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Lei gli sorrise e gli tese le braccia, come un bambino che chiede d’essere preso dal letto. Lui allungò le mani, e avvicinandosi d’un passo quasi inciampò nel corpo di Seth Adams. Abbassò lo sguardo e vide la faccia grigia e rugosa e i capelli diventati bianchi. Il vestito adesso sembrava di parecchie taglie troppo grande. E solo ora, di colpo, Carlsen si rese conto con chiarezza che Seth era morto, che quella donna, quella creatura aliena aveva succhiato la vita da un essere umano. Tornò a guardarla, ma senza provare orrore. Le chiese: — Perché l’hai fatto?

Lei non rispose, ma a Carlsen sembrò di udire la sua risposta nella mente. Non era molto chiara: pareva che lei si scusasse, dicendogli che era stato necessario. Gli tendeva ancora le braccia. Lui scosse la testa, e indietreggiò di qualche passo. La ragazza si mise seduta e con un movimento pieno di grazia scese dalla lastra. I suoi gesti erano sciolti, agili, come quelli di una ballerina. Gli si avvicinò e si fermò a guardarlo sorridendo.

Da vicino, anche una bella donna rivela qualche difetto. Quella ragazza non ne aveva: era perfetta anche vista da un metro. Si avvicinò ancora un passo e fece per mettere le braccia intorno al collo di Carlsen. A Carlsen parve di sentire nel cervello la voce della ragazza che diceva: “Abbracciami. Lo so che mi ami. Il mio corpo ti piace, prendilo”.

Era vero. Lui l’amava. Ma Carlsen indietreggiò scostando le mani della donna. La sua pelle era calda, più calda di quella umana. Carlsen la desiderava con un’intensità tale da non poter essere paragonata al desiderio provato per qualsiasi altra donna. Ma era sempre riuscito a controllarsi, e dava grande importanza al suo comportamento. E poi riteneva inammissibile fare l’amore lì in quella stanza.

Tornò a guardare il corpo di Seth e lo colpì di nuovo l’idea che lei aveva succhiato la vita di un uomo, il risultato di vent’anni di crescita e di sviluppo, così, in un attimo, come un bambino goloso succhia un frappé.

Le disse: — L’hai ucciso. Lo sai?

Lei gli prese la mano e lui sentì un brivido di gioia a quel contatto. Di colpo tutte le sue inibizioni scomparvero. Lei stava invitandolo mentalmente ad andare con lei, in qualche posto dove avrebbero potuto fare l’amore tranquilli, e lui voleva farlo. Ma guardando il corpo di Seth si rendeva conto che sarebbe stata probabilmente la morte anche per lui. Eppure non gli sembrava importante. Comprendeva qualcosa che non avrebbe potuto esprimere a parole. Il suo rigido addestramento sessuale però resisteva ancora.

Lei gli mise le braccia al collo e avvicinò la bocca alla sua. Lui la baciò, e sentì il calore del corpo nudo premuto contro il suo mentre le teneva le mani strette sui fianchi.

Adesso capiva più coscientemente ciò che aveva intuito vagamente quando lei aveva aperto gli occhi. Capiva che lei non avrebbe potuto prendergli la vita, a meno che lui non gliel’avesse offerta. Gli si offriva, ma finché lui avesse resistito lei non avrebbe avuto il potere di prenderlo. Ma sapeva anche che era solo questione di tempo, di quanto tempo sarebbe durata la sua resistenza e il suo autocontrollo.

Sentì la voce irritata di Bukowsky. — Carlsen, dove vi siete cacciato? — Veniva dal laboratorio. Carlsen si irrigidì e smise di baciarla. Lei lo lasciò andare, semplicemente, e guardò verso la porta.

La sentì dire, senza parole: “Devo andare. Come posso uscire?”. I pensieri di lui le dissero che aveva bisogno di abiti. Subito lei guardò il corpo di Seth. Carlsen le disse mentalmene: “No. Sono da uomo”.

