— Preferisco di no.
— Come volete. Dall’interno, il cancello può essere aperto senza chiave. Se non sarete tornato entro mezz’ora, verremo a cercarvi. — Il tono era scherzoso, ma sotto si sentiva che diceva sul serio.
Il cancello si chiuse alle sue spalle. Carlsen andò alla porta del primo appartamento e suonò il campanello. Una voce femminile rispose attraverso il citofono.
— Chi è?
Avvicinò la bocca alla grata. — Mi chiamo Carlsen. Vorrei parlarvi.
Si aspettava altre domande, ma il citofono restò muto. Un attimo dopo la porta si aprì con uno scatto. La donna lo guardò con curiosità, senza timore. — Che cosa volete? — chiese.
— Posso entrare?
— Come siete arrivato fin qui?
— Mi ha accompagnato il Dottor Armstrong.
— Accomodatevi. — Si fece da parte per lasciarlo entrare. Poi chiuse la porta e si avvicinò allo schermo per le comunicazioni interne.
Subito la voce di Armstrong disse: — Pronto?
— C’è qui un certo Carlsen. Ne siete al corrente?
— Sì, l’ho accompagnato io. È il Comandante Carlsen.
— Va bene. — Chiuse la comunicazione. Carlsen era rimasto vicino alla porta, a osservarla. Era deluso. Chissà perché, si era immaginato che fosse bella. Invece era un tipo estremamente comune, di circa trentacinque anni, con la pelle ruvida. Il corpo doveva essere stato ben modellato, ma adesso cominciava a sfasciarsi. Notò che l’orlo del vestito di lana verde era scucito in più punti.
— Per che cosa volevate vedermi? — La voce aveva un’intonazione meccanica, come quella di una telefonista. Carlsen si chiese se non si fosse sbagliato.
— Posso sedermi?
Lei si strinse nelle spalle e gli indicò una poltrona. Carlsen cercava una scusa per toccarla, ma la donna era troppo lontana. Disse: — Volevo parlavi dell’uomo con il quale avete passato il pomeriggio, il signor Pryce.
— Non capisco cosa dite.
— Credo invece che lo sappiate benissimo. Mostratemi la mano.
Lei lo guardò sorpresa. — Come avete detto?
— Mostratemi la mano.
Ellen era in piedi, appoggiata a un tavolino sistemato contro la parete. Un attimo ancora, poi di colpo si stabilì il contatto. Stavano giocando un gioco che entrambi conoscevano bene. Lei lo guardò, poi si avvicinò lentamente. Lui tese le mani e prese tra le sue quelle della donna. Il flusso di energia fu come una scarica elettrica. La donna barcollò, e Carlsen si alzò a sorreggerla. L’energia fluiva da Ellen a lui.
La guardò negli occhi: aveva lo sguardo vuoto. Sentì chiaramente, come se fosse stato fatto a voce alta, un commento solo pensato. Le strinse forte le braccia nude: — Come si chiama?
Lei gli stava appoggiata addosso. — Non lo so.
— Ditemelo! — Lei scosse la testa. — Attenta, vi farò male! — Strinse più forte. Lei scosse di nuovo la testa. Deliberatamente, come se stesse facendo una mossa su una scacchiera, Carlsen la staccò da sé e le diede uno schiaffo. Ancora lei scosse la testa.
Sentì bussare alla porta. Lui sussultò, ma Ellen parve non aver sentito. Carlsen chiese: — Chi è? — Bussarono di nuovo. Lui fece sedere Ellen in poltrona e andò ad aprire. Era Fallada.
— Tutto bene?
— Sì. Entra.
Fallada entrò e vide la donna. — Buona sera — disse. Poi guardò Carlsen. — Cos’ha? Sta male?
Carlsen sedette sul bracciolo della poltrona. La faccia di Ellen era ancora rossa per lo schiaffo, e le lacrime le scorrevano lungo le guance.
— No, non sta male — disse Carlsen. E intuendo la prossima domanda di Fallada aggiunse: — È innocua.
— Può sentirci?
— Probabilmente sì — rispose Carlsen — ma non le interessa. È come un bambino affamato.
— Cioè?
— Vuole che le faccia male.
— Dici sul serio?
