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Carlsen fece colazione soprappensiero, rispondendo alle domande a monosillabi, tutto preso dal fascino di quel suo nuovo potere.

Qualche volta aveva provato qualcosa di simile con Jelka, quando la loro relazione era molto intima: una sensazione di essere tutt’uno con lei, tanto da provare le stesse emozioni. L’aveva provato anche quando i bambini erano molto piccoli e lui li prendeva in braccio. E si ricordò di un mattino d’estate, là appoggiato a un albero, tanti, tanti anni prima. Anche allora l’aveva provato. Ogni volta si era trattato di una sensazione inconscia che non era mai arrivata al livello di reale consapevolezza.

Tentò di leggere nella mente di von Geijerstam, ma gli fu impossibile. In assenza di desiderio la mente restava impenetrabile. Fu lo stesso con Fallada. In Fallada gli parve di avvertire vagamente un certo disagio, ma quando cerò di approfondire, il contatto si interruppe.

Cercò poi di capire se il vampiro fosse ancora dentro di lui, pronto a succhiare energia per suo tramite. L’esperienza della notte precedente gli aveva insegnato come rendersi conto della sua presenza. Da quello che capiva, gli pareva che non ci fosse. Ma in tal caso, perché desiderava tanto quelle ragazze? La risposta gli causò una contrazione al cuore: lui le voleva per se stesso, non per il vampiro. Per un momento lottò contro il panico. Poi si ricordò che intendeva parlare subito a von Geijerstam del suo problema, e quel pensiero gli diede sollievo. Fu contento quando la colazione finì.

Von Geijerstam disse: — Di solito a quest’ora faccio una.camminata intorno al lago, o lo attraverso in barca. Verreste con me?

— Con piacere — disse Fallada.

Selma Bengtsson chiese: — Posso venire anch’io?

— Temo di no, mia cara. Dobbiamo discutere di certe cose. E voi dovete studiare.

La delusione della ragazza fu così intensa che Carlsen fu tentato di intercedere per lei. Mentre usciva dalla stanza si sentì addosso lo sguardo di Selma che gli chiedeva di voltarsi a sorriderle, e quello delle altre due che l’osservavano con attenzione. Uscì senza voltarsi.

La temperatura era mite, l’aria profumava di primavera. Adesso il campo vitale delle tre ragazze, non disturbava più il suo equilibrio, e Carlsen si sentì meglio. Con sollievo i suoi sensi si volsero al sole, e lui ne ricevette un piacere talmente intenso da rasentare il dolore.

Appena furono tra gli alberi, diretti all’estremità sud dell’isola, Carlsen disse: — Possiamo sederci in qualche posto? Avrei qualcosa da discutere con calma.

Von Geijerstam indicò. — C’è una panchina laggiù — disse. Qualche centinaio di metri più avanti, un ruscello finiva nel lago. Von Geijerstam disse: — Quest’acqua viene da una sorgente in cima alla collina. La chiamiamo il Pozzo di Sant’Eric. Secondo la leggenda Sant’Eric passò la notte in preghiera, vicino alla vetta, in una grotta da eremita, perché il giorno dopo doveva guidare i suoi uomini nella battaglia contro i finlandesi. E la mattina successiva, dal terreno sgorgò l’acqua sorgente, quale segno che le sue preghiere erano state ascoltate.

Una rozza panchina di legno, ricavata da un tronco, era sistemata vicino al punto in cui il ruscello si buttava nel lago. Un gigantesco olmo faceva da spalliera. Von Geijerstam si sedette.

Carlsen cominciò subito a parlare.

— La notte scorsa mi è successo qualcosa di strano. La signorina Bengtsson è venuta in camera mia.

Von Geijerstam inarcò le sopracciglia. — E che c’è di strano, mio caro Comandante?

Dal tono, Carlsen capì che il conte sapeva già.

