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Come un dormiente che sogna di cadere per chilometri e chilometri, e poi si arresta sul fondo soffice come una foglia, Thorn discese all’interno del levitatore verticale della Croce d’Opale e ne uscì al livello del suolo, prima di affrontare la discesa di ottocento metri che portava nei sotterranei. A quell’ora il grande condotto in cui regnava lo stato d’imponderabilità era relativamente vuoto, fatta eccezione per l’incessante, silenziosa ascesa e discesa delle correnti subtroniche e dell’aria che esse portavano con sé. C’erano altre persone, ai vari livelli… corpi galleggianti e multicolori che facevano spicco all’interno del condotto bianco… ma, come un dormiente, Thorn sembrò non accorgersi di esse.

Un’altra corrente di levitazione lo trasportò per diversi metri, lungo corridoi eterni, fino a uno degli ingressi della Croce d’Opale. Un gruppo di gaudenti interruppe il corso della danza frenetica e assurda, che assumeva aspetti incredibili nello stato d’imponderabilità, per fissarlo. I gaudenti sembravano immagini tratte da qualche quadro potentemente realistico… ma sui loro volti c’era un’allegria più tormentata e provvisoria. E nel modo in cui Thorn passò accanto a loro, come un sonnambulo, senza vederli, ci fu qualcosa che destò i pensieri più sgradevoli, e interruppe il corso della danza e tolse forza alla loro smania di divertimento.

L’ingresso era veramente il confine di una città. Là terminava la metropoli fatta di un solo edificio, e là iniziava una lunga teoria di chilometri di campagna semiselvaggia, oscura come il passato più remoto, priva di strade e di sentieri, interrotta da alcune abitazioni di privati, ma coperta liberamente di foreste.

Una coppia di innamorati, che si trovava sulla grande terrazza, e che prima d’infilarsi gli abiti di volo aveva trovato il tempo per un ultimo bacio, si fermò a fissare Thorn che scendeva frettolosamente la scala e si addentrava nella campagna, seguendo un sentiero illuminato fievolmente. La luce fioca che si sprigionava dal sentiero gettava strane ombre sul suo volto, e gli dava l’aspetto di un antico pellegrino, o di un crociato, preso dal fervore religioso.

E poi la foresta lo inghiottì.

Uno strano miscuglio di ipnosi e volontà, di sogno e di veglia, di vagabondare e di ricerca afferrò Thorn mentre percorreva quel sentiero spettrale circondato dall’oscurità. Strani ricordi dell’infanzia, di antiche speranze e desideri, di giorni di scuola trascorsi con Clawly, del suo lavoro e delle conclusioni sbalorditive a cui esso aveva portato, gli attraversarono la mente, vividi ma privi di significato. Tra di essi, ma incomprensibile come lo scenario di un sogno, si trovava la scena che aveva lasciato alle sue spalle, nella Sala del Cielo. Si rendeva conto di avere abbandonato un amico, e un mondo, e di avere tradito una grande missione… ma era una nozione confusa, e lui aveva dimenticato quale fosse quella grande missione.

Ormai nulla sembrava rivestire importanza, all’infuori dell’impulso che lo spingeva avanti, della sensazione di avere una destinazione sconosciuta ma definita.

Sentiva che se avesse fissato quel punto ondeggiante e indefinibile che si trovava a pochi metri di distanza, davanti a lui, ma che indietreggiava continuamente, se lo avesse fissato abbastanza a lungo, qualcosa sarebbe spuntato. Lo sapeva.

Il sentiero che percorreva la foresta era stretto e sinuoso. Il lucore che da esso emanava metteva in evidenza le liane e il fogliame che in molti tratti lo invadevano. Le mani di Thorn scostarono dei rami che gli impedivano di avanzare.

Sentiva che qualcosa, davanti a lui, stava attirando la sua mente, in maniera inconscia, irreale. Come se nel suo inconscio vivessero due menti diverse, o forse più, e la sua, quella che gli era appartenuta fin dalla nascita, non fosse che un’unità in un tutto.

E l’immaginazione si risvegliò, sotto lo stimolo sconosciuto.

