“Su un pianeta del sistema di Alpha Centauri, cominciammo la costruzione di una nave spaziale. La costruimmo immensa perché volevamo che ci ricordasse le grotte sottomarine del nostro mondo. Più di ventimila anni fa tornammo a visitare il vostro sistema solare. Speravamo di trovare esseri provenienti dal nostro pianeta, poiché sapevamo che i nostri intendevano tornare periodicamente per controllare i vostri progressi.
“Restammo delusi nella nostra speranza, ma rimanemmo. L’uomo terrestre abitava ancora nelle caverne e viveva di caccia. Gli insegnammo l’agricoltura, gli mostrammo come costruire le palafitte. E quando non ci fu altro per noi da fare, tornammo nel sistema di Alpha Centauri e riprendemmo le esplorazioni.”
Carlsen si alzò silenziosamente e andò alla porta. Gli altri erano così assorti nell’ascolto del racconto che non si accorsero quando lui uscì.
In corridoio incontrò l’infermiere Ken Norton. Gli chiese: — Dov’è Fred Lamson?
— A quest’ora è nel padiglione due. Se aspettate un attimo vado a chiamarlo.
Lamson scese dalle scale pochi minuti dopo. — Ho bisogno di un’altra dose di quel composto — gli disse Carlsen.
Lamson lo guardò sorpreso. — Ancora? Ma ne conoscete la potenza?
— Sì, ma vi prego di portarmene una terza dose.
— Va bene. Ve la porto subito.
Carlsen aspettò in corridoio. Da dietro la porta del gabinetto medico continuava ad arrivare la voce aliena. A quella distanza sembrava una voce manipolata dai circuiti di un calcolatore. Lo colpì inoltre il fatto che era diventata più forte.
Lamson tornò e gli diede una scatoletta di cartone. — Dentro c’è un’altra siringa pronta. Ma fate attenzione. Un’altra dose potrebbe ucciderlo.
— Non preoccupatevi — disse Carlsen.
— Che cosa ha combinato?
Carlsen gli diede un colpetto sulla spalla: — Se ve lo dicessi non mi credereste — disse. — Poi vi metteremo al corrente di tutto. Per il momento grazie.
Carlsen riaprì la porta dello studio. All’interno nessuno stava parlando. Heseltine si voltò un attimo a guardarlo. Evidentemente qualcuno aveva appena fatto una domanda. La voce, stranamente piatta, pareva stesse leggendo da un libro.
— Si rese necessario adottare forma umana per entrare in contatto con la vostra razza. Se esaminerete accuratamente quei corpi scoprirete che contengono silicone invece di carbonio.
Heseltine chiese: — Allora perché non vi siete messi in contatto con noi invece di sparire come avete fatto?
La risposta arrivò più in fretta di quanto aveva pensato Carlsen. — Il perché lo sapete. Io sono stato preso alla sprovvista e ho ucciso prima di poterlo evitare.
Vedendo Carlsen accanto al lettino con la siringa vicina al braccio nudo di Armstrong, Fallada chiese: — Cosa stai facendo?
La creatura s’interruppe, sorpresa dalla domanda. Carlsen iniettò il liquido. Quando tolse l’ago, una goccia di sangue affiorò sulla pelle.
Dopo un breve silenzio la voce disse: — Non capisco… — poi tacque.
Fallada disse: — Nemmeno io. — E rivolgendosi a Carlsen chiese: — Perché l’hai fatto?
Carlsen non rispose subito: stava controllando la respirazione di Armstrong. Poi disse: — Perché dobbiamo tornare subito a Londra.
Heseltine chiese: — Era necessario? Non vi fidate?
— No — rispose Carlsen in tono secco.
— Perché no? — chiese Fallada.
— Perché ci ha detto solo mezza verità. Vi spiegherò durante il viaggio. Spicciamoci. Aiutatemi a sollevarlo.
— Cosa avete intenzione di fare? — chiese Heseltine.
— Portarlo a Londra con noi.
