— Bene. E adesso cosa sta facendo?
La vecchia stava allungando la cordicella.
— Altri esami.
La vecchia protese di nuovo il braccio sopra Carlsen. Questa volta lui sentì una certa tensione in von Geijerstam. Osservò con attenzione e curiosità i movimenti del pendolo che passarono nuovamente dalle oscillazioni avanti e indietro ai movimenti circolari. La donna riprese a contare. Poi disse qualcosa sottovoce a von Geijerstam. Quando il pendolo tornò a cambiare tipo di oscillazioni, lei lo lasciò scendere fin sul pavimento, scuotendo la testa. Restò pensosa a osservare Carlsen, la fronte corrugata.
Von Geijerstam disse: — È finito. Potete rialzarvi.
— A che cosa è servito questo esperimento? — domandò Carlsen.
Von Geijerstam parlò alla donna in lettone. La risposta fu lunghissima. Carlsen tentò di caprie qualcosa. Aveva imparato un po’ di lettone quando studiava a Riga. Riconobbe la parola “bistams”, che voleva dire pericoloso, e il termine “briesman”, pericolo.
Von Geijerstam le chiese: — “Ne sieviete?” — e lei si strinse nelle spalle, e rispose: — “Varbut”. — Poi riprese il pendolo, e lo tenne sospeso sopra di lui, che ora stava seduto con le spalle poggiate alla parete. Dopo un po’ il pendolo riprese a descrivere giri concentrici. La donna si spostò verso Fallada, e tenne il pendolo sospeso sopra lo stomaco dello scienzato. Il pendolo si mosse solo avanti e indietro. La donna tornò a stringersi nelle spalle. — “Loti atvainojos” — disse, e gettò il pendolo sul letto.
Carlsen chiese: — Perché è scontenta?
Von Geijerstam disse: — Risultato sorprendente, ma non del tutto inaspettato. Quando Torsten Vetterlund, lo scultore, era sotto il potere di Nina, il pendolo dava un responso come se lui fosse una donna. L’ho detto a Moa, ma lei mi ha fatto notare che la stessa lunghezza, circa sessantatré centimetri, può anche significare pericolo.
Carlsen chiese: — Volete dire che da me ha avuto questa reazione?
Sì.
Carlsen sentì una stretta allo stomaco. Si rese conto di star male e di essere esausto. In pochi secondi quella sensazione si fece così acuta, che temette di vomitare. La fronte gli si era imperlata di sudore. Mentre tentava di alzarsi in piedi udì il cane ringhiare. La bestia stava indietreggiando verso la porta, col pelo ritto, sbarrando la strada.
— Cosa volete fare? — domandò il conte.
— Mi sento male… Ho bisogno di prendere una boccata d’aria fresca.
— No! — Il tono del conte fu così brusco che Carlsen lo guardò, sorpreso. Von Geijerstam lo afferrò per un polso. — Non capite cosa sta succedendo? Guardate il cane. Il vampiro è tornato, non è così? Chiudete gli occhi! Non ne sentite la presenza?
Carlsen chiuse gli occhi, ma gli fu impossibile analizzare le sue sensazioni. Era sotto una specie di delirio acuto.
— Mi sembra di essere sul punto di svenire. — Fece di nuovo per avviarsi alla porta. Il cane si accucciò ringhiando, e mostrò i denti. Von Geijerstam e Fallada si misero ai fianchi di Carlsen. Lui si accorse di vacillare. Von Geijerstam disse: — Dobbiamo fare un altro esperimento, il più importante. Venite a sdraiarvi qui.
Lo aiutarono ad attraversare la stanza. Carlsen sentiva di non avere più volontà, come se tutta la sua forza gli fosse stata sottratta. Si distese supino, ma subito si sentì così male che dovette girarsi sullo stomaco. Il ruvido tappeto, pungente sotto la pelle della fronte, sapeva di polvere. Carlsen chiuse gli occhi e gli parve di andare alla deriva in un mondo crepuscolare, avvolto in una specie di foschia nera. Di colpo capì cosa stava succedendogli.
