Jamieson bevette un secondo bicchiere, più lentamente, questo. Poi disse: — Miei cari signori, abbiamo superato tutti una eccezionale prova del fuoco. Grazie a Dio è finita.
Heseltine disse: — Ma che ne è stato dei vampiri?
Carlsen percepì un sussulto d’allarme in Jamieson. Poi il Primo Ministro disse: — Se ne sono andati. A noi non interessa altro!
Fallada chiese a Carlsen: — Tu sai cos’è successo?
— Credo di sì.
Armstrong disse: — Ormai, che cosa importa? — seguiva l’imbeccata di Jamieson.
Fallada lo ignorò. — Perché sono svaniti tutti? — chiese.
Carlsen cercò di trovare le parole giuste. Riusciva a capire perfettamente ma gli era difficile esprimersi. — Si potrebbe dire che è stato una specie di suicidio. Avevano dimenticato…
Jamieson intervenne. — Dimenticato cosa? — La sua curiosità era più forte della paura di perdere il controllo della situazione.
— Che noi prendiamo energia dalla stessa fonte — concluse Carlsen. — Sarebbe come rubare mele dalla dispensa, quando c’è a disposizione tutto il frutteto.
Fallada insistette: — Ma che cosa ne è stato di loro?
— L’altro alieno ha dato loro tutta l’energia di cui avevano bisogno per tornare nel loro sistema solare — disse Carlsen. — Non ha mentito quando ha detto che non sarebbero stati puniti. La loro legge non conosce punizioni. Ma li ha avvertiti che sarebbero stati giudicati. Voleva che sapessero cosa li aspettava. E mentre l’energia scorreva dentro di loro, cessarono di essere vampiri. Tornarono a essere degli dei… perché è questo che erano in origine. E quindi sono stati in grado di giudicare da soli se era stato giusto diventare vampiri. E da soli hanno emesso la sentenza e si sono condannati all’estinzione.
— Volete dire che avrebbero potuto vivere e tornare sul loro pianeta? — chiese Jamieson.
— Sì. Spettava unicamente a loro decidere.
Jamieson disse: — Dovevamo essere pazzi!
— No, solo totalmente onesti, incapaci di autoingannarsi. Come vampiri, erano esperti in quest’arte, ma messi faccia a faccia con la verità sapevano riconoscerla.
Si rendeva conto che le sue parole stavano mettendo a disagio Jamieson, gli istillavano un dubbio che poteva facilmente tramutarsi in panico. Il Primo Ministro disse: — Secondo la religione cristiana nessun peccato è perdonabile.
— Ma non capite? I vampiri avrebbero potuto dirsi che non erano realmente da biasimare, o che avrebbero controbilanciato il male fatto con future buone azioni. Ma erano diventati troppo consapevoli per abbandonarsi a qualsiasi tipo di illusione. E hanno capito di colpo quello che avevano fatto e quello che dovevano fare.
— E così hanno dovuto morire?
— No, non vi erano costretti. È stata una loro scelta. Una volta avete detto che il corpo di una persona uccisa da un vampiro è paragonabile a un pneumatico con cento fori. Loro erano così. È per questo che sono svaniti.
Heseltine chiese: — E gli altri? Quelli che sono rimasti sulla “Stranger”?
— Anche loro dovranno scegliere.
— E qualcuno di loro sceglierà di continuare a vivere? — chiese Jamieson.
Tenne lo sguardo fisso negli occhi di Carlsen, e Carlsen fu sorpreso da come l’ansia di Jamieson gli si comunicava. Sentì svanire il disgusto, e subentrare la compassione. Disse: — Non posso saperlo, naturalmente. Ma è possibile.
— Non… non avete modo di scoprirlo?
— No.
Jamieson distolse lo sguardo. Carlsen sentì distintamente il suo sollievo. L’orologio del Big Ben cominciò a suonare le ore. Contarono i rintocchi: mezzogiorno. Mentre l’ultima eco svaniva, Jamieson si alzò. Sembrava aver ritrovato nuovo vigore.
— Allora, signori, se mi scusate… credo che abbiamo tutti bisogno di un po’ di tempo per riposare e riprenderci da tutte quelle emozioni — disse. E mentre Carlsen si alzava, aggiunse in fretta: — Ma prima di lasciarci, posso avere la certezza che siamo tutti d’accordo sulla necessità di mantenere il silenzio, almeno per il momento?
