Выбрать главу

— Sì, mi sento molto meglio.

Von Geijerstam si inchinò alla vecchia Moa. Lei gli prese una mano e gliela baciò. Rimase a guardarli, una mano sulla testa del cane, finché non furono oltre la radura.

Uscendo dal bosco udirono delle risate. Le tre ragazze stavano nuotando nel lago. Anneleise nuotava sulla schiena, scalciando grandi spruzzi d’acqua. Quando Selma Bengtsson li vide, agitò una mano gridando a Carlsen: — Vostra moglie vi ha cercato.

— Ha lasciato detto qualcosa?

— No.

Von Geijerstam disse: — Richiamatela voi. Se non ci fosse niente di urgente, non potreste restare un altro giorno?

— Siete molto gentile.

La sensazione di vivere in un sogno l’aveva abbandonato. Adesso era solo fisicamente stanco. Voleva stendersi e dormire. L’idea di rilassarsi per un giorno l’allettava.

Entrati in casa, von Geijerstam disse: — Usate l’apparecchio del mio studio. Al piano di sopra. — Lo accompagnò in un piccolo locale odoroso di cuoio e di sigari. L’odore di cuoio veniva dalla vecchia poltrona, sistemata un po’ troppo vicino al fuoco del camino.

Sedendosi alla scrivania, Carlsen disse: — Permettete che vi presenti mia moglie? È stata lei a scoprire il vostro libro, e sono certo che sarà contenta di salutarvi.

— Mi farà molto piacere — disse il conte.

Riuscì ad avere subito la comunicazione. Sullo schermo apparve Jeanette che esclamò: — Papà! Sei sulla Luna?

— No, tesoro. Solo in Svezia. Passami la mamma.

Si sentì la voce di Jelka. — Sono qui. Ciao! — Poi la si vide prendere in braccio Jeanette. — Come stai, caro? — Jelka non si era mai sentita a suo agio davanti al teleschermo. Aveva sempre l’aria distaccata e fredda di una segretaria.

— Sto benissimo, grazie.

— Torni questa sera?

— Non so ancora. Forse rimango un altro giorno. Sono ospite nel castello del conte von Geijerstam. Eccolo. — Von Geijerstam si mise in modo da apparire sul teleschermo accanto a Olaf. Carlsen fece una più corretta presentazione, e il conte e Jelka si scambiarono i soliti convenevoli. Jeanette intervenne chiedendo: — Papà, cos’è un priministro?

— … Un cosa?

Jelka disse: — Oh, sì. L’ufficio del Primo Ministro voleva mettersi in comunicazione con te. Ma io non ho trovato il numero che mi avevi lasciato.

Carlsen sentì un disagio improvviso, come una ventata gelida sulla nuca. — Cosa volevano?

— Non so.

— E come hai trovato poi il numero?

— Ho dovuto chiamare Fred Armfeldt. La segretaria del Primo Ministro dovrebbe richiamare fra poco. Le do questo numero?

— No.

Jelka fu colpita dalla veemenza della risposta. — Perché no? — chiese.

— Perché… perché non voglio essere seccato da nessuno.

— Ma se fosse importante?

— Lascia perdere. — Con lo stesso tono irritato aggiunse: — E se richiamano, chiunque chiami, rispondi che non sai dove sono.

Lei si voltò dicendo: — C’è qualcuno alla porta. Allora, quando torni?

— Domani pomeriggio.

Chiusa la comunicazione, von Geijerstam chiese: — Avete qualcosa contro il vostro Primo Ministro?

Carlsen si passò una mano sugli occhi, e scosse la testa. — No — disse. — Solo che… — Si strinse nelle spalle.

— Che cosa?

Carlsen lo guardò. — Che importanza ha?

— Mi piacerebbe saperlo.

Carlsen guardò dalla finestra, corrugando la fronte. Disse: — Io… Non so… Forse è solo che mi piace stare qui.

Si sentì bussare alla porta, e Fallada entrò dicendo: — Disturbo?

— No. Venite.

Carlsen disse: — Hai lasciato detto ai tuoi assistenti dove saremmo andati?

Fallada rispose, sorpreso: — Certo. — Poi corrugò la fronte e si grattò la punta del naso. — Ma ora che ci penso, non sono tanto sicuro. Intendevo farlo… Perché me lo chiedi?

