Irrigidito da una sensazione di irrealtà, la mente di Clawly cominciò a meditare. Che cos’era Oktav… cosa si nascondeva dietro quella maschera decrepita? Tutti i volti non erano che maschere? Cosa si nascondeva dietro il volto di Conjerly e di Tempelmar? Dietro quello di Thorn? Dietro il suo? La sua mente poteva dunque essere una maschera, eretta per nascondere qualcosa che si annidava nell’inconscio? Cos’era il mondo… quella fuggevole sfilata di maschere, eventi inesplicabili che spuntavano come lampi dal passato per spegnersi immediatamente nel futuro?
— Ma allora, che devo fare, Oktav? — domandò con voce stanca.
Il veggente replicò:
— Te l’ho già detto. Prepara il tuo mondo a qualsiasi eventualità. Armalo. Mobilitalo. Non lasciarlo in attesa quiesciente del cacciatore.
— Ma come, Oktav? È stata bocciata una mia richiesta di un semplice programma di ricerca. Come posso chiedere al mondo di armarsi… senza ragione?
Il veggente tacque. Quando finalmente rispose, nella sua voce pulsò, più forte che mai, l’amara saggezza di secoli e secoli di storia.
— Dunque, devi fornire una ragione. I governi hanno sempre inventato ragioni accettabili da parte della maggioranza della popolazione celando quelle autentiche, troppo drammatiche o troppo fantastiche Devi inventare un pericolo che possa essere compreso dalle loro menti ristrette. Fammi pensare, adesso… Marte…
Si udì un suono soffocato. Il veggente si voltò di scatto, con rapidità fulminea, e infilò una mano in tasca. Cercò disperatamente qualcosa, e quando ritrasse la mano di tasca, vuota, un’espressione di immensa costernazione si dipinse sul suo volto.
Gli occhi di Clawly abbandonarono il corpo del vecchio e si fissarono sulla porta che dava sull’interno dell’appartamento.
La figura del nuovo venuto rimase là, immobile, intenta a scrutare Oktav, solo per un istante. Poi, con un movimento del capo perentorio e impaziente, si voltò e scomparve alla vista. Ma la mente spaventata di Clawly poté ricordarla anche nei minimi particolari.
La cosa più impressionante era stato il senso di antichità… molto più evidente che in Oktav, sebbene, (o forse era quello il motivo) a differenza del vecchio, il corpo dell’uomo era quello di un giovane, dai capelli neri e dal volto vigoroso e giovanile. Ma gli occhi, e l’espressione di quel volto… conservavano l’esperienza di innumerevoli secoli. Si trattava di un’esperienza priva di saggezza, o magari con un simulacro di saggezza ristretto, puritano, limitato e detestabile. Un miscuglio sgradevole di ignoranza inconscia e di consapevolezza della propria forza. L’animale-uomo diventato dio, senza trasfigurazione.
E l’impressione più penetrante, addirittura ripugnante, gli fu data dagli abiti dello sconosciuto. Indumenti scomodi, stretti e non funzionali, che coprivano la parte superiore e inferiore del corpo, ed erano fatti di pelo animale compresso, lavorato e modificato, ed erano tenuti assieme da pezzi di osso o di corno. L’indumento che copriva la parte superiore del corpo aveva, sotto di esso, un duplicato di fibra vegetale di qualità sconosciuta, munito sul collo di due oggetti… il primo, una striscia annodata strettamente, dai colori violenti; il secondo, un colletto alto e rigido e bianco, della stessa sostanza che componeva la camicia, forse plastificato in maniera primitiva.
Fu dopo un breve periodo di tempo che Clawly comprese che gli indumenti del diciannovesimo e del ventesimo secolo, dei quali aveva visto delle immagini nei libri di storia, avrebbero avuto esattamente quell’aspetto, se fossero stati preparati seguendo gli antichi procedimenti, e fossero stati indossati da un essere umano.
Senza spiegazioni, Oktav si alzò e si diresse verso la porta interna Infilò nuovamente la mano in tasca e continuò a cercare, ma si trattò di una semplice ripetizione meccanica del gesto precedente. Quando Clawly vide il suo volto per l’ultima volta, poté leggere su di esso costernazione, uno sforzo di memoria disperato, e la gelida maschera che appare sul volto di un uomo intelligente la cui mente sta cercando di sfuggire a una trappola mortale.
