— È urgente?
— Sissignore.
— Dove devo venire?
— Se siete pronto fra cinque minuti, vi mandiamo una cavalletta.
Mentre Carlsen si vestiva, la moglie disse: — Devi proprio andarci? Non lo sanno che stai poco bene?
— Ha detto che è importante.
Jelka accese la luce fra i due letti. Lui infilò pantaloni e maglione sopra il pigiama, poi si chinò a scompigliare i capelli della moglie. — Dormi — le disse. — E non aprire a nessuno.
Uscito di casa accese la sua radiobussola e poco dopo vide la luce blu di una cavalletta. Pochi secondi dopo l’elicottero atterrò silenziosamente sulla strada. Ne smontò un poliziotto che aiutò Carlsen a salire a bordo. Dietro il pilota c’era seduto un uomo in abito da sera. Quando Carlsen si fu sistemato, l’uomo si presentò: — Sono Hans Fallada. Piacere di conoscervi.
Carlsen gli strinse la mano. Malgrado il nome tedesco, Fallada aveva una pronuncia tipicamente inglese aristocratico. La voce era bassa e profonda.
Carlsen disse: — Sono lieto di conoscervi personalmente.
Fallada disse: — Anch’io. Peccato che sia successo per motivi di lavoro.
Carlsen guardò il Tamigi allontanarsi sotto di loro. A oriente si stava allargando la linea grigia dell’alba; sotto si vedevano le luci dei sobborghi, gialle e arancione.
I due uomini cominciarono a parlare contemporaneamente. Poi Fallada rispose alla domanda di Carlsen.
— Sono rientrato in fretta e furia da Parigi. Che coincidenza, quando mi hanno chiamato, stavo tenendo una conferenza al banchetto annuale dei criminologi europei. Adesso pare che il mio viaggio sia stato inutile.
— Perché?
— Non ve l’hanno detto? Forse hanno trovato il cadavere della ragazza.
Carlsen era troppo stanco per avvertire appieno il colpo. Si udì chiedere: — Ne sono sicuri?
— No. Per questo vogliono che lei la identifichi.
Carlsen si appoggiò allo schienale e cercò di analizzare le proprie reazioni. Gli sembrava di avere il cervello annebbiato. Era certo di una cosa sola: istintivamente una parte di sé rifiutava di crederci.
In cinque minuti furono sopra il centro di Londra. Fallada stava dicendo: — Straordinarie queste cavallette. Seicento chilometri all’ora e atterraggio su un metro quadrato di spazio anche in mezzo al traffico dell’ora di punta.
Riconobbero le luci verdi dell’Istituto Ricerche Scientifiche vicino a Piccadily. L’elicottero scese verso la vasta macchia di Hyde Park. Le luci del velivolo illuminarono le acque calme della Serpentine.
La cavalletta si fermò a mezz’aria e poi si posò senza scosse. Fallada smontò per primo. L’ispettore Caine andò loro incontro, seguito da Bukowsky e da Geroge Ash. A una ventina di metri avevano eretto una specie di barriera con un telo.
Caine disse: — Ci dispiace di avervi disturbati, signori, ma è questione di pochi minuti.
— Che cosa vi fa pensare che sia quella ragazza?
— È lei, non c’è dubbio — disse Bukowsky. — Ma bisogna che voi la identifichiate. Siete stato l’ultimo a vederla.
Li accompagnarono dietro il telo. Il cadavere era coperto da un lenzuolo. Carlsen notò che il cadavere giaceva a gambe larghe e braccia tese all’infuori.
Caine tirò indietro il lenzuolo, e accese una torcia elettrica. Per un attimo Carlsen rimase in dubbio. L’occhio sinistro era nero. Le labbra gonfie e contuse. Poi osservò la forma del mento, i denti, gli zigomi alti. — Sì, è lei — disse.
— Nessun dubbio?
— Nessuno.
Fallada tolse completamente il lenzuolo. La ragazza indossava adesso sul corpo nudo un leggero grembiule verde da lavoro e un cappotto, entrambi aperti. Il corpo era macchiato di sangue dal collo alle ginocchia. Alla luce della torcia Carlsen vide segni di morsi sulla carne. Un capezzolo era stato staccato. A due passi dal cadavere c’erano un paio di scarpe di gomma. Fallada toccò la testa della ragazza, e la testa ricadde di lato.
Caine disse: — Sicuramente ha trovato i vestiti nell’armadio degli addetti alle pulizie.
Fallada chiese: — Da quanto tempo è morta?
— Da nove ore circa. Almeno così pare.