Il vampiro era lì, ma non si interessava a lui: stava comunicando con l’astronave ancora alla deriva nel vuoto spaziale. Adesso sentiva la fame feroce che emanava dal relitto. Gli uomini della Terra se ne erano andati e gli alieni si sentivano traditi. Erano furenti di essere ancora là, non riuscivano a capire che cosa non avesse funzionato. E il vampiro sulla Terra aveva difficoltà a spiegarlo, perché si trovava in un altro mondo, perché era cosciente mentre loro erano addormentati. L’agonia dei compagni lo colpiva dolorosamente. Un dolore quasi fisico. Simile a un nastro sensibilissimo, Carlsen registrava quel tormento.
Ovattata dalla nebbia scura, udì la voce di von Geijerstam.
— Giratevi un momento, per favore.
Con uno sforzo, lui aprì gli occhi e si girò sulla schiena. Era lì solo a metà, é nuvole scure si frapponevano fra lui e gli altri.
Riuscì a vedere la donna. Era salita sulla scala, e adesso, dal terrazzino, faceva calare il pendolo a piombo sopra il suo petto. Il pendolo cominciò a descrivere grandi cerchi. Carlsen sentì grosse gocce di sudore scorrere dalle ascelle giù per i fianchi.
Poi, finalmente, la voce di von Geijerstam disse: — Potete alzarvi, Comandante.
Con uno sforzo doloroso Carlsen si puntellò su un gomito. Il cane si mise ad abbaiare furiosamente.
Carlsen appoggiò la schiena contro i gradini di legno, timoroso di chiudere gli occhi, timoroso di venire nuovamente attirato in quel mondo di fame e di dolore.
Si rese conto che la donna era vicino a lui e gli porgeva qualcosa. In svedese stentato gli disse: — Prendete e annusate.
Dall’odore, Carlsen capì che era aglio. Scosse la testa. — Non posso — disse.
Von Geijerstam intervenne. — Vi prego, fate come vi dice.
Carlsen prese il barattolo e se lo avvicinò alle narici. Aveva odore di disintegrazione e di morte. Gli venne un convulso di tosse, e le lacrime gli riempirono gli occhi. Poi, d’un tratto, il malessere passò. Fu come se una porta fosse stata chiusa, azzittendo un rumore che spezzava i nervi. Il cane non abbaiava più.
Fallada gli posò una mano sulla spalla. — Come ti senti, adesso? — chiese, e Carlsen gli fu grato per la sincera preoccupazione evidente nella sua voce.
— Molto meglio, grazie — rispose. — Posso uscire, adesso? — Il desiderio d’aria fresca era come una sete ardente.
Lo presero per le braccia e lo aiutarono a uscire. Si sedette su una panca di legno, le spalle appoggiate alla parete. Il sole gli batté sulle palpebre chiuse.
Sentì che qualcuno lo prendeva per un polso. Era la vecchia Moa. Si era seduta su uno sgabello, di fronte a lui, l’espressione intenta.
Lo guardò negli occhi e parlò in lettone. Von Geijerstam tradusse: — Non arrendetevi alla paura. La paura è il peggior nemico. Un vampiro non può distruggervi senza il vostro consenso.
Carlsen riuscì a sorridere. — Lo so — disse.
La donna parlò ancora. — I vampiri sono cattiva fortuna — tradusse il conte.
— So anche questo.
La vecchia gli strinse il polso, guardandolo fisso negli occhi. Questa volta parlò in svedese: — Ricordatevi che se lei è dentro di voi, anche voi siete dentro di lei.
Carlsen corrugò la fronte, scuotendo la testa. — Non capisco…
La vecchia sorrise e si alzò. Disse qualcosa a von Geijerstam, in lettone, poi rientrò in casa. Tornò subito dopo, e mise qualcosa in mano a Carlsen. Era un cerchio di ottone con attaccato una cordicella.
— Moa vi raccomanda di legarvelo intorno al braccio destro. Protegge dal male. È un talismano lettone.
Carlsen disse: — “Loti pateicos”.
La vecchia sorrise e accennò un inchino.
Von Geijerstam disse: — Ve la sentite di camminare fino a casa?