Lei gli mise una mano nella tasca della giacca, gli prese il portafogli, ne tolse il tesserino elettronico. Carlsen non fece niente per impedirglielo. Poi la ragazza si voltò e uscì. Lui la seguì fino alla porta. Poteva vedere Bukowsky sul teleschermo del laboratorio. Il direttore stava parlando a qualcuno in piedi davanti alla sua scrivania. Diceva: — So che deve essere su quel piano. — Poi alzò gli occhi e vide Carlsen. — Oh, eccovi! — disse.

La ragazza era uscita. Di colpo Carlsen si rese conto del pericolo corso.

L’orrore lo colse all’improvviso, a scoppio ritardato. Aveva rischiato di essere distrutto da quella ragazza, col proprio consenso. Gli mancarono le forze. Sentì che gli si piegavano le ginocchia. Si aggrappò allo stipite della porta e si lasciò scivolare sul pavimento, ancora in sé, ma completamente esausto, svuotato, come se si fosse esaurito con un eccezionale sforzo fisico.

Bukowsky si stava chinando su di lui. Carlsen non ricordava di essere svenuto, aveva solo l’impressione di essersi assopito.

— Cos’è successo, Carlsen? — chiedeva la voce di Bukowsky.

— Sono vampiri… Succhiano la vita… — rispose con voce assonnata.

Era disteso sul divano nell’ufficio di Bukowsky. Harlow, responsabile della Sicurezza, seduto lì di fianco, si protese verso di lui, chiedendo: — Chi è il vecchio che c’è di là, sul pavimento?

Carlsen fece uno sforzo per mettersi a sedere. Aveva la sensazione di risvegliarsi da un sonno narcotico. — Non è un vecchio. Ha poco più di vent’anni — disse.

Harlow pensò certo che stesse delirando. — Dov’è andata la donna? — chiese.

— Si è svegliata. È tornata in vita. L’ho vista sul teleschermo del mio ufficio. — Gli riusciva difficile parlare, quasi che trovasse difficoltà a coordinare le idee.

Incespicando nelle parole, come avesse in bocca una patata, cominciò a raccontare.

Bukowsky l’aggredì urlando: — Avete portato qui un giornalista? Lo sapete che è contro i regolamenti!

Carlsen disse: — Ho deciso di fare così… tanto domani ci sarà la mia conferenza stampa, e lui era il figlio di una mia vecchia amica. Ho voluto fargli un favore.

— Gli avete fatto proprio un bel favore!

Harlow stava dando ordini al telefono. Carlsen lo sentì dire: — Se la vedete, non avvicinatevi. Sparate.

Le parole gli fecero male. Un male fisico che gli fece fare una smorfia. Si ricordò di colpo che la ragazza aveva il suo tesserino perforato. Poteva essere in qualsiasi parte dell’edificio, o forse era già uscita.

A poco a poco, sotto l’effetto del caffè nero cominciò a sentirsi meglio. Con sorpresa si accorse anche di aver fame, una fame da lupo, più di quand’era tornato sulla Terra tre mesi prima.

Disse: — Potrei mangiare qualcosa? Ho una gran fame.

Bukowsky disse: — Certo. Ma continuate. Cos’è successo dopo che ci siamo parlati?

— L’ho vista ucciderlo… sul teleschermo. Poi sono sceso.

— Lei era ancora là?

— Sì.

— Perché l’avete lasciata scappare?

— Non potevo fermarla.

Entrò il medico dell’Istituto. Fece togliere a Carlsen giacca e camicia, gli controllò le pulsazioni e la pressione. Poi disse: — Pare che tutto sia perfettamente normale. Forse soffrite i postumi dello shock.

— Avete un misuratore di onde lambda?

— Sì — rispose il medico in tono di sorpresa.

— Vi spiacerebbe controllare il mio campo lambda?

Il medico gli assicurò il galvanometro al polso sinistro e gli mise l’altro elettrodo sul torace all’altezza del cuore.

— È più alto di quello che dovrebbe essere. Molto più alto.

— Più alto? — Carlsen si raddrizzò. — Siete sicuro di averlo applicato giusto?