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— Non serve a niente — disse Carlsen. — Prima di venire qui, ne abbiamo fatte diverse copie.

— Voglio anche quelle.

— Una è già alla stazione televisiva — aggiunse Carlsen.

— Allora dovete farvela ridare.

Carlsen lo guardò senza parlare. Vide un’ombra di incertezza negli occhi che tentavano di fargli abbassare lo sguardo, poi Jamieson disse in tono discorsivo: — O siete molto coraggioso o siete molto stupido. O forse l’uno e l’altro. — Mentre il Primo Ministro parlava, la sua faccia cambiò. Non fu un mutamento fisico, e la sua espressione rimase impassibile; ma gli occhi rivelarono l’esistenza di una diversa personalità. Lo sguardo si fece d’un tratto duro e remoto. Per i tre uomini fu come trovarsi in presenza di un despota con poteri illimitati. Quando Jamieson parlò, anche la voce suonò diversa. Persa l’ampollosità bonaria e cortese, era adesso spersonalizzata, con un timbro metallico. Il tono freddo, distaccato, diede i brividi a Carlsen.

— Dottor Fallada, chiamate il laboratorio e dite al vostro assistente di mandare qui il dottor Armstrong — disse Jamieson.

— Dunque sapevate già — disse Fallada.

Jamieson lo ignorò. Premette un pulsante, e subito comparve la ragazza gallese.

— Vraal, chiama il laboratorio del dottor Fallada sulla linea privata. Il dottore vuole parlare col suo assistente, Grey.

Fallada fece per alzarsi, poi sulla faccia gli passò un’espressione di sorpresa, e lui ricadde sulla poltrona. Carlsen provò un improvviso senso di languore, come se gli avessero iniettato un anestetico. Tentò di alzarsi, ma non gli fu possibile: il sedile si era trasformato in una calamita che lo tratteneva con forza. Chiuse gli occhi, con la sensazione che il suo corpo fosse diventato un masso inamovibile.

La ragazza premette un tasto collegato a un elenco elettronico, e compose un numero. Quando una voce femminile rispose, Vraal disse: — Il dottor Fallada desidera parlare col dottor Grey.

Carlsen notò lo stesso curioso timbro metallico nella voce della ragazza gallese.

Jamieson e la ragazza guardavano Fallada. Lo scienziato ebbe un sussulto, poi si irrigidì, i muscoli della faccia ebbero un movimento convulso. Mentre i due continuavano a fissarlo, Fallada si alzò e si avvicinò con mosse rigide allo schermo.

— Non lo fare, Hans! — disse Heseltine.

Ma Fallada non l’ascoltò. Si mise davanti al teleschermo. — Salve, Norman — disse con voce roca. — Mandatemi Armstrong al dieci di Downing Street. Potete farlo subito?

— Sì, dottor Fallada. E l’iniezione ipnotica? Devo fargliene un’altra?

— No, portatelo così com’è. Voglio che l’effetto della dose precedente gli passi.

In tono preoccupato Grey chiese: — Vi sentite bene?

Fallada sorrise. — Sì, benissimo. Sono solo un po’ stanco. Prendete la cavalletta dell’Istituto.

— D’accordo.

La ragazza allungò la mano e chiuse la comunicazione. Fallada barcollò e dovette appoggiarsi alla scrivania. Sembrava invecchiato di colpo.

Con uno sforzo doloroso, Heseltine si rivolse a Carlsen. — Cosa ci stanno facendo? — chiese con voce impastata.

— Si servono di pressione-volontà. Non preoccupatevi. Non possono continuare a lungo. È una cosa snervante.

Con la sua nuova voce atona, Jamieson disse: — Continueremo fin che sarà necessario.

Fallada ricadde sulla sua poltrona. Aveva la faccia lucida di sudore. Carlsen provò un forte rimorso per averlo esposto a quella estrema umiliazione: l’uso del proprio corpo e della propria voce al servizio della volontà di un altro. Gli disse: — Hans, non cedere al sonno. Finché lotti e ti opponi, non possono piegare la tua resistenza. L’altro ha tentato con me questa notte, ma non c’è riuscito.

Jamieson lo guardò con curiosità. — Sono molte le cose che ancora non sappiamo sul vostro conto, Carlsen. Per esempio, come fate a sapere della pressione-volontà. — Guardò Fallada ed Heseltine. — Non fatevi fuorviare da quella che è stata la sua esperienza. Lui ha avuto tempo di esercitarsi a opporre resistenza. Voi, no. Inoltre, non avete scelta. Vi faremo una proposta.

