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Fu da quei commercianti fuorilegge che giunsero le prime notizie dell’ascesa del sommo re.

A Hur-at-Hur, la grande e povera isola all’estremità orientale delle terre dei Karg, un signore della guerra, Thol, sostenendo di discendere da Thoreg di Hupun e dal dio Wuluah, si era proclamato sommo re di quel territorio. Aveva poi conquistato Atnini, e in seguito, con una flotta e un esercito invasore che comprendeva uomini di Hur-at-Hur e di Atnini, aveva rivendicato la sovranità della ricca isola centrale, Karego-At. Mentre i suoi guerrieri avanzavano combattendo verso Awabath, la capitale, gli abitanti della città insorsero contro la tirannia del dio-re. Massacrarono i sommi sacerdoti, cacciarono i burocrati dai templi, spalancarono le porte, e accolsero felici re Thol sul trono di Thoreg con vessilli e danze nelle strade.

Il dio-re fuggì con i superstiti delle sue guardie e dei suoi sacerdoti nel Luogo delle tombe ad Atuan. Là nel deserto, nel tempio vicino alle rovine devastate dal terremoto del sacrario degli Innominabili, uno dei sacerdoti eunuchi tagliò la gola al dio-re.

Thol si proclamò sommo re delle Quattro terre dei Karg. Non appena ne ebbe notizia, Lebannen inviò degli ambasciatori a salutare il fratello sovrano e assicurarlo delle intenzioni amichevoli dell’Arcipelago.

Seguirono cinque anni di difficile e logorante diplomazia. Thol era un uomo violento su un trono minacciato. Nello sfacelo della teocrazia, il controllo nel suo regno era incerto, tutta l’autorità era traballante. Dei sovrani minori continuavano ad autoproclamarsi tali, e bisognava placarli con la corruzione o ridurli all’obbedienza sconfiggendoli. Da sacrari e caverne uscivano membri di sette che gridavano: "Guai ai potenti!" e predicevano terremoti, maremoti, calamità ai deicidi. Governando un impero agitato e diviso, Thol non poteva certo fidarsi dei ricchi e potenti arcipelagici.

Non significava nulla per lui il fatto che il loro re parlasse di amicizia, agitando l’Anello della pace. I Karg non avevano forse diritto a quell’anello? Era stato forgiato nell’antichità in Occidente, ma molto tempo addietro re Thoreg di Hupun lo aveva accettato in dono dall’eroe Erreth-Akbe, un segno di amicizia tra le terre kargiche e hardiche. Era scomparso, e c’era stata guerra, non amicizia. Ma poi il mago Sparviere aveva trovato l’anello e lo aveva rubato, insieme alla sacerdotessa delle tombe di Atuan, portando entrambi a Havnor. Questo dimostrava la reale fidatezza degli arcipelagici.

Tramite i suoi inviati, con pazienza e con garbo, il re fece notare che l’Anello della pace, in primo luogo, era stato un dono di Morred a Elfarran, un caro simbolo del re e della regina più amati dell’Arcipelago. E anche un oggetto sacro, perché su di esso c’era la runa del Vincolo, un potente incantesimo di benedizione. Circa quattro secoli prima, Erreth-Akbe lo aveva portato nelle terre dei Karg come pegno di pace inviolabile. Ma i sacerdoti di Awabath avevano violato la pace e rotto l’Anello. Poi, una quarantina d’anni addietro, grazie a Sparviere di Roke e Tenar di Atuan, l’Anello era tornato integro. Perché non parlare di pace, dunque?

Quella era la sostanza dei messaggi inviati da Lebannen a re Thol.

E un mese prima, subito dopo la Lunga danza dell’estate, una flotta di navi aveva solcato il passaggio di Felkway, attraversato lo stretto di Ebavnor, entrando infine nella baia di Havnor: lunghe navi rosse dalle vele purpuree, con a bordo guerrieri piumati, emissari dalle vesti sontuose, e alcune donne velate.

"Che la figlia del sommo re Thol, seduto sul trono di Thoreg e discendente di Wuluah, porti l’Anello della pace sul proprio braccio, come lo portava la regina Elfarran di Solea, e che questo sia il segno di pace eterna tra le isole Occidentali e Orientali".

