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— Potete descrivere meglio quello che provate?

— Ecco… sento una specie di soffocamento… e come un pizzicore nella punta delle dita… e la vostra faccia è sfuocata… no, tutto è leggermente sfuocato.

Von Geijerstam si rivolse a Fallada: — E voi?

Fallada era sconcertato. — Mi sento benissimo. Forse Olaf ha bevuto un po’ troppo.

— No. Non è questo. Ho anch’io le stesse sensazioni del Comandante Carlsen. Mi capita sempre, qui dentro, soprattutto quando c’è la luna piena.

Fallada disse in tono lievemente sarcastico: — Altri fantasmi e spettri?

Von Geijerstam scosse la testa. — No. Credo che ormai lo spirito del Conte Magnus sia in pace.

— Allora, cos’è?

— Usciamo, prima. Comincio a sentirmi soffocare. — Si asciugò il sudore dalla fronte e uscì. Carlsen fu lieto di seguirlo. Appena fuori il senso di nausea svanì.

Nella cappella, la luce elettrica dava tonalità allegre ai colori dell’organo. Lì la vista non era più offuscata. Von Geijerstam si sedette sulla prima panca.

— Quello che abbiamo appena sperimentato là dentro non era la sensazione che si attribuisce di solito alla presenza di un fantasma, ma un effetto puramente fisico, come sentirsi mancare quando si annusa il cloroformio. Non di natura chimica, però, ma elettrica.

— Elettrica? — disse Fallada.

— Non intendo qualcosa che si possa misurare con la scala lambda, anche se non mi sento di escluderlo. Ritengo piuttosto che sia una specie di registrazione… come una registrazione su disco o su nastro.

— E quale sarebbe il nastro? — domandò Carlsen.

— Una specie di campo… un campo magnetico, dovuto all’acqua che ci circonda — rispose il conte. Poi si rivolse a Fallada: — Anche voi ne sentite gli effetti, per quanto siate meno sensibile del Comandante. È come nel laboratorio di Magnus. Solo che là l’effetto è più debole perché il laboratorio è sopra il lago.

Fallada scosse la testa. — Che prove avete che sia così?

— Nessuna prova scientifica. Ma il cinquanta per cento delle persone che entrano nel mausoleo quando c’è luna piena sente questi effetti. Qualcuno è persino svenuto. — Guardò Carlsen: — Avete notato che la sensazione è cessata subito appena passata la soglia? Questi campi hanno sempre perimetri ben definiti. Ho annotato esattamente dove comincia e dove finisce, in questo caso: quindici centimetri oltre la porta.

Fallada disse: — Ci dev’essere un sistema per misurarlo, se si tratta di un campo elettrico.

— Sono sicuro che c’è, ma io sono uno psicologo, caro dottor Fallada, non un fisico. — Von Geijerstam si alzò. — Rientriamo in casa?

Carlsen disse: — Continuo a non capire… Perché ci deve essere un’atmosfera sgradevole? Che cos’è successo là dentro?

Il conte spense le luci e richiuse la porta. — Posso dirvi quello che è successo nel laboratorio. Nei diari c’è tutto. Magnus praticava la magia nera. E alcuni degli esperimenti che ha fatto sono troppo orribili per parlarne.

Passarono sotto gli alberi in silenzio. Poi Fallada chiese: — Ma perché anche dentro la cappella?

— Già. Perché quell’atmosfera anche nel mausoleo, visto che Magnus era già morto quando è stato portato là?

— Una domanda non scientifica, forse, ma vale la pena di porsela.

Fallada tentò una risposta. — Non potrebbe essere stata la paura della gente che entrò nella tomba a provocare quella che voi chiamate registrazione?

— Sì, se qualcuno ci fosse entrato. Ma per oltre un secolo dopo la morte di Magnus la tomba è rimasta chiusa e sbarrata. La cappella cadde in disuso perché la gente aveva paura di irritare il suo spirito.

Arrivarono in silenzio fino al portone del castello. Le luci della biblioteca erano state spente ma il fuoco del camino era sufficiente a illuminare la stanza. Selma Bengtsson era seduta sul divano.

— Louise e Anneleise sono andate a letto. Io volevo sapere com’è andata.

