— Già è vero. È stata una cena tranquilla…
Violet l’aveva cercato appena lui era tornato sulla Terra, e gli aveva proposto una cena a casa sua. Conoscendola bene, Carlsen sapeva che sarebbe stata una serata in grande stile, con lui come attrazione. Si era difeso dicendo che era troppo stanco, il che era vero, e le aveva chiesto di cenare invece loro due al “Savoy”. Violet aveva accettato con buona grazia, e così avevano passato una piacevole serata a parlare dei vecchi tempi. Da allora Carlsen aveva inventato scusa su scusa per evitare di andare a cena a casa di Violet.
Seth si protese in avanti. — Sentite, sarà meglio che metta le carte in tavola: lavoro per un giornale.
— Oh, capisco.
— Forse vi sorprenderà… Il fatto è che mio padre è al verde, e mia madre è tutt’altro che generosa con me… Lei si preoccupa unicamente dei suoi ricevimenti di fine settimana. Al giornale danno cento miseri dollari per una colonna di pettegolezzi sulla “Gazzette”.
Carlsen fece un sorriso di comprensione. Dieci anni prima avrebbe provato una violenta antipatia per quel giovanotto viziato, con tanti capelli ondulati e le labbra sensuali. Adesso l’ascoltava con distacco, chiedendosi come avrebbe potuto abbreviare l’incontro. Chiese: — Volete intervistarmi?
— Sarebbe fantastico… — Dal tono, Carlsen capì che il giovane aveva in mente qualcosa di più. Seth sbirciò Carlsen, e fidando nella sua comprensione disse: — Sarebbe possibile?
Carlsen sorrise. — Direi di sì. Ma c’è un problema. L’istituto ricerche ha indetto una conferenza stampa per le dieci di domani mattina. Io ci sarò. Credete che al vostro direttore possa interessare una seconda intervista?
— È proprio per questo che volevo intervistarvi prima della conferenza stampa.
— Credete che la preferenza potrebbe andare a un’intervista non ufficiale?
— Sono convinto di sì se nella mia si dicessero cose più interessanti che nell’altra.
— Capisco. Avete in mente qualcosa di particolare?
— Ecco, sarebbe davvero un grosso colpo giornalistico se… — Seth Adams stava usando il tono di un ragazzo che parla con il suo idolo di calcio. — Non mi importa se mi mandate al diavolo… io ve lo dico lo stesso… ecco, sarebbe magnifico se potessi entrare nel laboratorio a dare un’occhiata a quelle creature.
Carlsen rise. — Non si può dire che non avete ambizioni.
— Già… — L’espressione di Seth si incupì: l’aveva preso come un rimprovero. — Oscar Phipps del “Tribune” però li ha visti.
— Phipps è un vecchio amico del direttore del laboratorio.
— Lo so. Voi però, per parlare chiaro, siete un vecchio amico di mia madre.
Seth sorrise con aria carica di sottintesi, e Carlsen si rese conto che il giovanotto credeva che lui e sua madre fossero amanti. Forse credeva persino che lui, Carlsen, fosse il suo vero padre.
Per guadagnare tempo, disse: — Non mi sembra però che l’argomento sia adatto a una rubrica di pettegolezzi.
— Certo che no. Ma è proprio qui il punto. Per parlare chiaro, un cronista mondano non è nessuno. Ma se potessi avere un’intervista esclusiva con voi e vedere il laboratorio spaziale, diventerei subito un giornalista serio.
Carlsen si guardò in giro distrattamente, pensando che non gli piaceva la gente che usava come intercalare “per parlare chiaro”. D’altro canto si sentiva un po’ colpevole nei riguardi di Violet. Se avesse rilasciato un’intervista esclusiva a suo figlio si sarebbe disobbligato. Disse: — Dunque volete portare via il posto a un collega?
— Non è che lo voglia, ma se va così… — Gli occhi di Seth brillavano di speranza. Sentiva di aver vinto.
Carlsen sospirò. — D’accordo — disse. Guardò l’orologio. — Andiamo.
— Adesso subito? — Seth pareva non credere alla sua fortuna.
— Sarà meglio, se volete scrivere quell’articolo.