Quello era il messaggio inviato dal sommo re a Lebannen. Era scritto in grandi rune hardiche su un rotolo di pergamena, ma prima di consegnarlo al re, l’ambasciatore di Thol lo lesse a voce alta, in pubblico, al ricevimento degli emissari alla corte di Havnor, con l’intera corte presente per rendere onore agli inviati dei Karg. Fu forse perché l’ambasciatore in realtà non sapeva leggere l’hardico, e recitò le parole a memoria, ad alta voce e lentamente, ma in ogni caso, quelle parole avevano il tono di un ultimatum.

La principessa non disse nulla. Era immobile tra le dieci ancelle o schiave che l’avevano accompagnata a Havnor e lo stuolo di dame di corte che erano state incaricate frettolosamente di badare a lei e renderle onore. La principessa era velata, interamente velata, come usavano a quanto pareva le donne di buona famiglia a Hur-at-Hur. I veli, rossi con ricami dorati, scendevano da una specie di copricapo a tesa piatta, e la principessa sembrava una colonna rossa, un pilastro cilindrico, informe, immobile, silenzioso.

— Il sommo re Thol ci onora grandemente — disse Lebannen, la voce chiara e pacata; poi s’interruppe. La corte e gli emissari attesero. — Sei la benvenuta qui, principessa — riprese, rivolto alla figura velata. La colonna di veli rossi non si mosse.

— La principessa alloggerà nella Casa del fiume, e ogni suo desiderio sia esaudito — ordinò.

La Casa del fiume era uno splendido palazzetto all’estremità settentrionale della città, inserito nelle vecchie mura, con terrazze affacciate sul piccolo fiume Serrenen. L’aveva fatta costruire la regina Heru, e spesso veniva chiamata la Casa della regina. Quando era salito al trono, Lebannen l’aveva fatta restaurare e riarredare, insieme al palazzo di Maharion, chiamato il Nuovo palazzo, che ospitava la corte. Usava la Casa del fiume solo per le festività estive, e a volte per appartarsi in pace qualche giorno.

Una lieve agitazione percorse la schiera di cortigiani. La Casa della regina?

Dopo i rituali convenevoli con gli emissari stranieri, il re lasciò la sala delle udienze. Andò nel proprio spogliatoio, dove poteva godere di tutta la solitudine concessa a un sovrano, in compagnia del suo vecchio servitore, Quercia, che conosceva da una vita.

Sbatté sul tavolo il rotolo di pergamena indorato. — Formaggio in una trappola per topi — sbottò. Stava tremando. Estrasse il pugnale che portava sempre al fianco e trafisse il messaggio del sommo re. — La gatta nel sacco. Merce da comprare alla cieca. L’Anello sul braccio della principessa, e io con il collare al collo.

Quercia lo fissò perplesso e sbigottito. Il principe Arren di Enlad non aveva mai perso le staffe. Da bambino, talvolta piangeva per un attimo, un singhiozzo amaro, poi tutto finito. Era troppo ben educato e ben disciplinato per cedere alla collera. E come re, un re che aveva ottenuto il proprio regno attraversando la terra dei morti, poteva essere severo, ma era sempre, pensava Quercia, troppo orgoglioso, troppo forte per arrabbiarsi.

— Non si serviranno di me! — disse Lebannen, calando di nuovo il pugnale, il volto talmente minaccioso e furioso che il vecchio servitore si ritrasse spaventato.

Il re lo vide. Vedeva sempre le persone attorno a lui.

Rinfoderò il pugnale. Con voce più controllata, disse: — Quercia, giuro che preferisco distruggere Thol e il suo regno piuttosto che permettergli di usarmi come poggiapiedi del suo trono. — Poi trasse un respiro profondo e si sedette per consentire al servitore di togliergli dalle spalle la pesante e preziosa veste da cerimonia.

Quercia non raccontò mai a nessuno una sola parola dello sfogo cui aveva assistito, ma naturalmente ci furono immediate e continue congetture circa la principessa dei Karg e quello che il re avrebbe fatto riguardo a lei… o quello che forse aveva già fatto.

Lebannen non aveva detto di accettare l’offerta della principessa come sua sposa. Tutti erano d’accordo che la ragazza gli era stata offerta in sposa; l’accenno all’Anello di Elfarran celava a stento l’offerta, o l’affare, o la minaccia. Ma non aveva neppure rifiutato. La sua reazione, analizzata di continuo, era stata quella di dire che la principessa era la benvenuta, che bisognava esaudire ogni suo desiderio, e che avrebbe alloggiato alla Casa del fiume: la Casa della regina. Un particolare di certo significativo? D’altro canto, però, perché non nel Nuovo palazzo? Perché mandarla dalla parte opposta della città?