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— Non prendiamo un altro corpo? Solo quei due? — chiese Murchison deluso.

— Due bastano, non ti sembra?

— Ma c’è ancora tanto posto nella cella frigorifera!

Carlsen rise. — Va bene. Ancora uno allora.

Murchison si diresse subito verso la tomba della ragazza bionda, come Carlsen si era aspettato. Il Comandante rimase a guardare il raggio del laser che incideva la spessa parete spargendo intorno scintille rossastre.

Tagliato l’ultimo angolo, la lastra oscillò, Murchison barcollò in avanti, e il laser, diretto contro il pavimento, vi scavò un buco.

— Ehi, attento! Ti sei fatto male? — disse Carlsen.

— No. Scusami capo. — Aveva la voce incerta. — Di colpo mi è piombata addosso la stanchezza.

Carlsen lo osservò attentamente attraverso il casco. Murchison aveva la faccia stanca e tirata.

— Torna sulla “Hermes” Bill, e manda qui Dave e Lloyds con un altro contenitore.

Si avvicinò al capezzale. Questa volta, invece di servirsi del coltello, volle tentare un esperimento. Concentrò lo sguardo sul lenzuolo e gli ordinò di ritirarsi. Per un attimo non accadde niente, poi le cinghie metalliche sotto il telo si ritrassero col solito scatto. Subito dopo il lenzuolo scivolò di lato e sparì in un’invisibile fessura dell’orlo.

Carlsen disse: — Certo è così.

— Cosa? — chiese Craigie che da bordo della “Hermes” aveva sentito.

— Ho fatto scattare le cinghie solo ordinando loro di farlo. Ti rendi conto di cosa significa?

— Tecnologia ad alto livello, eh?

— Non solo. Significa soprattutto che queste creature probabilmente sono ancora vive. Le cinghie sono state concepite in modo da rispondere al comando mentale nel momento in cui le creature si sveglieranno. Chissà se… — Fissò la lastra metallica ordinando mentalmente alle cinghie di riallacciarsi, ma non accadde niente. — Già, è logico — disse. — Dopo essersi svegliati non avrebbero più bisogno delle cinghie. Ma come potrebbero uscire, una volta liberi?

— Dall’astronave?

— No. Da questi cubi sigillati.

Appena espresso il pensiero fissò una parete ordinandole l’apertura di una porta. Fu tutta la parete a scorrere di lato.

Proprio in quel momento arrivarono, fluttuando nel vuoto, Ives e Steinberg, con un altro contenitore. — Non state a fare acrobazie per entrare dall’apertura — disse Carlsen. — Passate dalla parete.

— Come diavolo hai fatto?

— Così. — Fissò la parete ordinandole di richiudersi. La parete si chiuse.

— Guardate, adesso. — Dall’interno del cubo, ordinò nuovamente alla parete di aprirsi. La parete ubbidì e Carlsen uscì dal cubo.

— Visto? — disse. — Ubbidisce al pensiero. Ma solo dall’interno. — Riprovò a dare un ordine mentale dall’esterno, ma le pareti non si mossero d’un millimetro. — Ecco. I meccanismi funzionano solo se comandati dall’interno.

Gli uomini stavano già guardando la ragazza. Era più snella dell’altra e aveva qualche anno di più, ma la carne era solida e liscia.

— Andiamo. Torniamo sulla “Hermes”.

Mentre si toglievano le tute spaziali nella camera stagna, Carlsen notò che sia Ives Lloyd sia Dave Steinberg sembravano stravolti. Ives si passava le mani sugli occhi.

— Ho bisogno di un buon sonno — disse.

— Anch’io — disse Steinberg.

— Andate a riposarvi. Ve lo meritate. Lasciate la ragazza, però… — disse Carlsen.

In tono serio Steinberg rispose: — Credimi, sono così esausto che se anche fosse viva non saprei proprio cosa farne.

Mentre si avviavano verso la cabina di comando, Craigie disse: — Abbiamo ricevuto un nuovo ordine dalla base lunare. Bisogna filmare tutto l’interno dell’astronave, lavoro di un giorno, e poi partire subito per la Terra.

In Hyde Park fiorivano i narcisi. Carlsen stava riposando su una sedia a sdraio, gli occhi chiusi, godendosi la bella giornata d’aprile. Era tornato da tre mesi e continuava a trovare tutto talmente bello da dargli quasi dolore.

