Jelka chiese: — Poi cos’è successo?
— Non so. Ho letto solo fin qui. Ma da quello che ho capito, tende a dimostrare che ogni individuo è, in diversa misura, un vampiro d’energia.
Jelka si era seduta vicino alla finestra. — A me sembra un caso evidente di perversione sessuale. Tutta quella storia della bara eccetera… — disse.
Carlsen scosse la testa. Tutto a un tratto aveva l’impressione di aver capito, anzi, di aver sempre saputo. Lentamente disse: — No. È questo che rende il caso interessante. Lei ha cominciato a insinuarsi in lui penetrando la sua sfera affettiva. — Jelka lo guardò sorpresa, talmente era insolito quel linguaggio sulle labbra del marito. — Non capisci? — continuò Carlsen. — Comincia con l’adularlo, dicendogli che è un genio e che lei vuole appartenere a un uomo di genio, in altre parole gli si offre senza condizioni. Poi, scoperte le sue fantasie erotiche, i suoi sogni di violenza carnale, sostituisce se stessa ai sogni, rendendolo completamente dipendente da lei. Da quel momento comincia a sottrargli energia. E poi si arriva alla stretta finale, Quando è certa di averlo reso suo schiavo, Nina gli dice che lui deve sottomettersi totalmente. In altre parole, capovolge la situazione.
Jelka disse: — Conosco anch’io un paio di donne così. — Si alzò. — Be’, continua a leggere. Sono impaziente di sapere com’è andata a finire.
Un quarto d’ora più tardi tornò con il carrello della colazione. — Adesso hai l’aria di stare meglio — disse.
— Infatti mi sento molto meglio. Devo aver dormito troppo profondamente. Che profumo di buone cose!
Jelka raccolse il libro che Carlsen aveva lasciato cadere sul pavimento. — Allora, è riuscito a curarlo? — chiese.
Carlsen rispose, con la bocca piena: — Sì, ma lo racconta in modo poco soddisfacente. Non spiega quale metodo ha seguito. Dice soltanto che il paziente ha cambiato il suo orizzonte sessuale.
Jelka si sedette e si mise a leggere. — Sì, è poco chiaro. Non potresti scrivere all’autore? — Guardò la pagina del frontespizio. — Oh, no, dev’essere già morto. Questo è stato stampato nel duemilaventitré, quasi cinquant’anni fa.
Dallo schermo venne un richiamo. Jelka bloccò il video e si servì solo del ricevitore audio. Dopo un attimo disse: — È Hans Fallada.
— Passamelo.
Sullo schermo comparve la faccia di Fallada. — Buon giorno — disse lo scienziato. — Ricevuto il mio dattiloscritto?
— Sì, grazie. Ho appena cominciato a leggerlo. Ci sono novità?
— Nessuna. Ho parlato adesso con Heseltine. Tutto è tranquillo. Ma oggi pomeriggio alla Camera ci sarà un’interrogazione sull’ordine di far rientrare la “Vega” e la “Jupiter”. Vi ho chiamato per avvertirvi. Se vi piombano addosso i giornalisti, dite che non sapete niente. O limitatevi a un commento vago sull’opportunità di non fare le cose in modo affrettato.
— D’accordo. A proposito, voi l’avete letto tutto il libro di von Geijerstam, “Vampirismo psichico”?
— Sì, tanti anni fa. Perché?
— Sto leggendolo adesso. Sembra che condivida molto delle vostre teorie. Eppure voi non ne date un giudizio positivo.
— Sì, quel testo è un lavoro serio. Ma le sue opere successive sono pura pazzia. L’autore ha finito col sostenere che gran parte delle malattie mentali sono causate dai fantasmi e dai demoni.
— Il primo caso di cui parla, ricordate la storia dello scultore, è affascinante. Sarebbe interessante scoprire com’è riuscito a guarirlo. Averlo guarito significa aver scoperto un sistema di difesa contro il vampirismo.
Fallada annuì, pensoso. — È vero, sarebbe interessante. Von Geijerstam ormai deve essere morto. Però aveva molti studenti e seguaci. Forse l’ambasciata svedese può esserci utile.
Jelka, che stava per uscire, disse: — Perché non ti rivolgi a Fred Armfeldt?
Carlsen disse a Fallada: — Aspettate un momento.
Jelka ripeté: — Fred Armfeldt, quello che si è ubriacato alla festa per il tuo ritorno. È addetto culturale all’ambasciata svedese.
Carlsen fece schioccare le dita. — Certo! Lui potrebbe aiutarci — disse a Fallada. — Un tale dell’ambasciata svedese, che io conosco. Lo chiamo subito.
— Bene — disse Fallada. — Chiamatemi appena scoprite qualcosa. Adesso vi lascio finire la colazione. — Evidentemente aveva notato il vassoio sul letto.
Carlsen fece una bella doccia, si rasò e si vestì, poi chiamò l’ambasciata svedese.
Disse chi era, e chiese di parlare con il signor Fredrick Armfeldt. Un momento dopo era in comunicazione con un giovane perfettamente rasato e con le guance rosa. Era Armfeldt, addirittura entusiasta di ricevere una telefonata del celebre Carlsen. — Oh, Comandante, che piacere! — disse subito. — Posso esservi utile?
Carlsen gli chiese informazioni sul conte von Geijerstam. Armfeldt scosse la testa. Non ne aveva mai sentito parlare. — Avete detto che è un medico? — chiese.
— Psichiatra. È autore di un libro dal titolo “Vampirismo psichico”.
— Oh, in tal caso sarà facile trovarlo nell’elenco degli autori svedesi. Ne ho una copia in biblioteca… Aspettate un momento… — Riapparve subito con un grosso volume. Lo sfogliò mormorando: — Fröding, Garborg… ah, ecco, Geijerstam, (von) Gustav… È lui?