Выбрать главу

Infilandosi gli abiti antigravitazionali, Thorn continuò a guardarsi intorno. La luce diffusa che si era sprigionata dal terreno era svanita, come il cielo artificiale, e ora si poteva spaziare con lo sguardo fino al lontano orizzonte, sebbene le prime avvisaglie di un temporale… che erano state tenute lontane durante la rappresentazione sincromica… stessero avanzando, sotto forma di nuvole. Come non mai, Thorn avvertì un dolore lancinante al cuore, alla vista della bellezza dell’utopia, perché sapeva che la sua fine, la fine di quel mondo meraviglioso, poteva essere vicinissima. Si rendeva conto degli infiniti universi che premevano alle porte del suo mondo, del disastro che poteva raggiungere da un momento all’altro. C’era qualcosa di spettrale nella grandezza dei pigliastelle, ultimo sviluppo degli antichi “grattacieli”, mono-edifici che erano un’intera città, solitali e immersi in una luce soffusa, torreggianti e lontani come montagne, che si innalzavano verso le stelle, sorgendo dalla campagna dolcemente ondulata. Le città verticali, composte di un solo edificio, in cui abitava la sua gente, erano il centro di ogni attività comune, erano gemme orgogliose che spuntavano qua e là dalla superficie della Terra… Malva Zeta che spuntava dietro la collina più vicina, e sembrava sorgere su di essa, sebbene si trovasse a decine di chilometri di distanza; al di là di essa sorgevano i Gemelli Grigi, collegati da un ponte aereo dalla struttura incredibilmente leggera; verso sinistra si allungava il dito perlaceo della Croce d’Opale; infine, ancora più lontano, a sinistra, ma torreggiante e visibile al di sopra della linea dell’orizzonte, si trovava la grande Blue Lorraine… I maestosi pigliastelle sembravano a Thorn gli ultimi pinnacoli di una città incantata sommersa dal sorgere di un’oscura marea. E le file di uomini e donne che volavano, facendo lampeggiare dolcemente le loro luci d’identificazione, non erano forse che sciami di lucciole condannate a una triste fine.

Le dita di Thorn sistemarono l’ultima allacciatura dell’abito, e l’uomo rimase fermo, immobile. Clawly si limitò a domandare: — Ebbene? — ma in quella sola parola c’era un sentimento di commiato da quella bellezza, da quella pace, da quella sicurezza… quelle parole significavano, né più né meno, che era giunto il momento di andare.

Abbassarono gli elmetti trasparenti. Per quello che provavano, la loro destinazione poteva essere Marte… una gemma ambrata sospesa nel cielo, che veniva ancora esplorata con estrema prudenza dalla Prima Spedizione Interplanetaria. Ma la loro vera destinazione era la Croce d’Opale.

2

Ricacciando nelle profondità della mente il senso di stanchezza che era salito ad afferrarlo, Clawly si alzò in piedi, per rivolgersi al Consiglio Mondiale. Fu meno facile sconfiggere la sensazione che aveva provocato l’ondata di stanchezza: l’illusione di essere un ciarlatano che cercava di convincere individui equilibrati e normali della verità di leggende che riguardavano il mondo del soprannaturale. Il suo sorriso era una delle sue più evidenti caratteristiche: amichevole, ma lievemente diabolico, sarcastico verso se stesso come verso gli altri. Dopo un attimo, il sorriso svanì dalle sue labbra.

Disse: — Ebbene, signori, avete ascoltato gli esperti. E ormai avete immaginato perché, fatta eccezione per Thorn, è stato chiesto loro di deporre separatamente. Inoltre, più o meno… — sorrise nuovamente — ormai avete immaginato la sconvolgente natura del pericolo che, secondo Thorn e me, minaccia il mondo. Sapete cosa vogliamo… i mezzi per continuare le nostre ricerche su scala più vasta e con maggiore rapidità, e cioè un sistema d’investigazioni discrete ed esaurienti operate su tutti i cittadini del nostro mondo. E così, non rimane altro che attendere il vostro verdetto. Ci sono alcuni particolari, comunque, che vorrei mettere in luce.

La Sala del Cielo della Croce d’Opale era immersa nel silenzio.

