— Puoi prestarmelo per qualche tempo?
La vecchia strega staccò la mano dal gattino e la alzò in un gesto regale che significava chiaramente: "Volentieri. È tuo".
— Sai, maestro Alder fa dei sogni che lo turbano, e ho pensato che forse la vicinanza di un animale di notte potrebbe alleviare il suo turbamento.
Muschio annuì solenne e, guardando il giovane, infilò la mano sotto il micino e lo sollevò verso di lui. Lo prese circospetto. Il gattino non ringhiò, né cercò di mordere. Gli si arrampicò lungo il braccio e gli si aggrappò al collo sotto i capelli, che portava raccolti sulla nuca.
Mentre tornavano alla casa del vecchio mago, con il gattino infilato nella camicia di Alder, Sparviere spiegò: — Una volta, quando ero nuovo del mestiere, mi chiesero di guarire un bambino malato di febbre rossa. Sapevo che il piccolo stava morendo, ma non volevo lasciarlo andare. Cercai di seguirlo. Di riportarlo indietro. Oltre il muro di pietra… E così, con il corpo qua, caddi accanto al letto, giacendo a terra come se anch’io fossi morto. Una strega presente capì cosa era successo, e mi fece portare a casa mia e mettere a letto. E nella mia abitazione c’era un animale che aveva fatto amicizia con me quando ero bambino a Roke, una creatura selvatica venuta da me spontaneamente e rimasta con me. Un otak. Li conosci? Non credo che ci siano nel Nord.
Alder esitò. Rispose: — Ne ho sentito parlare solo in quella parte delle gesta che narra come… come il mago giunse alla corte di Terrenon a Osskil. L’otak cercò di avvisarlo che c’era un gebbeth che gli stava appresso. E il mago si liberò del gebbeth, ma il piccolo animale fu preso e ucciso.
Sparviere proseguì senza parlare per una ventina di passi. — Sì — fece poi. — È questo che si narra. Ebbene, anche il mio otak mi salvò la vita quando a causa del mio comportamento folle mi ritrovai dall’altra parte del muro, con il corpo che giaceva qui e la mia anima smarrita là. L’otak venne da me e mi lavò, come lavano se stessi e i loro piccoli, come fanno i gatti, con una lingua asciutta, pazientemente, toccandomi e riportandomi indietro con il suo tocco, riportandomi nel mio corpo. E il dono che l’animale mi fece non fu solo la vita, ma una conoscenza profonda quanto quello che ho imparato a Roke… Purtroppo, dimentico tutto il mio sapere… Una conoscenza, come ho detto, ma anche un mistero. Qual è la differenza tra noi e gli animali? Il linguaggio? Tutti gli animali parlano in qualche modo, dicendo "vieni" e "bada" e molte altre cose; però non possono narrare storie, e non possono dire bugie. Mentre noi possiamo… Ma i draghi parlano: parlano la vera lingua, la Lingua della creazione, in cui non ci sono bugie, in cui narrare la storia equivale a far sì che la storia si compia! Eppure noi chiamiamo i draghi "animali"… Dunque, forse la differenza non è la lingua. Forse consiste in questo: gli animali non agiscono né bene né male. Fanno ciò che devono fare. Noi possiamo definire quello che fanno dannoso o utile, ma bene e male appartengono a noi, che compiamo una scelta, decidiamo cosa fare. I draghi sono pericolosi, sì. Possono nuocere. Ma non sono malvagi. Sono al di sotto della nostra moralità, per così dire, come qualsiasi animale. O al di là. Non hanno nulla a che fare con la moralità… Noi dobbiamo compiere delle scelte, in continuazione. Agli animali basta esistere e fare. Noi siamo aggiogati, e loro sono liberi. Quindi, essere con un animale significa conoscere un poco di libertà… La notte scorsa, stavo pensando che le streghe spesso hanno un animale come compagno. Mia zia aveva un vecchio cane che non abbaiava mai. Lo chiamava Vaiavanti. E l’arcimago Nemerle, la prima volta che giunsi a Roke, aveva un corvo che lo seguiva ovunque. E ho pensato a una giovane che un tempo conoscevo, che come bracciale portava una piccola lucertola-drago, una harreki. E così alla fine mi sono ricordato del mio otak. Allora ho pensato che se Alder ha bisogno del calore di un tocco per rimanere da questa parte del muro, perché non provare con un animale? Dato che loro vedono la vita, non la morte. Forse un cane o un gatto è efficace quanto un maestro di Roke…
L’idea di Ged si rivelò valida. Il micino, evidentemente felice di avere abbandonato una casa infestata di cani, gatti, galli, e l’imprevedibile Erica, si sforzò di dimostrare che era un animale affidabile e diligente, perlustrando la casa in cerca di topi, stando appollaiato sulla spalla di Alder sotto i suoi capelli quando gli era consentito, e accovacciandosi ronfante a dormire sotto il suo mento non appena il suo padrone si fu coricato. Alder dormì tutta la notte senza sognare, e al risveglio trovò il gattino seduto sul proprio petto, intento a lavarsi le orecchie con un’aria tranquilla e virtuosa.