— Lasciatemi finire, vi prego. — Di colpo, ecco che sentì di nuovo la riluttanza a parlare. Questa volta era così forte che gli parve di avere una mano stretta attorno alla gola. Arrossì. Il cuore cominciò a battere affannosamente. Quando riuscì a parlare, la sua voce suonò tesa e ansimante. Gli altri lo guardarono sbalorditi.

— Non credo che volesse passare la notte con me — disse. — In realtà so che non voleva, perché aveva lasciato la porta della sua camera socchiusa e la luce accesa. Lei era venuta soltanto per dirmi di aver sentito che le avevo rubato energia… Nemmeno io volevo passare la notte con lei. Sono sposato da cinque anni, e in tutto questo tempo non ho mai nemmeno baciato un’altra donna.

Fallada chiese: — Come ti senti?

Malgrado il sole caldo, Carlsen stava battendo i denti e il suo corpo era gelido. Strinse le mani a pugno e le premette contro le cosce. Era quasi la stessa sensazione che aveva sperimentato tante volte durante i lanci di addestramento.

Continuò a parlare con voce strozzata. — Dovete lasciarmi finire. Sapete, aveva ragione. Io sono un vampiro. Me ne sono accorto non appena Selma mi ha toccato. Quella maledetta aliena c’è ancora. È dentro di me. Non sono pazzo, ve lo assicuro. Lo so che… che vi sembrerà strano, ma anche in questo momento qualcosa cerca di impedirmi di parlare. — Si appoggiò al tronco dell’olmo, e il contatto con l’albero gli diede un certo conforto. Respirò profondamente. — Lasciatemi un momento in pace. Passerà — disse. Ci volle un po’ perché riuscisse a dominare il suo tremito. Ma sapere di aver già detto la parte più importante, gli facilitò il compito. Si asciugò il sudore freddo che gli imperlava la fronte.

Von Geijerstam disse: — State calmo. Vi dirò io qualcosa, adesso. Sapevo già quasi tutto quello che volevate dirmi. Lo sapevo già da ieri sera, quando Selma disse che avevate preso più energia di quanto le ragazze si erano aspettate. Quando poi mi avete raccontato del vostro incontro con la donna vampiro, capii subito quello che era successo. — Mise una mano su quella di Carlsen. — Tranquillizzatevi. È meno grave di quanto temete.

Carlsen disse in tono cupo: — Spero che abbiate ragione.

Fallada gli chiese: — Potresti descriverci come sono andate le cose?

— Tenterò.

Appena riprese a parlare, Carlsen si sentì più calmo. Descrivendo il fenomeno si concentrava sull’esattezza dei particolari, e questo semplificava il compito. Finì il suo racconto parlando delle sue percezioni straordinarie, di cui si era reso conto durante la colazione.

Dopo un breve silenzio pensoso, von Geijerstam disse: — Dunque adesso siete convinto di essere diventato un vampiro?

— Perché, voi non lo credete?

— No. Credo piuttosto che siate diventato cosciente del vampirismo esistente in tutte le creature umane. Nient’altro.

Carlsen si controllò a stento.

— Avrei potuto prosciugarla di tutte le sue energie vitali, fino a farla morire! E questo lo chiamate vampirismo esistente in tutte le creature umane?

— No, ma credo che questa sia una possibilità esistente a questo punto dell’evoluzione umana. Quella creatura non vi ha trasformato in vampiro, Comandante. Ha solo risvegliato il seme di una nuova evoluzione. Ed è una evoluzione che ha possibilità sia di bene sia di male.

Carlsen chiese subito: — In che modo?

— Per cominciare, vi ha dato percezioni particolari e una maggiore capacità di comprensione. Voi non avete distrutto Selma, no? Anzi, le avete trasmesso energia. Voi sentite istintivamente che l’amore è dare e ricevere.

Seguì un lungo silenzio interrotto solo dal cinguettio degli uccelli e dal battere dell’acqua sui sassi della riva.

— Rimane però sempre il fatto che mi ha trasformato in vampiro. Mi ha dato desideri abnormi che prima non avevo… e il potere di soddisfarli.