Oktav oltrepassò la soglia.
Non si udì alcun rumore.
Clawly attese.
Passarono i minuti. Clawly cambiò posizione, si trattenne, tossì, attese, tossì ancora, si alzò, si diresse verso la porta interna, tornò indietro e sedette di nuovo.
C’era tempo, troppo tempo. Tempo per ripensare a quella strana superstizione che parlava di uomini vestiti di abiti dell’Alba della Civiltà i quali apparivano a volte nel mondo. Tempo per fare le supposizioni più pazzesche sull’età evidente negli occhi di Oktav e dell’altro.
Finalmente, si alzò e si diresse verso la porta interna.
Al di là di essa si trovava una piccola stanza priva di mobili, senza finestre o altre porte, il tipico complemento di appartamenti-uffici del genere. Le pareti erano spoglie e prive di fessure.
E non c’era nessuno.
5
Con uno strappo che gli procurò una sensazione di malessere, uno strappo che sembrò squarciare in un istante distanze superiori a quelle che esistevano nel cosmo intero… uno strappo nel quale erano coinvolte molte più cose che le semplici ossa e la pelle… Oktav seguì colui che lo aveva chiamato in una regione di notte non solo visiva.
Là nella Zona, al di fuori della bolla dello spazio-tempo, ai confini dell’eternità, anche gli atomi erano immobili. Solo il pensiero si muoveva… ma un pensiero dalla forza superiore a ogni immaginazione, un pensiero che poteva creare e distruggere degli universi, un pensiero non indegno degli dèi.
Era ancor più strano, di conseguenza, comprendere che si trattava di un pensiero umano, appesantito dagli stessi pregiudizi e dalle stesse debolezze. Come se si fosse scoperto, su un altro pianeta di un altro universo, un casolare di campagna con il comignolo fumante e una scure piantata in un tronco d’albero abbattuto.
Topi che corrono di notte in una grande cattedrale deserta… e l’idea assurda di presenze, altre presenze, all’interno della grande cattedrale.
Oktav, o la cosa che era stata Oktav, si orientò servendosi dei soli mezzi di percezione che funzionavano nella Zona. Era una specie di tatto, ma un tatto del raggio d’azione troppo vasto, e sensibile soltanto al pensiero o a qualcosa di simile al pensiero.
Brancolando come un uomo chiuso in un infinito bugigattolo, Oktav avvertì l’eterno ronzio del Motore della Probabilità, e il ronzio più attutito dei sette talismani. Sentì le sette menti umane nelle loro posizioni intorno al motore, e sentì che sei di esse erano irrigidite in una fredda disapprovazione, mentre Ters faceva rapporto. Poi occupò la sua posizione, l’ottava, l’ultima.
Ters terminò.
Prim pensò: “Ti abbiamo convocato, Oktav, per ascoltare la tua spiegazione su certe attività alquanto dubbie alle quali ti sei dedicato in questi ultimi tempi… e abbiamo appreso che oltre a ciò tu hai commesso un atto di negligenza senza precedenti. Mai prima d’ora un talismano era stato perduto. E solo due volte è stato necessario organizzare una spedizione per recuperarne uno… quando il suo possessore ha incontrato una morte accidentale in un mondo spazio-temporale. Come hai potuto permettere che questo accadesse, dato che un talismano avverte infallibilmente il suo possessore, nel caso ne venga separato nel tempo o nello spazio?”
“Sono profondamente perplesso anch’io” ammise Oktav. “Deve essere entrata in azione qualche oscura influenza, la quale ha impedito l’emissione del segnale o ha reso sorda a esso la mia mente. Non mi sono reso conto di averlo perduto fino a quando non è giunta la chiamata. Comunque, facendo percorrere a ritroso alla mia mente gli avvenimenti degli ultimi giorni passati sulla Terra, credo ora di potere discernere l’identità dell’individuo nelle cui mani il talismano è caduto… o forse, che me l’ha rubato.”