Carlsen fermò il registratore, tolse la bobina incisa, e se la mise in tasca.
Il sergente Parker stava sonnecchiando sul prato, la camicia aperta fino alla cintura. Si mise a sedere e guardò sorpreso il corpo privo di conoscenza afflosciato nella sedia a rotelle. — Aiutateci a caricarlo — disse Heseltine. — Dobbiamo tornare a Londra al più presto. Quanto ci metteremo?
— Mezz’ora, se andiamo a piena velocità.
Ci vollero cinque minuti per sistemare il corpo inerte di Armstrong sui sedili posteriori della cavalletta. Trenta secondi dopo erano in aria. Lamson, uscito sulla scalinata d’ingresso, agitò una mano in un cenno di saluto mentre il velivolo saliva verticalmente sopra il prato.
Heseltine, ancora ansimante, disse: — Io non ho notato contraddizioni nella storia che ci ha raccontato.
— Era piena di contraddizioni. E ne avete notata una anche voi. Se hanno adottato forma umana per mettersi in contatto con noi, perché poi non l’hanno fatto?
— Mi sembra che l’abbia spiegato. Ha ucciso il giovane Adams senza premeditazione, perché è stata presa dal panico.
— Creature come quelle non conoscono il panico. Calcolano sempre ogni mossa. Ha spiegato forse perché erano in stato di animazione sospesa, quando li abbiamo trovati?
— Per far passare il tempo più in fretta. Noi forse non dormiamo durante i lunghi viaggi in aereo?
— In tal caso, perché è stato tanto difficile svegliarli?
— Non abbiamo avuto il tempo di chiederglielo.
Carlsen disse: — Non c’è bisogno di chiederlo. Il motivo è chiaro: volevano che noi li portassimo tutti sulla Terra. E una volta qui, sarebbero morti, uno a uno… e noi non avremmo mai sospettato di aver portato sulla Terra dei vampiri. Avremmo notato soltanto un improvviso aumento della criminalità, con omicidi di natura sadica eccetera.
Heseltine scosse la testa. — Non so se sono io eccezionalmente ingenuo, o voi insolitamente sospettoso. — Nel tono era implicito un rimprovero.
— Ripensiamo un po’ a questa storia. Prima di tutto, ci dice come la sua razza ha aiutato la nostra a evolversi. Questo può essere vero, anche se dobbiamo fidarci delle sue parole. Poi ci descrive l’incidente. Anche questo può essere vero. È nel seguito che ho notato le contraddizioni. Diventano parassiti di altre creature. Rubano su un pianeta i corpi di certe creature simili a polipi, poi tentano l’esperimento di nutrirsi con cibi normali, per vedere cosa succede. Accortisi che questo li fa invecchiare, tornano a nutrirsi di altre creature intelligenti.
— Senza distruggerle, però — disse Fallada. — Non ricordi? Come mungere le mucche, ha detto.
— Dimentichi che noi le mucche non solo le mungiamo, ma le mangiamo, anche — disse Carlsen. — Voleva cercare di convincerci che trattano le altre creature come loro simili. Ma io non ci credo. Secondo voi, perché si spostano da un pianeta all’altro? Perché sono predatori naturali e non possono resistere al bisogno di distruggere le loro vittime. Quando hanno distrutto tutta la vita di un pianeta, passano a un altro.
— Non ne abbiamo le prove — disse Fallada. — Potrebbe anche essere così, ma non ne sappiamo niente.
— La mia è una specie di intuizione. Tutto nel loro modo di comportarsi non mi ispira fiducia. Le altre creature di questa specie sono rimaste nello spazio a morire di fame, lentamente. Perché dovrebbero morire di fame se hanno imparato l’arte di “mungere” l’energia vitale? Se fosse così, perché non si sono portati sufficienti provviste, sufficiente energia, come facciamo noi quando partiamo per un viaggio di nove mesi nello spazio? La risposta è che non hanno potuto portare provviste perché avevano già svuotato la dispensa. E la Terra doveva essere la loro prossima dispensa!