Fallada disse, incerto: — Credo di sì.
— Non lo chiedo per me personalmente — disse Jamieson. — O nell’interesse del dottor Armstrong o in quello della signorina Jones. Questa è una faccenda che ci riguarda tutti alla stessa maniera. — Carlsen percepì che Jamieson stava riprendendo fiducia. Jamieson si curvò in avanti, appoggiandosi alla scrivania con la punta delle mani. — Se raccontassimo questa storia, nessuno ci crederebbe — aggiunse Jamieson. — Sono convinto che ci prenderebbero per pazzi, e ci rinchiuderebbero nel più vicino manicomio. E, francamente, sarebbe colpa nostra. Perché mai la gente dovrebbe credere a una storia simile?
— E perché non dovrebbero crederci? — chiese Fallada.
— Ma così sarebbe, mio caro dottore! L’opposizione per prima spargerebbe la voce che siamo diventati matti, o che ci siamo inventato tutto per sordidi motivi personali. Io mi sentirei costretto a dare le dimissioni, e non perché mi vergogni della parte che ho avuto, dato che non ne ho alcuna responsabilità, ma perché nuocerei al mio partito. Anche l’Alto Commissario dovrebbe dimettersi. Perché, signori miei, è ovvio che ci tireremmo addosso fango e scandalo. Ne saremmo tutti danneggiati.
Carlsen stava osservando i processi mentali di Jamieson con interesse divertito. Quando aveva cominciato a parlare, la maggiore preoccupazione del Primo Ministro era stata quella di assicurarsi il loro silenzio. Dopo un paio di frasi si era convinto che i suoi motivi erano completamente disinteressati. Carlsen pensò che la pietà provata poco prima era stata sprecata.
— Ma è giusto mettere i nostri interessi più o meno privati davanti a tutto, e nascondere questa storia al mondo? — disse. — La gente non ha diritto di essere informata?
— Comandante, questa è una domanda astratta — disse Jamieson. — Come uomo politico, io sono pragmatico. Ho detto semplicemente che ci renderemmo la vita intollerabile. Senza contare il lato morale. Io sono il Primo Ministro di questo paese. Come tale, devo agire nell’interesse della Gran Bretagna. Questa faccenda potrebbe diventare uno scandalo che ci danneggerebbe agli occhi del mondo. Abbiamo il diritto di correre questo rischio?
Heseltine stava per replicare, ma Jamieson lo fermò alzando una mano, e continuò: — Voglio dirvi in tutta sincerità che quello che è successo mi ha lasciato un profondo senso di inutilità. Con tutta franchezza vi dico che passerò il resto della mia vita a ponderarne il significato. Pensando al pericolo scampato mi vengono le vertigini, come se fossi sull’orlo di un abisso. Abbiamo affrontato quel pericolo insieme, e, grazie a Dio, abbiamo trionfato. Sento che questo è un legame fra noi. Aggiungo che mi farò parte diligente perché riceviate tutti il giusto riconoscimento per l’opera prestata. Sono certo che il nostro paese non si dimostrerà ingrato. — Jamieson si versò un altro whisky e sorrise a Heseltine. — Allora, posso contare sulla vostra approvazione?
Heseltine disse: — Come volete signor Primo Ministro.
— Comandante Carlsen?
Carlsen disse: — Se la mettete su questo piano, come posso non approvare?
Jamieson credette di sentire un tono di scherno nelle parole del Comandante, ma la sua espressione seria lo rassicurò. Si rivolse a Fallada. — Voi, dottore?
— E il mio libro? — disse Fallada. — Dovrei rinunciare a scriverlo? — Si capì che aveva fatto uno sforzo per parlare in tono calmo.
— Il vostro libro? — chiese Jamieson, sorpreso.
— Sì, sull’anatomia e la psicologia dei vampiri.
— Santo cielo, no! Che razza di idea! Il libro darà un importante contributo alla scienza. Vi farò anzi avere tutto l’appoggio dell’Associazione Medica. No, no, dottor Fallada, il libro deve essere pubblicato. E vi frutterà la nomina a cavaliere.
— Non mi sembra il caso — disse Fallada, seccato, e si alzò. Jamieson fece finta di non aver notato la sua irritazione.