Non avrebbe potuto spiegare l’origine dell’idea che gli era balenata in mente, ma a un tratto scoprì di domandarsi se quella cosa non fosse una singola molecola. Fantastico! Eppure, esisteva qualcosa capace di impedire in senso assoluto che gli atomi si unissero in una struttura così gigantesca?
Una molecola del genere avrebbe avuto più atomi di quante l’universo avesse stelle.
Molecole gigantesche erano le chiavi della vita… gli enzimi, i fattori ereditari, gli attivatori. Quali porte non sarebbe riuscita ad aprire, una molecola supergigante? Nessuna!
Era la fantasia più assurda… eppure era spaventosa. Fu sul punto di gettar via la cosa, e invece se la rimise in tasca. Ci fu un fruscio nel fogliame. Un gatto si affacciò per un istante sul sentiero, soffiò e lo guardò. Quei gatti erano animali domestici… per secoli e secoli avevano tenuto compagnia all’uomo. Eppure in quel momento, l’animale che andava in cerca di preda sembrava completamente selvatico, e c’era qualcosa di nuovo in esso… un aspetto come di intelligenza acquisito, un’espressione maligna dovuta alla lunga associazione con l’uomo.
Il sentiero giunse a una biforcazione. Thorn si voltò bruscamente, e si aprì la strada tra grosse radici bulbose che affioravano ovunque. La luce emanata dal sentiero divenne più fievole e diffusa, in molti punti si dissolveva a causa dell’erosione. In certi punti, poi, la vegetazione aveva assorbito del tutto la sostanza luminescente. Foglie e rami rilucevano debolmente.
Ma al di là del sentiero, da entrambe le parti, la foresta era oscura, era un infinito cupo e soffocante.
Ed era diventata viva.
La sensazione di essere premuto da mille infiniti, provata per qualche istante alla sincromia dell’Yggdrasil, ritornò ora con molta più forza.
L’Yggdrasil era vero. La realtà non era ciò che sembrava in superficie. Aveva molte radici, alcune solide e vere, altre contorte e false, che affondavano in mondi diversi.
Affrettò il passo. E nuovamente gli sembrò di vedere qualcosa… un lucore pulsante, elusivo e bluastro. Era come la sequenza di Nidhogg, nell’Yggdrasil. Nidhogg, il verme che strisciava incessantemente attorno alla radice dell’Albero della Vita che discende nell’inferno. La sua vista rimase offuscata da quel colore affascinante…
Poi, gradualmente, il colore divenne un volto. Il suo stesso volto, sconvolto però da emozioni sconosciute, contratto da sofferenze a lui ignote, duro, bramoso di vendetta, accusatore… il volto di Thorn del sogno, imperioso, frenetico, ansioso, che lo spingeva ad avanzare verso una destinazione sconosciuta in un gorgo di mondi invisibili.
Con un sospiro in cui si fondevano coraggio e paura, Thorn avanzò verso di esso.
Doveva entrare in contatto con l’altro Thorn, sistemare i conti con lui, bilanciare la quantità di gioia e dolore che ora possedevano in modo così disuguale, aggiustare i torti delle loro vite diverse. Poiché, in un certo senso, lui doveva essere l’altro Thorn, e l’altro Thorn doveva essere lui. Ed è impossibile mentire a se stesso.
Il volto spettrale indietreggiò mentre lui avanzava, mantenendo le distanze immutate.
La sua avanzata nella foresta divenne una corsa d’incubo in un mondo popolato di alberi giganteschi e oscuri che tendevano verso di lui i rami che gli sferzavano il corpo e il volto.
Il viso dell’altro Thorn si manteneva a una distanza di pochi metri.
E venne la paura, ma troppo tardi… non poté fermarsi.
I veli del sogno che avevano oscurato la sua mente e i suoi pensieri durante la prima fase della fuga dalla Croce d’Opale si squarciarono. Si rese conto che questa era la cosa accaduta a moltissimi altri individui. Capì che una mente straniera stava impadronendosi della sua, che un altro invasore, potenzialmente un amnesiaco nascosto, stava per occupare il suo caposaldo, sulla Terra.
