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Fallada chiese a Carlsen: — A che ora è fuggito il vostro vampiro femmina dall’Istituto Ricerche?

— Verso le sette. Credete che…

Fallada alzò una mano per interromperlo. — Non crederò niente finché non avrò esaminato il cadavere — disse, e si rivolse a Grey. — Norman, vorrei mostrare al capitano Carlsen come facciamo la prova dell’energia vitale negativa. Volete preparare l’apparecchiatura sul cadavere dell’uomo?

Dixon disse: — Ora vi lascio, signori. L’Alto Commissario ha detto che sarà in ufficio fino alle sette.

— Grazie, sergente. Gli farò sapere i risultati.

Il corpo dell’uomo era ancora sul carrello vicino alla porta, ed era stato coperto con un lenzuolo.

Grey spinse il carrello verso l’altra estremità del laboratorio, dove c’era una porta che dava su un piccolo locale adiacente. Entrarono. Là dentro c’era solo una specie di banco. Dal soffitto pendeva un apparecchio che ricordò a Carlsen quello dei raggi X. Aiutato da Carlsen, Grey trasferì il corpo dell’uomo sul banco, poi tolse il lenzuolo e lo buttò sul carrello. La carne giallastra sembrava gomma. Il segno violaceo lasciato dalla corda era ben visibile sul collo. Un occhio era semiaperto. Grey lo chiuse con un gesto macchinale. Alla parete dietro il banco era appeso un grande misuratore di campo lambda, la cui scala era calibrata in milionesimi di ampere. Di fianco al misuratore c’era un monitor.

Grey applicò l’estremità di un filo al mento dell’uomo, e ne applicò un altro, a pinza, alla carne molle di una coscia. L’indicatore scattò in avanti. Grey disse: — Zero virgola quattro… Ed è morto da quasi quarantotto ore…

Fallada osservò il contatore lambda, anche quest’uomo è morto di morte violenta.

— Sì, ma di sua mano. Non è come venire aggrediti e strangolati.

— Può darsi. Adesso proviamo a infondergli un campo vitale artificiale con l’apparecchiatura Bentz. State attento. — Girò un interruttore. Dall’apparecchio sospeso sopra il corpo piovve un raggio di luce azzurra accompagnata da un suono in crescendo che in breve superò il campo dell’udibile. Dopo circa un minuto la lancetta cominciò a salire lentamente. Dopo sette minuti era arrivata a 10,3, una misurazione leggermente più bassa di quella che si sarebbe ottenuta su un corpo vivente. Sul 10,3 la lancetta vibrò, poi non si mosse più. Fallada disse: — Più di così non salirà. — Spense l’apparecchio e la luce svanì.

Fallada indicò l’ago che era rimasto sul dieci virgola tre: — Adesso il campo si indebolirà gradualmente — disse — ma ci vorranno almeno dodici ore prima che tutta la vitalità artificiale che gli abbiamo infuso si disperda, nonostante sia già iniziato il processo di decomposizione.

Grey staccò i fili dal cadavere. Trasferirono il morto nell’altro laboratorio e pochi minuti dopo tornarono con il corpo della ragazza trovata lungo la linea ferroviaria di Putney. La misero sotto l’apparecchio lambda e tolsero il lenzuolo che la copriva.

Sotto il grembiule azzurro la ragazza indossava una gonna di lana. Un paio di collant le pendeva da un piede.

Carlsen chiese: — Si sa chi era?

— Faceva la cameriera in un piccolo ristorante aperto tutta notte. Abitava a poche centinaia di metri dal posto di lavoro.

Senza esitazioni Grey sollevò la gonna. Sotto, la ragazza era nuda. Carlsen notò graffi e lividi sulle cosce. Grey applicò un elettrodo alla parte interna di una coscia, e un altro al labbro inferiore. Fallada si protese in avanti.

Di colpo, Carlsen si rese conto di trattenere il respiro. La lancetta del misuratore salì lentamente, e si fermò a 0,002. Grey disse: — È diminuita di duemila millampère in sette ore.

Fallada allungò una mano e girò l’interruttore. Dall’alto cadde la luce azzurra. Quando il brusio dell’apparecchio cessò, nella stanza il silenzio fu assoluto. Lentamente, come la lancetta dei secondi di un orologio, l’ago salì fino a 8,3. Dopo un altro minuto fu evidente che l’ago non sarebbe salito oltre. Fallada spense l’apparecchio. Quasi immediatamente l’ago del misuratore cominciò a scendere. Fallada e Grey si scambiarono un’occhiata. Carlsen notò che Grey stava sudando.