Carlsen si sedette vicino alla ragazza. — Non è successo niente, se è questo che temevate. Ma io ho provato una strana sensazione.

Von Geijerstam disse: — Ci meritiamo tutti un po’ di brandy, d’accordo?

Selma chiese a Fallada: — E voi, avete sentito qualcosa?

— Io… non saprei. Riconosco che è un posto deprimente. …

Il conte l’interruppe: — Ma voi non credete ai vampiri?

— Non in quel genere di vampiri! Non in quelli che tornano dall’oltretomba. — Annusò il suo brandy. — I vampiri sono una cosa. I fantasmi un’altra.

Von Geijerstam annuì. — D’accordo. Capita che io creda anche ai fantasmi. Ma in questo momento non stiamo parlando di fantasmi.

— Be’, parliamo di un uomo che torna dal mondo dei morti. Direi che è la stessa cosa.

Von Geijerstam disse: — Ne siete sicuro? — Si accomodò meglio nell’ampia poltrona. Fallada aspettò il seguito. — C’è una frase interessante nel diario del Conte Magnus: “Colui che volesse bere il sangue dei suoi nemici e ottenere fedeli servitori…”. Che specie di servitori?

Carlsen chiese: — Demoni?

— Forse. Ma demoni o diavoli non sono affatto menzionati nei suoi diari. Tutto quello che sappiamo è che quando Magnus tornò dal Pellegrinaggio Nero era un altro uomo… anche la sua calligrafia era cambiata. L’abbiamo visto. Per quello che riguarda le mie esperienze personali, mi sono imbattuto in cinque casi di sdoppiamento di personalità… la sindrome Jekyll-Hyde. In due casi anche la calligrafia cambiava a mano a mano che cambiava la personalità. Eppure restava sempre la stessa calligrafia, cambiavano semplicemente alcune caratteristiche che si accentuavano o si smorzavano. In questo caso invece la calligrafia diventò quella di un’altra persona.

Carlsen si protese in avanti. — In altre parole Magnus venne invasato da qualche cosa?

— Alcuni indizi puntano in questo senso. — Von Geijerstam sorrise a Fallada. — Se… naturalmente, se voi credete che un’entità incorporea possa invasare il corpo di un individuo in carne e ossa.

— E poi, c’è la faccenda del polipo — disse Carlsen.

Per qualche minuto nessuno parlò. Nella sala si udiva solo lo scoppiettìo del ceppo nel camino. Poi Fallada disse: — Vorrei tanto capire dove ci porterà questa storia.

L’orologio dell’atrio batté l’una. Carlsen finì il suo brandy. Von Geijerstam disse: — Sarà meglio dormirci sopra. Ne abbiamo già discusso abbastanza per oggi. E poi credo che il Comandante sia stanco.

Carlsen aveva trattenuto uno sbadiglio e lo sforzo gli aveva fatto venire le lacrime agli occhi. Von Geijerstam disse: — Selma, volete mostrare al Comandante la sua stanza? Io resterò ancora qualche minuto, a bere un altro brandy. Mi fate compagnia, dottore?

Fallada disse: — Ecco… ne prenderò ancora un goccio.

Carlsen augurò la buona notte e seguì Selma Bengtsson su per le scale. Il tappeto era spesso e soffice sotto i suoi passi. Il calore del camino lo aveva messo in uno stato di piacevole sonnolenza. La ragazza lo accompagnò a una stanza del primo piano. La porta era aperta, e qualcuno aveva già disteso il suo pigiama sul letto. Era una stanza calda e comoda, con le pareti rivestite di legno più chiaro di quello del pianterreno. Carlsen si sedette sull’orlo del letto e si sentì travolgere dalla stanchezza. Tolse dalla valigia una cornice con la foto della moglie e dei figli e la mise sul comodino. Lo faceva sempre quand’era in viaggio. Poi andò in bagno e si bagnò la faccia con acqua fredda. Stava per lavarsi i denti quando qualcuno bussò alla porta.

— Avanti — disse, uscendo dal bagno. Era Selma Bergtsson. — Credevo che fosse Fallada.

— Posso parlarvi un momento prima che andiate a dormire?

— Certo. — Si infilò la veste da camera sul pigiama. — Vi spiace se mi sdraio? — chiese.