Fu colpito dal pensiero di stare abbandonando Clawly, di lasciare il mondo intero in una situazione drammatica.
Ma lui era soltanto una cosa priva di volontà che correva tendendo le mani in avanti.
Quando passò sulla cima di una collinetta, libera dalla vegetazione, per un istante poté intravedere i solitari pigliastelle… la Blue Lorraine, i Gemelli Grigi, il Mirto Y… ma erano lontani, fuori portata, e sembravano gridargli un addio…
Era ormai allo stremo delle forze.
La sicurezza di aver quasi raggiunto la meta divenne quasi intollerabile.
Ora si trattava di qualcosa che si trovava al di là della prima svolta del sentiero.
Si tuffò in una distesa di tenebre spessa e nera come l’inchiostro… e si arrestò disperatamente, cercando di restare in equilibrio.
Da chissà dove, forse da un abisso che si trovava all’interno della sua mente, giunse la debole eco di una risata di scherno.
4
Come la foglia trascinata da un invisibile vortice di vento, Clawly volava nella grigia aurora, sostenuto dall’energia subtronica, verso i livelli superiori della Blue Lorraine. Le stelle più luminose, e Marte, stavano spegnendosi nel cielo. L’aria mossa, infilandosi nel suo abito di volo, provocava un brivido di eccitazione al quale però il suo sangue non riusciva a rispondere. Avrebbe potuto essere a casa, per riprendere le forze dopo la sconfitta, per preparare nuovi schemi di attacco. Avrebbe dovuto lasciare che i fumi della stanchezza si dissolvessero normalmente, con un buon sonno ristoratore, e non per mezzo di stimolanti artificiali. Avrebbe dovuto riordinare le idee. O magari, avrebbe dovuto lasciarsi trascinare dalla preoccupazione, e iniziare una frenetica ricerca di Thorn. Ma una paura ben più grande lo trascinava, e fino a quando non avesse fatto una certa cosa, sarebbe stato incapace di pensare a interessi personali, o di riposarsi.
Dopo la scomparsa di Thorn, il voto negativo del Consiglio era diventato un cupo ostacolo insormontabile, che diventava a ogni istante più grande. E Clawly si disse che erano ugualmente fortunati: i fondi per le loro ricerche non erano stati diminuiti… e malgrado non fossero stati aumentati, malgrado non fosse stato concesso un numero maggiore di assistenti, né l’accesso ai documenti riservati, né una ricerca sistematica sui cittadini… erano stati fortunati. Perché ben difficilmente una civiltà di tempi più antichi avrebbe permesso loro di continuare. Anzi, avrebbe proibito ogni ricerca, considerandola una minaccia alla stabilità mentale della popolazione. Soltanto un rispetto quasi feticistico per la libertà dell’individuo e per l’inviolabilità della volontà del singolo lo aveva salvato.
La decisione contraria del Consiglio aveva scosso anche le sue convinzioni personali. Clawly si sentiva un uomo solo e minuscolo, pieno d’incertezze e di dubbi, assolutamente incapace di proteggere il mondo da una minaccia così vaga, grande e imperscrutabile, misteriosa e remota come l’oscuro territorio disabitato che si trovava sotto di lui.
Perché mai Thorn aveva abbandonato a quel modo la riunione, creando un’impressione sfavorevole? Non poteva certo essere rimasto vittima di un impulso ipnotico… fra tutti, Thorn sarebbe stato l’individuo più resistente. Eppure, nella sua andatura c’era stata quella sgradevole impressione di sonnambulismo… un’espressione che nella mente di Clawly ingigantiva a ogni istante. E Thorn era uno strano individuo. Dopo tanti anni, Clawly lo trovava ancora imprevedibile. Thorn aveva un’immensa irrequietezza spirituale, aveva la necessità di scandagliare le profondità più recondite della mente. E l’impresa, soprattutto ora, poteva presentare grandi pericoli. Clawly se ne accorgeva anche in quel momento… una vaga e sgradevole impressione aleggiava ai margini dell’inconscio, il ricordo di un secondo Clawly, contro cui doveva mantenersi continuamente in guardia.