— In altre parole, è stata uccisa solo un’ora dopo essere fuggita dall’Istituto Ricerche Spaziali. Incredibile! Vi risulta che ci sia un maniaco sessuale in circolazione da queste parti?
— Non abbiamo segnalazioni del genere. L’ultimo omicidio di questa natura è avvenuto a Maidstone un anno fa.
Carlsen si rialzò. Le ginocchia dei pantaloni si erano bagnate di brina. Chiese a Fallada: — Secondo voi, perché l’ha morsa?
Fallada si strinse nelle spalle: — È una perversione sessuale abbastanza nota. Viene definita vampirismo.
Carlsen si svegliò nella stanza buia. Le lancette luminose dell’orologio segnavano le due e trenta. Di mattina o di pomeriggio? Premette il pulsante del sistema insonorizzante. Subito udì le risate dei bambini da un’altra stanza. Ecco la risposta: era pomeriggio. Azionò il meccanismo che comandava l’apertura delle finestre, e le tapparelle scivolarono permettendo al sole di inondare la camera. Rimase disteso per cinque minuti, preparandosi alla fatica di alzarsi. Jelka entrò con un vassoio.
— Ecco il caffè. Come ti senti?
Lui sbadigliò. — Te lo dirò quando sarò sveglio. — Si tirò su a sedere con un leggero sforzo, e aggiunse: — Ho dormito bene.
— Puoi ben dirlo.
Cogliendo il significato di quelle parole, riguardò l’orologio e notò la data: giovedì. — Ma quanto tempo ho dormito?
— Quasi trentatré ore.
— Perché non mi hai svegliato?
— Perché sembravi distrutto.
Entrarono di corsa le due bambine, e la più piccola, Janette, di quattro anni, si arrampicò sul letto e gli chiese di raccontargli una storia. Jelka disse: — Papà vuole bere il caffè — e con decisione le portò fuori.
Lui guardò dalla finestra e si chiese se veramente l’erba era più verde del solito o se erano i suoi occhi che la vedevano così. Sorseggiò il caffè che gli diede un piacere quasi sensuale.
Per la prima volta da quando era tornato sulla Terra non si sentiva stanco. Fuori, i giardini e le case del quartiere Twickenham Garden erano belli e tranquilli sotto il sole. Si sfregò gli occhi e si svegliò del tutto, e non ebbe più dubbi: si sentiva più vivo. Tutto gli sembrava più vivido e più eccitante. Non si sentiva così da quando era bambino.
Jelka rientrò mentre lui stava bevendo la seconda tazza di caffè. Le chiese: — Novità?
— Niente.
— Niente? Alla TV non hanno parlato di quello che è successo?
— Il notiziario ha detto soltanto che gli extraterrestri erano morti.
— Meglio così. Era inutile provocare panico. Nessuno ha telefonato?
— Niente di importante. Chi è Hans Fallada?
— Un criminologo. Ricordi? Interveniva a commentare quella serie di famosi casi di omicidio.
— Ah, sì. Be’, ti ha chiamato. Ha lasciato detto di telefonargli. Dice che è urgente.
— Hai il numero?
Appena vestito chiamò Fallada.
Rispose la segretaria. — È a Scotland Yard, capitano Carlsen. Mi ha detto di chiedervi di venire qui appena possibile.
— Cioè, dove?
— Siamo all’ultimo piano dell’Ismeer Building. Vi mandiamo una cavalletta. Fra quanto sarete pronto?
— Facciamo fra un quarto d’ora.
Fece colazione in giardino, all’ombra. Ma anche lì faceva molto caldo. Il cielo era terso, d’un azzurro purissimi, sembrava acqua. Veniva voglia di togliersi gli abiti e di tuffarvisi.
Stava bevendo succo d’arancio quando arrivò la cavalletta. C’era una donna poliziotto ai comandi. Mentre salutava Jelka e le bambine, la moglie gli disse: — Non andare vicino all’orlo!
Voleva dire l’orlo del tetto dell’Ismeer Building. Era il più alto grattacielo del mondo e sorgeva su un’area di mezzo chilometro quadrato nel centro di Londra. Era stato costruito nel periodo del sovraffollamento urbano da una società del Medio Oriente. Per risolvere il problema della scarsità di aree per uffici nella città di Londra, avevano deciso di costruire un grattacielo alto mille e cinquecento metri, con cinquencento piani. Il progetto era di costruirne uno simile in ogni capitale del mondo, ma il piano di decentramento aveva fatto abbandonare l’idea. L’Ismeer Building era rimasto l’unico.