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Vide subito che si trattava di un fuoco davvero notevole, sebbene non fosse in grado di dire il perché. Dopo un po’ decise che il motivo era costituito dal modo veramente intelligente in cui era stato sistemato, in modo da bruciare intensamente per un lungo periodo; alcuni ceppi e alcuni rami secchi erano posti in modo tale da non cadere nel fuoco fino a quando gli altri non fossero stati consumati. Chiunque avesse costruito quel fuoco doveva averlo predisposto per bruciare per un periodo di diverse ore.

Ma perché doveva perdere tempo ad ammirare un fuoco? Con qualche calcio lo allontanò, visto che i grossi stivali che Thorn II aveva trovato chissà dove servivano benissimo, e si diresse verso l’apertura della caverna.

Si udì un rumore di zampe sulla roccia, e Thorn pensò di avere visto un animaletto peloso scomparire nell’oscurità.

La caverna si trovava sul fianco di una collina, simile a quella che aveva visto davanti a lui, e più in basso si trovava un torrente gelato e sinuoso. In alto, un cielo grigio e cupo sembrava annunciare l’arrivo imminente della notte. Le colline impedivano la vista dell’orizzonte. Era molto freddo.

La scena era spaventosamente familiare.

Thorn II era pazzo, o lo era diventato? Perché, altrimenti avrebbe dovuto nascondersi in una caverna di una riserva polare allo stato selvaggio? Perché doveva averlo fatto, sebbene fosse difficile immaginare come avesse potuto farlo in un periodo così breve.

Sarebbe stato divertente se, dopo essere tornato al suo mondo d’origine, fosse morto di fame in una riserva, o fosse stato ucciso da uno dei terribili animali che la popolavano.

Doveva arrivare in cima alla collina sul cui fianco si apriva la caverna. Dovunque si fosse trovato, dalla cima avrebbe potuto distinguere un pigliastelle, o qualche altro segno riconoscibile.

Gli venne improvvisamente in mente che quella gola era diabolicamente simile a una che si trovava nei boschi, vicino all’anfiteatro sincromico, una gola che lui e Clawly avevano esplorato più volte, da ragazzi. La forma del torrente era inconfodibile.

Ma non poteva essere. Il tempo non era quello adatto. E quella gola aveva una vegetazione molto più fitta. Inoltre, l’erosione manca di fantasia: si ripete molto spesso.

Fece per esaminare gli strani e voluminosi indumenti che Thorn II aveva indossato. E così, ebbe il modo di vedere le sue mani… e gelò.

Restò per un istante a occhi chiusi. E non li riaprì neppure quando si udì rumore di zampe, sopra di lui, e una pietra cadde dall’alto ai suoi piedi.

Rapidamente decise di arrivare in cima alla collina e stabilire la sua posizione prima di fare qualcos’altro, prima di pensare a qualcos’altro, certo prima di esaminare le sue mani e il suo viso più attentamente. Si trattava più della spinta del terrore che di una determinazione. Uscì sulla piattaforma rocciosa che si trovava davanti all’apertura della caverna, e si voltò indietro. Ebbe nuovamente l’impressione di vedere un animale peloso che si nascondeva frettolosamente. Più o meno delle dimensioni di un gatto. Osservò attentamente le strade che portavano verso la cima, scelse quella che sembrava meno pericolosa, e immediatamente cominciò a salire con passo rapido e uniforme, con gli occhi fissi risolutamente davanti a sé.

Ma dopo avere percorso qualche metro, vide qualcosa che lo costrinse suo malgrado a fermarsi.

Su una sporgenza circondata dagli abeti, a una dozzina di metri di distanza, su un lato del sentiero che stava percorrendo, tre gatti lo stavano guardando.

Erano gatti, certo, gatti domestici, sebbene il loro pelo sembrasse molto fitto.

Ma non si trovavano, di solito, gatti domestici in una riserva di vita primitiva. La loro presenza indicava la vicinanza di un’abitazione umana. Inoltre, lo stavano fissando con un’attenzione che indicava la loro familiarità con l’uomo, e non andava d’accordo con la fuga iniziale… se l’animale che aveva visto prima era stato davvero un gatto.