Quando Sparviere provò a stabilire se fosse maschio o femmina, però, il micio ringhiò e si dibatté. — Va bene — disse il vecchio, affrettandosi a ritrarre la mano. — Come vuoi… O è maschio o è femmina. Questo è certo.
— Non gli metterò nessun nome, in ogni caso — fece lui. — I micini si spengono come fiammelle di candela. E se gli si mette un nome, poi si soffre di più quando muoiono.
Quel giorno, su suggerimento di Alder, andarono a riparare la staccionata, camminando lungo il recinto del pascolo delle capre, Sparviere all’interno, l’altro all’esterno. Quando uno dei due trovava un punto dove le assicelle mostravano segni di marciume o i legacci stavano cedendo, Alder passava le mani lungo il legno, tirando, lisciando e rafforzando, intonando una cantilena quasi impercettibile che gli risuonava in gola e nel petto, la faccia rilassata e assorta.
Una volta il vecchiardo, osservandolo, mormorò: — E io un tempo davo tutto quanto per scontato!
Il suo ospite, assorbito dal proprio lavoro, non gli chiese cosa intendesse dire.
— Ecco — annunciò. — Adesso resisterà. — E proseguirono, seguiti dalle due capre curiose, che spingevano e prendevano a testate i tratti di staccionata riparati, quasi volessero saggiarne la solidità.
Sparviere disse: — Ho pensato che forse sarebbe bene che tu andassi a Havnor.
Alder lo guardò, allarmato. — Ah… io pensavo che forse, visto che adesso pare abbia trovato il modo di stare lontano da… da quel luogo… forse potrei tornare a casa, a Taon. — Mentre lo diceva, però, si rese conto di non essere affatto convinto delle proprie parole.
— Potresti, ma non credo che sarebbe una cosa saggia.
Riluttante, il giovane ammise: — È pretendere troppo, sperare che un gattino difenda un uomo dalle orde dei morti.
— Sì.
— Ma io… cosa dovrei fare a Havnor? — chiese. E, di colpo speranzoso, soggiunse: — Tu verresti con me?
Ged scosse il capo. — Io resto qui.
— Il maestro strutturatore…
— Ti ha mandato da me. E io ti mando dalle persone che dovrebbero sentire il tuo racconto e scoprire cosa significhi… Vedi, Alder, penso che in cuor suo lo strutturatore creda che io sia quel che ero. Crede che io stia semplicemente nascondendomi qui nelle foreste di Gont, e che in caso di estremo bisogno accorrerò. — Il vegliardo guardò i propri indumenti macchiati di sudore e rattoppati, le scarpe impolverate, e rise. — In tutto il mio splendore — disse.
— Beeehhh - fece la capra marrone dietro di lui.
— Comunque, Alder, lo strutturatore ha fatto bene a mandarti qui, dato che lei sarebbe stata qui, se non fosse andata a Havnor.
— Lady Tenar?
— Hama Gondun. Così l’ha chiamata lo strutturatore stesso — rispose Ged, guardando Alder dall’altra parte della staccionata, gli occhi insondabili. — Una donna a Gont. La donna di Gont. Tehanu.
2
Palazzi
Quando Alder giunse al porto, la Farflyer era ancora ormeggiata al molo e prendeva a bordo un carico di legname; lui sapeva di non essere un passeggero gradito in quella nave. Salì su una piccola e malconcia imbarcazione costiera, ormeggiata vicino alla Farflyer, la Pretty Rose.