Tacque. Heseltine disse: — Sentiamola.

La voce disse: — Abbiamo bisogno della vostra collaborazione, e le alternative sono due. O voi fate quello che vi diciamo, o noi vi uccidiamo per entrare nei vostri corpi.

Carlsen disse: — In ogni caso significa prendere possesso dei nostri corpi.

— Nel caso crediate che sia spiacevole, posso rassicurarvi — disse Jamieson. Si rivolse alla ragazza: — Vraal, dai una dimostrazione all’Alto Commissario Heseltine.

Vraal andò dietro la poltrona di Heseltine, e gli piegò leggermente all’indietro la testa mettendogli una mano sulla fronte. Poi gli appoggiò l’altra mano sulla gola. Osservando la faccia di Heseltine, Carlsen si accorse del tentativo di resistenza. Ma subito il Commissario crollò. Fece un nuovo tentativo di opporsi, poi si arrese. Gli occhi di Heseltine si chiusero, il suo respiro si fece profondo.

Jamieson disse: — Basta così, Vraal. — La ragazza staccò le mani con una certa riluttanza, ma la destra rimase posata leggermente sulla spalla di Heseltine. — Basta, ho detto! — scattò Jamieson.

La mano ricadde, Heseltine aprì gli occhi lentamente e guardò Carlsen senza vederlo.

La ragazza si voltò verso Olaf. Aveva le labbra umide. Jamieson le disse: — No. Non c’è bisogno di dimostrazioni per il Comandante Carlsen. Ne ha già avute.

Il vento fece svolazzare le tende della finestra. Jamieson si sistemò meglio sulla poltrona, fissando i tre uomini. La sua faccia sembrava di pietra. Nella stanza stagnava un silenzio innaturale. Il rumore del traffico sembrava lontano. Carlsen raccolse tutte le sue energie per non cedere alla sonnolenza, mentre Heseltine e Fallada erano già sul punto di addormentarsi. L’atmosfera non era di panico, ma di languore quasi sessuale. Il tempo sembrava aver perso importanza. Nella mente di Carlsen passarono ricordi lontani, favole dell’infanzia: i campi di papaveri di “Il mago di Oz”, la casetta di pandizucchero di “Hansel e Gretel”… Si sentiva completamente rilassato, con la sensazione che tutto andava bene. Quando cercò di dirsi che era in pericolo, non gliene venne alcun senso d’allarme. Una specie di magica nebbia dorata gli offuscava la mente confondendogli i perir sieri.

Si udì il suono di un campanello, e Carlsen si rese conto di essersi addormentato. Jamieson disse: — Questo dev’essere il nostro amico.

Uscì. Quando tornò dopo qualche minuto, Carlsen raccolse energia sufficiente per girarsi a guardare. Con Jamieson c’era Armstrong. Aveva la faccia cerea e camminava lentamente, con movimenti goffi. Jamieson lo accompagnò a una poltrona. Armstrong guardò Carlsen, poi Fallada ed Heseltine, senza dimostrare interesse. Aveva il respiro pesante e gli occhi arrossati.

Jamieson gli disse: — Guardatemi! — Armstrong alzò faticosamente la testa.

Jamieson l’afferrò per i capelli, facendogli fare una smorfia, poi gli spinse indietro la testa e lo guardò negli occhi.

Armstrong tossì. Per qualche secondo nessuno dei due si mosse. Poi la faccia di Armstrong cambiò. La pelle floscia sembrò riprendere tono, la linea della bocca si indurì, lo sguardo diventò vivo e penetrante.

Si scosse di dosso la mano di Jamieson.

— Va meglio, grazie — disse. — Mi hanno dato tre dosi di quella maledetta roba. — Guardò Carlsen con collera fredda. E Carlsen sentì l’urto della sua volontà come se fosse stato uno schiaffo.

— Se deve essere ucciso, lo farò io — disse Armstrong.

La ragazza disse: — L’ha già promesso a me.

— Sarà lui a scegliere — disse Jamieson. E si rivolse a Carlsen. — Che cosa preferite — gli chiese — essere invasato da lei, o distrutto da lui? Decidete alla svelta.