Chiamò: — Micio! — La sua voce tremò lievemente. — Micio!

Il suono svanì lentamente in lontananza, e le parole sembrarono congelate dal freddo.

E poi ci fu una risposta al suono, o meglio, una eco, da parte del gatto che si trovava a destra, un animale nero e grigio.

Non fu esattamente la parola “Micio” che il gatto miagolò, ma fu un suono così simile a essa, così fedele alle intonazioni esatte, che Thorn fu costretto a rabbrividire.

— Mii… iio. — Una parodia della sua voce, una sfida ironica e incredibile.

Thorn ebbe paura.

Riprese a salire. Non appena si mosse, i gatti svanirono.

Per qualche tempo avanzò velocemente, sebbene l’ascesa non fosse agevole, a causa del terreno franoso che ostruiva il sentiero, e ai rami degli alberi caduti. L’ultimo «Mii… iio» gli ronzava nelle orecchie, e molte volte fu sicuro di avere intravisto rapidi corpicini pelosi che scivolavano accanto a lui, fuori portata, seguendo la sua avanzata. I suoi pensieri presero una direzione spiacevole. I gatti. Quanti secoli di stretto contatto con l’umanità avevano passato… e in quei secoli, di quanto era aumentata la loro abilità, di quanto si era affinata la loro intelligenza? I gatti erano sempre rimasti in disparte, indipendenti nel bel mezzo della civiltà umana. Questi pensieri lo portarono ad altre conclusioni meno concrete…

Una volta, udì un altro suono, la ripetizione del triste ululato che già aveva sentito nella caverna. Poteva trattarsi di lupi, o di cani, e il suono sembrava giungere dal fondo della gola, in lontananza.

Il cielo stava oscurandosi.

La rapida ascesa lo stancava meno del previsto. Stava ansimando, ma regolarmente, senza affanno. Capì che non avrebbe dovuto fermarsi per riposare.

Gli abeti cominciarono a diradarsi, verso la cima della collina. Si trovò davanti a un pendio più dolce, quasi libero dalla vegetazione.

A poca distanza, davanti a lui, più in alto, sporgeva un grosso lastrone di granito. Su di essso c’erano tre gatti, accovacciati, intenti a fissarlo. Qualcosa, nel modo in cui erano disposti, e nei piccoli movimenti che facevano, suggeriva l’idea che i tre stessero discutendo e che l’oggetto della discussione fosse… lui.

L’ululato giunse nuovamente, e i gatti rizzarono le orecchie. Ci furono altri movimenti, altri sguardi nella sua direzione. Poi, quando lui riprese ad avanzare, uno dei gatti… quello tigrato… balzò a terra, gli passò accanto come un fulmine e scomparve verso il basso. Mentre gli altri due, quello nero e quello grigio e nero, scesero dal lastrone di granito con aria più tranquilla, e cominciarono ad avanzare nella direzione scelta da Thorn, lanciandogli spesso rapide occhiate.

Lui affrettò il passo, lieto di avere tante riserve di energia. L’ascesa era molto più facile. Non c’erano frane, né massi, né alberi.

Si udì nuovamente l’ululato, ripetuto in lontananza debolmente.

I corpi spettrali dei gatti apparivano accanto a lui, tra le rocce. A poco a poco, Thorn si abituò alla loro presenza.

Gli sembrava tutto estremamente naturale, chissà perché, come se lui fosse stato creato per marciare in quel mondo crepuscolare.

Ci fu un’ultima curva, nel sentiero, e poi Thorn fu in cima alla collina.

Per molto tempo continuò a voltarsi e a guardare, a guardare e a voltarsi. Tutto il resto… emozioni, pensiero… era subordinato all’atto di guardare.

Là in cima la luce era ancora abbastanza buona. E non c’erano colline a impedire la vista. Si stendeva, coperta di neve, senza luce, senza vita, dolorsamente tetra, fino a un orizzonte oscuro, in tre direzioni, e fino a una lontana parete di ghiaccio luccicante, nella quarta direzione.

L’unica traccia di vita era offerta da un sottile filo di fumo che si levava nell’aria, in lontananza, oltre l’altopiano che Thorn stava osservando.