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— E per una ragazza — commentò Tosla.

Questa volta, Onice gli scoccò un’occhiata gelida. — Appunto — disse. Trascorsi parecchi istanti, riprese la storia. — Per farla breve, dunque, quando Thorion mandò alcuni di noi dalla ragazza per costringerla a lasciare l’isola, lei lo sfidò a incontrarla quella sera sul poggio di Roke. Thorion andò, e chiamò la ragazza con il suo nome perché gli obbedisse. "Irian" la chiamò. Ma lei disse: "Non sono solo Irian" e mentre parlava cambiò. Divenne… assunse la forma di un drago. Toccò Thorion, e il suo corpo crollò nella polvere. Poi lei salì il colle, e osservandola, noi non sapevamo se ciò che vedevamo fosse una donna che ardeva come fuoco o una bestia alata. Ma sulla cima la vedemmo chiaramente, un drago simile a una fiamma rossa e d’oro. E lei alzò le ali e volò verso ovest.

La voce del mago si era fatta sommessa, e il suo volto era colmo dello sgomento suscitato dal ricordo. Nessuno parlò.

Onice si schiarì la voce. — Prima che lei salisse la collina, il nominatore le chiese: "Chi sei?". Lei affermò di non conoscere l’altro nome. Lo strutturatore le parlò, chiedendole dove sarebbe andata e se sarebbe tornata. Lei disse che sarebbe andata oltre l’Ovest, a imparare il nome dalla sua gente, ma che se lui l’avesse chiamata sarebbe accorsa.

Nel silenzio, una voce debole, rauca, come metallo che sfiorasse metallo, parlò. Alder non capì le parole, però gli parvero familiari, come se riuscisse quasi a ricordarne il significato.

Tehanu si era avvicinata al mago e gli stava accanto, in piedi, china su di lui, tesa come un arco. Era stata lei a parlare.

Sorpreso e spaventato, il mago la fissò, si alzò, arretrò d’un passo, poi controllandosi disse: — Sì, furono quelle le sue parole: "La mia gente, oltre l’Ovest".

— Chiamala. Oh, chiamala — sussurrò lei, tendendo le mani verso di lui. Il mago indietreggiò ancora, involontariamente.

Tenar si alzò e mormorò alla figlia: — Che c’è, che c’è, Tehanu?

La ragazza fissò tutti. Alder ebbe la sensazione di essere un fantasma attraversato da quello sguardo. — Chiamala qui — disse lei. Si rivolse al re. — Puoi chiamarla?

— Non ho un simile potere. Forse lo strutturatore di Roke… forse tu stessa…

La giovane scosse il capo violentemente. — No, no, no, no — bisbigliò. — Io non sono come lei. Io non ho ali.

Lebannen guardò Tenar, quasi a chiedere soccorso. La madre guardò infelice la figlia.

La ragazza si girò verso il re. — Mi dispiace — si scusò, compassata, con la solita vocetta aspra. — Devo stare sola, signore. Penserò a quel che ha detto mio padre. Cercherò di rispondere alle domande che ha posto. Ma devo stare sola, per favore.

Il sovrano fece un cenno di assenso e lanciò un’occhiata a Tenar, che andò subito dalla figlia e la cinse con un braccio; le due donne si allontanarono sul sentiero soleggiato che passava accanto agli stagni e alle fontane.

I quattro uomini tornarono a sedersi e non dissero nulla per qualche minuto.

Poi Lebannen disse: — Avevi ragione, Onice — e agli altri: — Maestro Onice mi ha raccontato questa storia della donna-drago Irian dopo che io gli avevo raccontato alcune cose di Tehanu. Da bambina, Tehanu chiamò il drago Kalessin a Gont, e parlò con il drago nella Vecchia lingua, e Kalessin la chiamò figlia.

— Sire, questo è molto strano, è un’epoca strana, se un drago è una donna e una ragazza incolta parla nella Lingua della creazione! — Onice era profondamente scosso, spaventato. Alder se ne rese conto, e si chiese come mai lui non provasse una paura simile. Probabilmente, perché non ne sapeva abbastanza per avere paura, o perché non sapeva cosa temere, rifletté.

— Ma ci sono vecchie storie — disse Tosla. — Non le avete sentite a Roke? Forse i vostri muri le tengono fuori. Sono solo storie che racconta la gente semplice. Canzoni, anche. C’è una canzone marinata, La Fanciulla di Belilo, che parla di un marinaio che lasciava in ogni porto una bella ragazza in lacrime, finché una di quelle graziose figliole inseguì la nave del marinaio volando con ali d’ottone, lo ghermì e lo divorò.

Onice guardò disgustato Tosla. Ma Lebannen sorrise e disse: — La donna di Kemay… Il vecchio maestro dell’arcimago, Aihal, chiamato Ogion, raccontò a Tenar di quella donna. Era una vecchia campagnola, e viveva come tale. Invitò Ogion nella sua casupola e gli servì zuppa di pesce. Gli disse che uomini e draghi un tempo erano stati una cosa sola. Lei stessa era un drago oltre che una donna, ed essendo un mago, Ogion la vide come un drago… Come tu vedesti Irian, Onice.

Parlando con sussiego e rivolgendosi solo al sovrano, Onice disse: — Quando Irian ebbe lasciato Roke, il maestro nominatore ci mostrò alcuni passaggi dei più antichi libri del sapere che erano sempre stati oscuri, ma che potevano essere interpretati come riferimenti sia a esseri umani sia a draghi. E a un litigio o un grande disaccordo tra loro. Ma nulla di tutto ciò si presta a una chiara comprensione.

— Speravo che Tehanu potesse chiarirlo — fece Lebannen. La sua voce era pacata, così Alder non capì se si fosse arreso o nutrisse ancora quella speranza.

Un uomo stava affrettandosi lungo il sentiero verso di loro, un soldato anziano delle guardie reali. Il sovrano si girò, si alzò, gli andò incontro. I due parlarono sottovoce per un minuto. Poi il soldato si allontanò, e il re tornò dai compagni. — Ci sono novità — annunciò, un tono di sfida di nuovo nella voce. — Nei cieli occidentali di Havnor, sono stati avvistati grandi stormi di draghi. Hanno incendiato intere foreste, e l’equipaggio di una nave costiera ha riferito che della gente in fuga verso Porto Sud ha raccontato che la città di Resbel sta bruciando.

Quella notte, la nave più veloce della flotta reale portò il re e il suo gruppo sulla sponda opposta della baia di Havnor, veleggiando rapida grazie al vento magico creato da Onice. Allo spuntar del giorno, giunsero alla foce del fiume Onneva, sotto i contrafforti del monte Onn. Con loro sbarcarono undici cavalli, splendidi e robusti animali delle stalle reali. Gli equini erano rari su tutte le isole, tranne a Havnor e Semel. Tehanu conosceva gli asini abbastanza bene, ma non aveva mai visto un cavallo prima d’allora. Aveva trascorso gran parte della notte con loro e gli stallieri, aiutandoli a controllare e calmare le bestie. Erano cavalli di razza docili, però non erano abituati ai viaggi in mare.

Quando giunse il momento di montarli, là sulle sabbie dell’Onneva, Onice era piuttosto spaventato, e gli stallieri dovettero istruirlo e incoraggiarlo, invece Tehanu si issò in sella con destrezza pari a quella del sovrano. Mise le redini nella mano offesa e non le usò; a quanto pareva, comunicava con la propria giumenta con altri mezzi.