Fallada si rivolse a Carlsen. Gli disse a voce bassa: — Capite, ora?

— Non ne sono sicuro.

— Ecco: fra dieci minuti avrà perso tutto il campo lambda artificiale, la vitalità artificiale che le abbiamo infusa. Non riesce a trattenerla.

Osservando la lancetta, Grey commentò: — Ne ho visti tanti di campi con dispersioni, ma mai niente di simile.

— E che cosa significa? — chiese Carlsen.

Fallada si schiarì la voce. Rispose: — Significa che chiunque sia stato a ucciderla — rispose — le ha succhiato la vita in modo così violento da distruggere la sua capacità di trattenere per un po’ un campo vitale artificiale. Questo cadavere è paragonabile a un pneumatico con centinaia di fori: impossibile che tenga l’aria.

Carlsen si accorse che gli ci voleva un certo sforzo per fare la domanda successiva. Chiese: — Siete sicuro che non ci sia un’altra spiegazione?

Fallada rispose, cupo: — Non ne conosco altre.

Seguì un breve silenzio. Poi Grey chiese: — E adesso, cosa succederà?

Fallada disse: — Adesso credo che ricomincerà la caccia. — Mise una mano sul braccio di Carlsen. — Torniamo nel mio ufficio.

Grey gli chiese: — Io cosa devo fare?

— Continuate con le analisi. Sarebbe interessante sapere se la pressione sul collo è bastata a ucciderla.

Tornati nell’ufficio, Carlsen riprese il suo bicchiere mezzo vuoto. Fallada si lasciò cadere nella poltrona davanti alla scrivania, e premette il tasto del teleschermo. Una voce femminile disse: — Pronto.

— Chiamatemi Sir Percy Heseltine, a Scotland Yard.

Si rivolse a Carlsen:

— Era da prevedere. Devo ammettere che provo una specie di sinistra soddisfazione nel constatare che era proprio come avevo immaginato.

— Ne siete proprio sicuro? Io ho visto il cadavere del giovane Seth Adams. Lei lo ha assorbito, gli ha preso tutta la vita, non so come dire, e l’ha ridotto come un vecchio. Avete visto quel cadavere? — Fallada annuì. — Invece questa ragazza non è affatto ridotta in quel modo. A me sembra che sia rimasta vittima di una normale aggressione di carattere sessuale. Non potrebbe esserci davvero un’altra spiegazione per il curioso comportamento del suo campo vitale?

Fallada scosse la testa. — No. State a sentire. Prima di tutto, non è questione di curioso comportamento. Qui si tratta di porosità o rottura di quel certo non so che, che mantiene il campo vitale, che lo contiene. Non si sa esattamente cosa sia. Vi assicuro di conoscere fior di biologi convinti che l’uomo possiede un corpo immateriale, astratto, oltre al corpo fisico, e che il campo vitale è una funzione degli atomi di questo corpo, come il magnetismo è una funzione degli atomi di un magnete. Pensate alla polpa di un’arancia. Il succo è racchiuso in minuscole celle…

Suonò il telefono. La voce della segretaria disse: — Dottor Fallada, Sir Heseltine è fuori sede. Si trova a Wandsworth. Ma tornerà entro un’ora.

— Benissimo. Lasciate detto che sarò da lui fra un’ora. Dite che è importante. — Fallada tornò a rivolgersi a Carlsen: — Dunque, a che punto eravamo?

— All’arancia.

— Ah, sì. Stavo per dire che, se lasciamo seccare un’arancia e poi la mettiamo a macerare nell’acqua per un giorno, riprende la sua forma primitiva. Ma se la schiacciamo, se spremiamo l’arancia e ne togliamo il succo, niente può più farla tornare come prima. Rotte le celle che contengono il succo, non si può più far niente. Succede lo stesso con il corpo umano. Se uno muore di morte naturale, il campo vitale impiega vari giorni a disperdersi. Anche se si tratta di morte violenta, ci vuole ugualmente un po’ di tempo, perché la maggioranza delle celle sono rimaste intatte. In questi casi il cadavere è come un’arancia con una brutta ammaccatura, ma per la disidratazione ci vogliono parecchi giorni. Ora, la struttura cellulare di quella ragazza è stata distruttà come le celle di un’arancia dallo spremitore. Niente che rientri nella norma può avere provocato un fenomeno simile. Avrebbe dovuto morire bruciata, carbonizzata, o essersi buttata dall’ultimo piano di un grattacielo… — Si interruppe e andò a versare nei bicchieri altro whisky. — O essere stata fatta a pezzi dalle ruote di un treno.