— Certo. Quando è invasata dalla aliena, Ellen assorbe energia dalle sue vittime, ma poi la cede tutta. È come una donna che rubi per l’amante. Ora, se io prendo energia da lei… — le mise una mano sul braccio — lei risponde automaticamente. È condizionata a dare.
— Adesso stai prendendo energia?
— Un po’, solo per tenerla in stato di semi incoscienza. Se smetto si sveglia.
— Come la ragazza di ieri sera… Selma Bengtsson?
— Sì. Ma per Selma era solo un normale desiderio di resa. Questa è molto peggio. A questa piace venire completamente distrutta.
— Masochismo spinto all’estremo?
— Esatto.
— Non sarebbe meglio lasciarla in pace?
— Dopo che avrò scoperto chi è l’internato che assorbe la sua energia.
Fallada si chinò sulla donna e le sollevò una palpebra. Ellen lo guardò con indifferenza. A lei interessava soltanto Carlsen.
— Non puoi leggerglielo nella mente?
— Fa resistenza. Non vuole farmelo sapere.
— Perché?
— Te l’ho detto. Vuole che io la costringa a dirmelo.
Fallada si raddrizzò. — Preferisci che me ne vada?
— Non è necessario… se non ti secca aspettare. A me non darà nessun piacere, sai? — Si rivolse alla donna. — Alzati! — le disse.
Lei si alzò adagio, le labbra tirate da un sorriso appena accennato. Carlsen l’abbracciò. Lei fece una smorfia quando le mani di lui le premettero la schiena. Le chiese di nuovo: — Dimmi come si chiama. — Lei scosse la testa, sorridendo. Lui la strinse più forte. Ellen gemette e si contorse, ma scosse ancora la testa.
Fallada disse: — Come mai sente dolore?
— Non so… — Carlsen prese fra le dita il gancio della chiusura lampo e la fece scorrere fino alla vita. Il vestito si aprì. La schiena era tutta segnata da graffi.
Fallada guardò i graffi da vicino. — Sono ferite recenti — disse. — Forse il ricordo dell’amante di oggi.
Carlsen sentiva l’energia passare dalla schiena nuda di Ellen alla sua mano. Le fece scivolare il vestito dalle spalle.
— Cosa fai? — chiese Fallada.
— Se non vuoi vedere, vai nell’altra stanza.
— Non ci penso nemmeno. Sono un guardone per natura, non lo sapevi?
Il vestito si afflosciò sul pavimento. Le braccia della donna si strinsero intorno al collo di Carlsen. Lui sentiva il calore del corpo nudo attraverso i propri vestiti. Avrebbe voluto toglierseli per avere un contatto più diretto, ma la presenza di Fallada lo inibiva. Strinse a sé la donna con violenza, facendosela aderire addosso, una mano premuta sulla schiena ferita. Lei fece una smorfia.
Poi, quando Carlsen le posò le labbra sulla bocca, si abbandonò completamente. La vitalità di Ellen scorreva dalle sue labbra a quelle di Carlsen, si travasava in lui dalle punte dei seni, dal pube, da tutto il corpo.
Fallada si schiarì la gola. — È incredibile! — I segni sulla schiena stavano impallidendo…
La donna staccò le labbra per mormorare: — Adesso, adesso!
Fallada disse: — Sei sicuro di non volere che me ne vada?
Carlsen non rispose. Fece come la donna voleva, assorbendone brutalmente l’energia come se intendesse distruggerla. Sentiva l’ardore del suo corpo, e la stretta delle braccia quasi gli mozzava il respiro. Poi la stretta si allentò e le ginocchia si unirono di colpo, e subito la mente di lei si dischiuse.
Fallada aiutò Carlsen a sostenerla. Poi Carlsen prese Ellen in braccio e la portò in camera da letto. C’era una lampada rosata accesa, e le coperte erano già state scostate. La distese sul letto.
Fallada, dalla soglia, disse: — È la prima volta che sento di una donna che raggiunge l’orgasmo stando in piedi. Kinsey ne sarebbe stato affascinato.
Carlsen la coprì. La donna aveva i capelli appiccicati sulla fronte dal sudore. Una goccia di saliva le colava da un angolo della bocca. Lui spense la luce e uscì dalla stanza in silenzio.