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Quando Carlsen e Fallada uscirono, cominciava a piovere. Una pioggia leggera soffiata dal vento che veniva dalla brughiera. L’aria era profumata di eriche e ginestre. Carlsen fu colpito dalla forte sensazione di piacere che gli scorreva nel corpo come una carica di elettricità. Poi, come spenta con un interruttore, cessò. Ne restò perplesso ma un attimo dopo se n’era già dimenticato.

Fallada disse: — E ancora non sei riuscito a scoprire quello che ti interessava.

— Ho scoperto abbastanza — rispose.

Il prato adesso era immerso nell’oscurità. Potevano vedere la sagoma della cavalletta grazie alla vernice fosforescente. Dalla fila di basse costruzioni, un uomo veniva verso di loro, attraverso il prato.

La voce di Armstrong chiese: — Tutto bene?

Carlsen rispose: — Benissimo, grazie.

— Il vostro pilota ha deciso di andare a dormire. Siete sistemati là in fondo, le ultime tre stanze. — Indicò la fila di edifici illuminati.

Insieme tornarono al padiglione principale. L’ingresso era in penombra, illuminato soltanto dalla luce azzurrata della lampada per la notte. Nello studio trovarono Heseltine che camminava su e giù.

— Finalmente — disse vedendoli. — Cominciavo a preoccuparmi. — Si rivolse ad Armstrong: — Ho sentito un gran trambusto, di sopra… Qualcuno che gridava…

Senza scomporsi Armstrong disse: — Molti ricoverati soffrono di incubi.

Carlsen disse: — Se vi descrivessi un ricoverato, sareste in grado di dirmi chi è?

— È probabile. Se non ci riuscissi io, potrà diverlo sicuramente il capo infermiere.

— È un uomo alto circa uno e ottantadue, con il naso pronunciato, a becco, capelli rossi con una chiazza di calvizie.

Armstrong l’interruppe. — È Reeves — disse. — Jeff Reeves.

— L’infanticida? — fece Fallada.

— Proprio lui.

Carlsen disse: — Potete dirmi qualcosa di questo Reeves?

Armstrong disse: — Ecco… è qui da circa cinque anni. Un tipo subnormale. Ha il quoziente d’intelligenza d’un bambino di dieci anni. Ha commesso quasi tutti i suoi crimini nei periodi di luna piena… quattro omicidi e circa venti violenze carnali. Ci vollero due anni per prenderlo. La madre lo proteggeva.

Fallada disse: — Se ricordo bene, ha dichiarato di essere posseduto dal demonio.

— O da qualche diavolo non specificato. — Armstrong si rivolse a Carlsen. — Scusate se ve lo chiedo, ma come avete avuto questa descrizione?

— Dall’infermiera… Ellen Donaldson.

— E non poteva dirvi il nome?

— Non gliel’ho chiesto.

Armstrong si strinse nelle spalle. Carlsen sentiva che il direttore li sospettava di nascondergli qualcosa.

Heseltine chiese: — Quest’uomo è con gli altri prigionieri?

— Non ancora. Quando c’è luna piena diventa violento. Domani sarà luna piena, quindi è stato messo in isolamento.

Heseltine chiese a Carlsen: — Volete vederlo questa sera? — Carlsen scosse la testa. — Sarà meglio aspettare domani. Di giorno sono meno attivi.

Armstrong disse: — Volete che chiami Lamson, il capo infermiere? Lui potrebbe dirvi se Reeves ha mostrato qualche segno di… vampirismo. — L’ironia era appena percettibile nel suo tono.

— Non è necessario — disse Carlsen. — E poi non può aver notato niente, tranne forse che Reeves è un po’ meno stupido del solito.

Armstrong disse: — Allora chiediamoglielo. Sono molto curioso.

Carlsen si strinse nelle spalle. Armstrong l’interpretò come un consenso e premette un pulsante sull’apparecchio interno.

— Lamson, vi dispiace venire da me un momento? — disse.

Dopo un istante di silenzio Heseltine disse: — Io non riesco ancora a capire perché questa aliena abbia scelto un criminale subnormale. Non poteva scegliere una persona normale?

Carlsen rispose: — Scegliere un criminale, particolarmente uno psicopatico, è come entrare in una casa vuota. Inoltre quest’uomo credeva già d’essere posseduto da un demone. Non avrebbe quindi trovato niente di strano nell’essere posseduto da un vampiro.