Trovava penoso sopportare la gravità terrestre, quindi spesso si trovava in uno stato di piacevole spossatezza, quasi fosse convalescente.

Vicino a lui una voce disse: — Scusate, ma non siete il capitano Carlsen?

Aprì gli occhi a malincuore. Ecco una delle seccature della celebrità: gli estranei che lo abbordavano per la strada.

Davanti a lui c’era un giovanotto robusto. Stava lì in controluce, mani in tasca. Carlsen lo guardò corrugando la fronte.

— Non vi ricordate di me? Sono Seth Adams.

Il nome gli ricordava qualcosa, ma lui non sapeva cosa. Disse, tanto per dire: — Ah, sì…

— Mia madre è una vostra amica… Violet Mapleson.

— Sì. Certo. — Adesso ricordava.

— Vi dispiace se parliamo un momento?

Il giovanotto indicò la sedia a sdraio accanto a quella di Carlsen.

— Prego. Accomodatevi — disse Carlsen, rassegnato.

Una voce femminile chiamò: — Seth, vieni o no? — Poi la ragazza si avvicinò. Era vestita di bianco, era carina, e aveva un pechinese al guinzaglio. Il giovanotto le diede un’occhiataccia. — Sì, fra un momento… — ma ormai la ragazza era davanti a Carlsen. A disagio, il giovanotto guardò il capitano. — Ti presento il capitano Olaf Carlsen, vecchio amico di mia madre — disse.

Carlsen si alzò e porse la mano alla ragazza. Lei spalancò gli occhi. — Oh, il Capitano Carlsen! Che bellezza! Avevo tanta voglia di conoscervi… Queenie, sta’ buona! — Il pechinese si era messo ad abbaiare furiosamente contro Carlsen. — Oh, Cristo! — imprecò Seth alzando gli occhi al cielo.

— Non importa — disse Carlsen chinandosi ad accarezzare il pechinese.

— State attento che morde! — disse la ragazza. Ma il cane smise di abbaiare e leccò la mano di Carlsen dopo averla debitamente annusata.

— Oh! Non ha mai fatto così con gli estranei! — esclamò la ragazza.

— Senti, Charlotte — disse Seth — ti spiace andare a casa da sola? Dovrei parlare un momento col Capitano. — Prese la ragazza per il gomito, e il pechinese si mise ad abbaiargli contro.

— Smettila, mostriciattolo! — gli gridò Seth, e il cane si rifugiò fra le caviglie della ragazza. Seth si rivolse a Carlsen con un sorriso ingraziante. — Ci scusate un momento? — disse trascinando con sé la ragazza. Carlsen accennò un mezzo inchino e si rimise a sedere osservando i due giovani con aria ironica. Quel Seth era tale e quale Violet, prepotente e tiranno quando voleva qualcosa.

Venticinque anni prima Carlsen era stato fidanzato con Violet Mapleson, figlia del Comandante Vic Mapleson, il primo uomo che aveva messo piede su Marte.

Quando Carlsen era tornato dal suo primo viaggio di tre mesi nello spazio, l’aveva trovata sposata con Dana Adams, attore della televisione. Il matrimonio era durato due anni, poi lei aveva lasciato Adams per sposare un armatore italiano. Adesso, dopo tre divorzi, Violet era ricchissima.

Carlsen udì la ragazza dire: — Che maniere! — Evidentemente lei avrebbe voluto restare e parlare con Carlsen. Ma Seth era fermamente deciso a mandarla via. Evidente che Seth aveva l’abitudine di fare i suoi comodi.

Pochi minuti dopo la ragazza se ne andò senza voltarsi. Seth tornò da Carlsen e si sedette sulla sdraio vicina. Sorrideva.

— Sarete stufo di tutte le donne che cadono in estasi davanti a voi!

Carlsen cercò di dominare la sua irritazione. — Non è un problema — disse. — Comunque mi è sembrata una ragazza simpatica.

Con magnanimità, Seth disse: — Sì, è simpatica. Ma io volevo parlare con voi, da solo. Mi sono infuriato quando mia madre mi ha detto che l’avevate portata a cena e lei… lei non aveva nemmeno pensato a presentarci.