— Oh, niente.

Von Geijerstam sorrise a Fallada. — Dunque vi siete dimenticato di lasciare l’indirizzo. Il Comandante Carlsen invece l’ha lasciato dove era possibile che andasse perso. E così nessuno sa dove siete. Come psicologo, come lo spieghereste?

— Sì, giusta osservazione, la vostra — disse Fallada. — Anche se Carlsen l’indirizzo in realtà l’ha lasciato, e il fatto che si sia perso è più un normale incidente.

— Però ha appena detto a sua moglie di riferire al Primo Ministro che non sa dove si trovi lui.

Fallada disse: — Questo si spiega facilmente. Due giorni fa c’è stata una riunione col Primo Ministro. Lui non crede che questi vampiri siano pericolosi, quindi, né Carlsen né io fidiamo molto in lui.

Von Geijerstam, in piedi vicino alla finestra, stava guardando fuori. Disse lentamente: — Secondo la mia esperienza, quando il nostro subcosciente ci dà un avvertimento, dovremmo ascoltarlo.

— Cosa volete dire? — domandò Carlsen.

Von Geijerstam si sedette sull’orlo della scrivania, e guardò Carlsen dritto in faccia. — Ricordate l’ultima cosa che vi ha detto Moa?

— Sì, ma non l’ho capita.

— Ha detto: “Se lei è dentro di voi, anche voi siete dentro di lei”.

— Continuo a non capire cosa significa.

— Voleva dire che se questa aliena è in contatto con la vostra mente, anche voi siete in contatto con la mente dell’aliena.

— In che modo? — chiese subito Fallada.

Von Geijerstam chiese a Carlsen: — Siete mai stato ipnotizzato, Comandante?

Fallada fece schioccare le dita. — Certo! Vale la pena di tentare!

Carlsen scosse la testa. Von Geijerstam chiese: — Sareste disposto a lasciarmi tentare?

Carlsen lottò contro la sensazione di affondare. Respirò a fondo. — È probabile che non mi danneggi più di così.

— L’idea vi dà fastidio?

In tono di scusa Carlsen disse: — È solo che… ecco, comincio a sentirmi come se la mia mente non mi appartenesse più.

— Capisco. Ma non dovete preoccuparvi. Resterete cosciente per tutto il tempo.

Carlsen chiese, dubbioso: — Ma è possibile?

— Certo. Io preferisco che i miei soggetti restino completamente coscienti.

— Non c’è alcun pericolo — disse Fallada. — Io sono stato ipnotizzato almeno una decina di volte. Quand’eravamo studenti era uno dei nostri passatempi.

Carlsen disse: — Va bene. Quando?

— Perché non adesso?

Carlsen sorrise. — Adesso probabilmente mi addormenterò. Sono alquanto stanco — disse.

— Non ha importanza. — Von Geijerstam chiuse le tende. Poi accese la lampada della scrivania.

Fallada chiese: — Preferite che me ne vada?

— No. A meno che lo preferisca il Comandante.

Da un armadio il conte prese una specie di asta inserita in un piedestallo. La cima era ricurva, a uncino. All’uncino von Geijerstam appese una sfera di cromo sostenuta da un cordoncino. La sfera cominciò a dondolare leggermente nella luce della lampada.

Fissandola, Carlsen disse: — No. Può restare.

Von Geijerstam girò la lampada in modo che la faccia di Carlsen fosse in ombra.

— Questa sfera ha lo scopo di stancarvi la vista — disse. — Fissatela finché sentirete gli occhi stanchi, poi chiudeteli. Voglio che vi rilassiate completamente. Posso ipnotizzarvi solamente se voi collaborate. La cosa più importante è che vi sentiate comodo e rilassato.

La voce di von Geijerstam continuò, calma e lenta, mentre il pendolo continuava a dondolare. Carlsen si abbandonò comodamente nella capace poltrona di cuoio. Oltre la sfera dondolante poteva vedere vagamente in penombra Fallada, seduto sul divano; le fiamme del camino che si riflettevano nei suoi occhiali. Von Geijerstam stava dicendo, a voce bassa: — Benissimo… Rilassatevi e ascoltate attentamente quello che vi dirò. Non pensate a niente… I vostri occhi sono stanchi… molto stanchi. Le palpebre si fanno pesanti. Avete tanta voglia di chiudere gli occhi…