— E l’infermiera? Ellen Donaldson non è una criminale.

— Non è tanto una questione di criminalità, quanto di sdoppiamento di personalità.

Fallada annuì. — È un assioma della psicologia. Chiunque sia preda di potenti impulsi del subconscio ha l’impressione che dentro di lui ci siano due persone.

Armstrong disse: — Se intendete dire che Ellen Donaldson soffre di una grave dissociazione della personalità, posso rispondere di non averlo mai notato.

Mentre Fallada stava per ribattere, Carlsen disse: — Non occorre che si verifichi una dissociazione del genere. La signorina Donaldson è frustrata sessualmente. Ha forti stimoli sessuali e non è sposata. Inoltre sente di non essere più tanto attraente. Così, siccome questa creatura aliena soddisfa i suoi più intimi impulsi, non si pone problemi.

Bussarono alla porta, e Armstrong aprì! Entrò un uomo mastodontico, con la corporatura di un sollevatore di pesi. Gli occhi gli brillarono quando riconobbe Fallada e Carlsen.

Armstrong gli mise una mano sulla spalla, e disse in tono esageratamente cordiale: — Questo è il mio prezioso aiuto e capo infermiere Fred Lamson. Fred, questi signori sono interessati a Reeves. — Lamson annuì. Avrebbe preferito una presentazione secondo le regole, ma evidentemente Armstrong non voleva prolungare il colloquio più del necessario. Carlsen notò, divertito, che Armstrong aveva rovinato il suo tentativo di cordialità con la sua impazienza e il suo snobismo. — Ditemi, Fred, avete notato qualche cambiamento in Reeves nelle ultime settimane? — chiese il direttore.

Lamson scosse la testa. — No.

Armstrong sorrise. — Niente, allora. Va bene. Grazie, Fred.

Lamson però non voleva essere cacciato via così in fretta. — Intendevo dire non nelle ultime settimane — riprese. — Ma da un paio di giorni mi sembra diverso dal solito.

— Diverso in che modo? — chiese Armstrong con impazienza.

— Non saprei con precisione…

Carlsen chiese: — Vi è sembrato forse più vivace, più attento?

Lamson si passò una mano sui capelli a spazzola. — Ecco… mi pare di sì. Vi dirò una cosa. Gli altri hanno la tendenza a prenderlo in giro quando è tranquillo. Ma ho notato che negli ultimi due giorni gli sono stati alla larga.

— Sarà perché ci stiamo avvicinando al periodo di luna piena — disse Armstrong.

Lamson scosse la testa in maniera decisa. — No. Quando si avvicina la luna piena, Reeves diventa teso e nervoso. Questa volta è diverso. È come ha detto questo signore. Sembra più vivace, più attento.

Fallada chiese: — Non avevate notato niente di simile, prima?

— Direi proprio di no. In generale succede il contrario.

Armstrong chiese: — Adesso è in isolamento?

— Sì. Lo mettiamo sempre in isolamento quando si avvicina la luna piena. Ma, secondo me, questa volta non ce n’era bisogno. Non mi è sembrato che… che…

Mentre si sforzava di trovare le parole giuste, Armstrong l’interruppe d’autorità. — Grazie, Fred. È tutto quello che volevamo sapere. Potete andare.

Notando la malcelata irritazione dell’uomo, Carlsen disse: — Ci siete stato davvero molto utile. Vi ringraziamo.

— Non c’è di che, signore. — Lamson sorrise e uscì.

Carlsen disse: — Un particolare da annotarci. La aliena non vuole attirare l’attenzione, ma non si rende conto che la personalità di uno psicopatico muta nel periodo di luna piena. E così finisce per attirare proprio quell’attenzione che vuole evitare.

Fallada chiese ad Armstrong: — Allora, cominciate a credere ai vampiri, adesso?

Armstrong disse, evasivamente: — È curioso… molto curioso.

Carlsen sbadigliò. — Temo che per me sia ora di andare a letto — disse, alzandosi. In circostanze normali sarebbe stato intimidito dall’autorità di Armstrong, ma ora, riuscendo a percepire chiaramente la malignità dell’uomo, la sua vanità mista al desiderio di sentirsi ammirato, provava solo antipatia e disgusto.