Immediatamente, cominciò a ricostruire il mondo dei suoi incubi. Il mondo che aveva oscuramente dominato la sua vita e lo aveva spinto a compiere ricerche sui sogni, durante le quali aveva trovato incubi simili al suo. Il mondo nel quale era in agguato il pericolo. Il mondo azzurro in cui si moltiplicavano grandi edifici simili alle fabbriche, agli uffici e alle case-formicai dei tempi antichi. E quel mondo invadeva la campagna e la foresta dell’utopia, e lungo strade interminabili scorreva una fiumana di esseri umani ansiosi e inarrestabili… e tra loro si trovava l’altro Thorn, quello del sogno, che lo odiava e lo invidiava, e lo opprimeva con un senso di colpa quasi intollerabile.

Sin dall’inizio quel Thorn del sogno aveva oppresso la sua esistenza… come uno spettro alle feste, come un supplice, l’eterno accusatore alla corte dei suoi pensieri più segreti… si era agitato come un fantasma insieme a lui, lo aveva accompagnato, spettrale ed elusivo, durante le sue giornate, ed era spuntato, vivido e reale e terribile, durante le sue notti. Durante le vacanze lunghe e piene della sua giovinezza, quando ogni giorno aveva rappresentato una nuova avventura e ogni pensiero una rivelazione, quel Thorn del sogno aveva dolorosamente scoperto il significato dell’oppressione e della paura, aveva visto l’allontanarsi della sicurezza e l’esilio dei genitori, aveva frequentato scuole nelle quali la conoscenza era proibita e ogni uomo doveva apprendere quale fosse il suo posto. Mentre lui stava scoprendo l’amore e la felicità, quel Thorn del sogno aveva pianto senza darsi pace per una giovane moglie a lui strappata per sempre da un ordine arbitrario di un governo autocratico. E mentre lui aveva svolto il lavoro sognato, costruendo un nuovo edificio di conoscenza pietra su pietra, quel Thorn del sogno aveva compiuto monotoni lavori privi di significato, aveva complottato la rivolta con altri della sua specie, era stato scoperto da una polizia segreta mostruosamente efficiente, era diventato un assassino, un uomo pieno di odio.

Giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, l’oscura vita del sogno si era sviluppato, parallela alla sua.

Lui conosceva le emozioni dell’altro Thorn quasi meglio delle sue, ma le vere condizioni e i particolari specifici della vita del Thorn del sogno erano confusi nella caratteristica maniera di tutti i sogni. Gli era sembrato di sognare i sogni dell’altro Thorn… mentre, a causa di uno scambio diabolico, l’altro Thorn aveva sognato i suoi sogni e l’aveva odiato per la sua buona sorte.

Un senso di colpa nei riguardi del suo gemello dei sogni era il fatto più importante della vita di Thorn.

E ora, addentrandosi nella foresta, cominciò a immaginare di scorgere qualcosa nel punto elusivo che stava fissando, a pochi metri di distanza, qualcosa che tremava e svaniva, qualcosa che non era ben certo di vedere, e che pure sembrava l’involucro in cui erano racchiuse le forze misteriose che lo attiravano… un volto pallido e irato, spaventosamente simile al suo.

La necessità di fare presto quasi lo soffocò. Doveva arrivare. La Croce d’Opale, che si intravedeva di quando in quando di fianco a lui, tra gli alberi, secondo i capricci del sentiero, sembrava proprio accanto a lui, e gli faceva credere di compiere progressi minimi. Il volto spettrale svanì. Thorn cominciò a correre.

Dei rami gli sferzarono il volto. Una radice affiorante apparve improvvisamente davanti al suo piede. Inciampò, barcollò, riuscì a riprendere l’equilibrio, e proseguì più lentamente, sollevato dal fatto di avere scoperto che, perlomeno, poteva ancora controllare la velocità della sua avanzata.

Le forze che lo attiravano erano nello stesso tempo simili e infinitamente diverse da quelle che per un istante avevano controllato i suoi movimenti durante lo spettacolo di sincromia. Mentre quelle erano sembrate di origine totalmente estranea, queste sembravano giungere da una singola mente umana.

Cercò in tasca l’oggetto che aveva rubato al misterioso interlocutore di Clawly. Ora non poteva vederlo chiaramente, ma la sostanza che lo componeva era sempre più sconcertante. Sembrava dotato di un’inerzia leggermente superiore a quella compatibile con il suo peso. Fu sicuro di non aver mai toccato nulla del genere prima di quel momento.