Si trattava di un locale immenso, e questa immensità non era diminuita dal fatto che il soffitto era in quel momento opacizzato. Il soffitto era una grande volta che iniziava dalla Carta Planetaria, che occupava la parete rivolta a meridione, e terminava nella Carta Spaziale che si trovava sulla parete rivolta a settentrione. Eppure i pochi uomini che vi erano radunati, e che occupavano poltrone disposte a ferro di cavallo al centro della sala, non sembravano affatto dirigenti politici nell’esercizio delle loro funzioni, ma semplici cittadini che avevano deciso di radunarsi, per motivi di praticità, in una sala da ballo. E la Sala del Cielo veniva concessa a qualsiasi altro gruppo di cittadini, oltre al Consiglio Mondiale. In effetti, nel corso della stessa serata, solo qualche ora prima, altre persone avevano danzato in quella sala, come testimoniavano i guanti e le sciarpe e le pantofole dimenticati qua e là, e i bicchieri lasciati a metà che si trovavano ovunque, con mille altre tracce dell’ondata di allegria che aveva invaso la sala.

Eppure sul volto di quelle poche persone che ora si trovavano radunate nella sala era possibile leggere una saggezza, una capacità di comprensione e una rapidità di decisione e di azione delle quali sarebbe stato difficile trovare l’uguale, in tempi più remoti, e in assemblee più o meno simili. E questo era un bene, pensò Clawly, perché voleva convincerli di una cosa che non poteva essere compresa da semplici amministratori… anzi, sarebbe stato molto difficile che, in epoche precedenti, lui e Clawly ottenessero un’udienza.

Osservò senza farsi scorgere i volti che lo circondavano, e fu sollevato nel notare che soltanto Conjerly e forse Tempelmar mostravano di accogliere con scetticismo la cosa. Firemoor, al contrario, dimostrava una fiducia completa e ansiosa, ma questo era prevedibile nel caso del capo del Settore Extraterrestre, che era facilmente influenzabile… ed era amico e ammiratore di Clawly. Firemoor era il solo a mostrare quell’espressione evidente di convinzione. Il presidente Shielding, la cui opinione contava più di tutte, appariva scettico, e nella sua espressione si poteva leggere anche un po’ di disapprovazione; ma, fortunatamente, era l’espressione abituale di quell’uomo robusto e deciso.

Gli altri, dalle evidenti espressioni di attesa, erano assorti e vigili. Con l’imprevista eccezione di Thorn, il quale sembrava completamente assente, perduto in chissà quale fantasticheria, nella quale era piombato subito dopo aver letto il proprio rapporto.

Un pubblico ancora incerto, decise Clawly. Avrebbe avuto un peso notevole ciò che lui stava per dire ora, e il modo in cui l’avrebbe detto.

Toccò una scatoletta. Istantaneamente, alcune decine di migliaia di minuscoli puntini di luce verde apparvero sulla Carta Planetaria.

Clawly disse:

— È la frequenza degli incubi di una notte assolutamente normale di cento anni fa, ottenuta da ricerche fatte su un campione a caso. Ogni puntino… un cattivo sogno. Tanto cattivo da fare destare colui che ha sognato, in preda allo spavento.

Toccò nuovamente la scatoletta. Il disegno luminoso mutò lievemente… a quanto pareva, si erano formati nuovi raggruppamenti… ma il numero totale dei puntini sembrò immutato.

— Lo stesso, cinquant’anni fa — disse. — Ora… quarant’anni fa. — E nuovamente non ci fu che una lieve alterazione nei raggruppamenti.

— E ora… trenta. — Questa volta, il numero complessivo dei puntini sembrò aumentare, seppure di poco.

Clawly fece una pausa. Disse:

— Vorrei ricordarvi, signori, che Thorn ha dimostrato in via definitiva che il risultato non può essere stato influenzato dal suo metodo di ricerca. Ha dimostrato la cosa al di là di qualsiasi obiezione, perché lui stesso ha formulato queste obiezioni, e le ha superate… Scelta dei soggetti, metodo d’indagine, eccetera.

Toccò nuovamente la scatoletta.

— Venticinque.

Questa volta, non ci furono discussioni. Il numero dei puntini era aumentato.