizione e i Gemelli?
Scosso, si voltò dall’altra parte. Per un istante, la speranza ritornò Da quella parte la campagna sembrava più limpida, e in lontananza il Mirto Y e la Grigia H erano come boe vicino a una costa conosciuta.
Ma tra la sua posizione e i pigliastelle, al di sopra della stessa collina sulla quale, quella sera, aveva assistito all’Yggdrasil, come se gli uomini lo avessero costruito durante la notte per magia, si trovava un immenso pigliastelle nero, più alto di qualsiasi altro che lui avesse mai visto, più alto ancora della Blue Lorraine. La sua superficie di ebano rifletteva la luce delle stelle. Cinque ali si irradiavano a intervalli regolari dalla costruzione principale. Ricordava i sogni orgogliosi degli antichi monarchi, i quali avevano voluto costruire un simbolo tangibile della loro potenza.
Gli venne in mento un nome. La Stella Nera.
— Ehi, lassù, chi sei? Scendi subito!
Thorn si voltò di scatto. La luce azzurra del viale illuminava due uomini che si inerpicavano sull’altura. Avevano il volto rivolto verso l’alto. La posizione delle loro braccia suggeriva l’idea che tenessero puntate contro di lui delle armi.
Rimase immobile, e capì che la luce azzurra era sufficiente a renderlo visibile. Subito, dopo il suo corpo si tese, vigile e pronto ad agire Quell’istante sembrò prolungarsi all’infinito, come se lui e i due inseguitori fossero stati gelati da un’arcana magia. Capì a un tratto, e il pensiero esplose in lui come una fiammata, che, al suo arrivo, gli uomini che avevano gridato, sul tetto del’edificio, avevano cercato di ucciderlo. Se non avesse perduto l’equilibrio, fortunatamente, ormai non sarebbe stato che un cumulo di cenere. Il corpo in cui si trovava era oggetto di una caccia spietata da parte di altri individui, che desideravano distruggerlo.
— Scendi immediatamente.
Si gettò a terra. Non ci fu, questa volta, nessun ago di luce verde, ma qualcosa sibilò debolmente nell’erba, ai suoi piedi. Strisciò disperatamente per qualche metro, poi si mise carponi, e scattò, in una corsa disperata, discendendo l’altura dalla parte opposta a quella che aveva percorso per salire.
La fortuna era con lui. Non cadde durante quella corsa pazzesca e disperata nella semioscurità.
Entrò in una specie di rada boscaglia, e fu costretto a procedere più lentamente. Foglie secche e rami caduti scricchiolarono sotto i suoi piedi. Alberi scheletrici nascondevano in parte le stelle.
Improvvisamente, sentì che qualcuno gridava, davanti a lui. Cambiò strada, seguendo il letto di un torrente in secca. Ma, dopo qualche tempo, anche da quella parte si udirono delle grida. Poi un oggetto enorme scese dal cielo e si fermò al di sopra della boscaglia, e da esso esplose un fiotto di luce accecante, che illuminò la boscaglia di una luce più insopportabile di quella del sole.
Trovò un riparo, e si nascose nella fitta vegetazione del sottobosco.
Per molto tempo i cacciatori si mossero vicino a lui, ora allontanandosi di poco, ora avvicinandosi. Una volta udì dei passi a pochissimi metri di distanza dal suo nascondiglio.
Il sottobosco, illuminato a giorno dalla spietata luce bianca, sembrava una protezione assolutamente inadeguata. Ma qualsiasi tentativo di cambiare posizione sarebbe stato senza dubbio molto pericoloso.
Si rialzò di qualche centimetro per spiare i movimenti dei cacciatori, attraverso il fogliame, e scoprì che nella mano destra stringeva il cilindro metallico che aveva trovato in tasca, quando aveva riposto l’oggetto rubato all’Yggdrasil. Doveva averlo estratto durante la fuga… probabilmente, si trattava di una reazione automatica dei suoi muscoli stranieri.
Esaminò la cosa, domandandosi se si trattasse di un’arma. Notò due levette di comando, ma non riuscì a capire la loro funzione. Gli rimaneva l’ultima risorsa di puntare l’oggetto contro i suoi nemici, in caso di necessità, e di provare ad azionare le levette.
Un fruscio di foglie attirò la sua attenzione; osservò attraverso il fogliame. Una figura era emersa dalla riva opposta del torrente in secca. Era voltata dall’altra parte, ma fin dall’inizio Thorn notò qualcosa di incredibilmente familiare nel suo atteggiamento sicuro, nella posizione della testa dai capelli rossi.
La luce abbagliante illuminava la sua uniforme nera, e mostrava, su una spalla, un emblema, più nero ancora dell’uniforme: una stella nera.
Thorn si fece avanti, aprendo con le mani la cortina di foglie che lo proteggeva.
La figura si voltò, e il viso divenne visibile.
Con voce strozzata… erano le prime parole che pronunciava da quando si era trovato sull’orlo del tetto… Thorn esclamò: — Clawly!
Poi corse avanti.
Per un istante non ci furono mutamenti nell’espressione di Clawly. Poi, con agilità felina, balzò da una parte. Thorn inciampò sui sassi del torrente in secca, e lasciò cadere il cilindro metallico. Clawly estrasse qualcosa, e puntò l’oggetto su di lui. Thorn fece per rialzarsi, per avvicinarsi all’amico. Poi… non ci fu alcun suono, solo un debole sibilo, nulla di visibile, ma un dolore lancinante colpì la spalla destra di Thorn.
E il dolore rimase. Il suo corpo fu percorso da ondate di dolore meno intenso. Rimase immobilizzato, in maniera grottesca, nell’atto di rialzarsi. Era come se un ago incandescente, legato a un filo il cui capo si trovava in mano a Clawly, gli trafiggesse la spalla e lo tenesse fermo, immobile.
Mentre fissava Clawly, pieno di una delusione terribile, spaventosa, Thorn cominciò a intravedere i primi barlumi di verità.
Clawly… questo Clawly… sorrideva.
7
Clawly smise di percorrere nervosamente l’ufficio, e si fermò davanti alla scrivania di Oktav, con il volto satanico contratto. A parte i segni della sua perquisizione, tutto nella stanza era nell’identica posizione in cui l’aveva lasciata al mattino. La porta che dava sul corridoio chiusa, il nero mantello di Oktav appoggiato allo schienale della poltrona, la porta che dava sulla camera interna aperta. Come se il veggente fosse stato chiamato con urgenza, per un lavoro da sbrigare in poco tempo.
Clawly era irato con se stesso, per l’impulso che lo aveva spinto a tornare in quel luogo. Certo, la sua perquisizione aveva scoperto delle cose inquientanti e significative… in particolare, un assortimento di piccoli oggetti e utensili che sembravano risalire, senza soluzioni di continuità, fino agli ultimi anni del Medio Evo dell’Alba della Civiltà; molto significativa era una serie di appunti, dapprima vergati in caratteri sbiaditi su fogli bianchi di fibra vegetale, poi dattiloscritti, su fogli simili, poi impressi su plastica, quindi registrati su nastri, per arrivare finalmente alle moderne tecniche di registrazione su filo e su nastro e terminare nella recentissima multiregistratrice.