Camminando verso Marble Arch in cerca di un tassi, Seth chiese: — Sarà possibile fare un paio di foto, nel laboratorio?
— Assolutamente impossibile. Severamente proibito: niente macchine fotografiche. Dovreste saperlo.
— Sì, certo.
Nel traffico intenso del pomeriggio, il tassi ci impiegò parecchio da Park Lane a Whitehall. Arrivarono verso le cinque, quando già cominciava a imbrunire. Come aveva previsto, quasi tutto il personale se n’era andato. Il vecchio portiere salutò il capitano.
— Questo giovanotto è con voi? — gli chiese.
— Sì. Andiamo un momento al Club.
Il portiere avrebbe dovuto chiedere a Seth il tesserino, ma poiché conosceva Carlsen da vent’anni, li lasciò passare.
Carlsen si servì del suo tesserino perforato per chiamare la cabina dell’ascensore. Nell’edificio non c’erano scale, quindi nessuno che non fosse in possesso della speciale tessera poteva arrivare oltre l’atrio.
— Andiamo davvero al Club? — chiese Seth.
— Sì. Voglio bere qualcosa.
— Non possiamo vedere il laboratorio, prima?
— Perché no?
Mentre percorrevano il corridoio, Seth disse: — Non ho parole per esprimere la mia riconoscenza. — Alla riconoscenza di Seth, il capitano non credeva gran che. Aveva l’impressione che il giovane considerasse l’appagamento dei suoi desideri un diritto naturale.
A prima vista il laboratorio sembrò vuoto. Poi un giovane assistente in camice bianco uscì dalla stanza dei campioni.
— Buona sera, Comandante. Siete venuto a vedere il film?
— Quale film? — chiese Carlsen.
— La pellicola mandataci dalla “Vega”. È arrivata questa mattina.
La “Vega” era una delle astronavi mandate a fare una nuova esplorazione del misterioso relitto. Le due unità spaziali potevano raggiungere la velocità di sedici milioni di chilometri al giorno.
— Bene. Che novità ci sono?
— Hanno trovato un altro squarcio nella “Stranger”.
Era con quel nome che la stampa aveva battezzato l’astronave alla deriva.
— Grande?
— Parecchio. Dieci metri.
— Incredibile! — Potendo, Carlsen sarebbe corso subito di sopra a vedere. Ma c’era Seth. Il capitano fece le presentazioni. — Seth Adams… Gerald… ho dimenticato il vostro cognome…
— Pike, Comandante.
— Ecco… Pike. A che ora ve ne andate, Gerald?
— Fra una decina di minuti. Perché? Avete bisogno di me?
— No, non importa. Volevo che qualcuno mostrasse il laboratorio al signor Adams mentre io vado di sopra…
Seth disse: — Se avete fretta, forse potrei vedere solo gli alieni.
— Certo, andiamo. — Carlsen precedette i due giovani nella stanza dei campioni. Lungo la parete di fondo erano stati installati di recente lunghi cassetti scorrevoli simili alle lastre di un obitorio. — Sapete dove sono, Gerald? — chiese il capitano.
— Certo, signore. Ora ve li mostro.
Gerald fece uscire un cassetto dalla parete. Dentro c’era il corpo dell’uomo. Aveva ancora gli occhi spalancati e lo sguardo fisso.
Carlsen disse: — Che strano, sembra più vivo di quando l’ho visto l’ultima volta.
Gerald Pike disse: — Sfido, è vivo!
Seth chiese: — Ne siamo sicuri?
— Certo — disse Carlsen. — In caso contrario a quest’ora si sarebbe decomposto.
— Si può svegliarlo?
— Se è possibile, non sappiamo come. Il suo campo vitale è forte, e questo significa che è vivo. Il campo sparisce completamente dopo un certo tempo dalla morte. È in una specie di trance, ma non siamo ancora riusciti a capire come rianimarlo.
Gerald Pike aprì gli altri due cassetti. I due corpi nudi erano esattamente come Carlsen li ricordava, ma le facce non erano più cadaveriche. Le due donne sembravano addormentate. Seth le guardò, affascinato. — Sono belle! — disse con voce strozzata, e allungò una mano. — Posso…