— La foresta è in fiamme — le disse il re.
Vedeva solo il lato deturpato del volto della giovane, e aveva l’impressione di osservare una maschera cieca; ma Tehanu aveva visto benissimo, e la mano rattrappita che stringeva le redini stava tremando. La bambina bruciata temeva il fuoco, pensò lui.
Come aveva potuto essere così folle, vile e crudele, da chiedere a quella ragazza di andare a parlare ai draghi, di salvargli la pelle, portandola davanti alle fiamme?
— Torneremo indietro — annunciò.
Tehanu alzò la mano sana, indicando. — Guardate — disse. — Guardate!
La scintilla di un falò, un tizzone ardente sollevatosi sopra la linea nera del passo, un’aquila di fuoco libratasi in aria… un drago stava volando verso di loro.
Lei si drizzò sulle staffe e lanciò un grido lacerante, stridulo, simile al verso di un uccello marino o di un falco, ma era una parola, un’unica parola: — Medeu!
La grande creatura si avvicinò con una rapidità spaventosa, battendo quasi con indolenza le lunghe ali sottili; lontano dal riflesso del fuoco, adesso sembrava nera o color bronzo.
— Badate ai cavalli — avvertì rauca la ragazza, e in quel preciso istante il castrone grigio di Lebannen vide il drago e s’impennò, agitando la testa e indietreggiando. Il re era in grado di controllarlo, ma dietro di lui un cavallo emise un nitrito di terrore, e si udirono un calpestio di zoccoli e le voci concitate degli stallieri. Il mago Onice arrivò trafelato e si fermò accanto alla cavalcatura del sovrano. In sella o a terra, i membri del gruppo rimasero a osservare l’arrivo del drago.
Tehanu gridò nuovamente quella parola. Il drago cambiò direzione in volo, rallentò, si fermò e si librò nell’aria a una cinquantina di piedi da loro.
— Medeu! - ripeté. E la risposta giunse come un’eco prolungata: — Me-de-uuu!
— Che significa? — chiese Lebannen, piegandosi verso Onice.
— Sorella, fratello — sussurrò il mago.
La giovane era scesa da cavallo, aveva gettato le redini a Yenay, stava incamminandosi lungo il lieve pendio verso il punto in cui il drago si librava nell’aria con brevi e rapidi battiti d’ali, simili a quelli di un falco. Ma quelle ali avevano un’apertura di cinquanta piedi da un’estremità all’altra, e il loro battito produceva un rumore simile a colpi di timpano o a un acciottolio di oggetti metallici. Mentre la giovane si avvicinava, una piccola spira di fuoco scaturì dalla bocca aperta del drago, una bocca lunga dai denti enormi.
Tehanu alzò la mano. Non la snella mano bruna, bensì quella bruciata, rattrappita. Avendo il braccio e la spalla lesi, non era in grado di alzarla del tutto. Arrivava a stento all’altezza del capo.
Il drago scese leggermente nell’aria, abbassò la testa, e le toccò la mano con il muso scarno, svasato, scaglioso. Come un cane, un animale che salutasse e annusasse, pensò Lebannen; come un falco che si posasse sul polso del falconiere; come un re che s’inchinasse a una regina.
La giovane parlò, il drago parlò; conversarono brevemente, le voci simili a un fremito di cembali. Un altro scambio di frasi, una pausa; il drago parlò a lungo. Onice ascoltò attentamente. Ancora uno scambio di battute. Un filo di fumo dalle narici del drago; un gesto lento e imperioso della mano offesa di Tehanu. Due parole pronunciate in modo chiaro da lei.
— Portala qui — tradusse il mago in un sussurro.
Il drago batté forte le ali, abbassò la lunga testa e sibilò, parlò di nuovo, poi balzò alto nell’aria, sovrastandola, si girò, volteggiò, e volò come una freccia a ovest.
— L’ha chiamata figlia del Maggiore, del Più anziano — mormorò il mago, mentre quella immobile osservava il drago allontanarsi.
La giovane si girò, una figura piccola e fragile in quella grande distesa di colline e foreste lambita dalla luce grigia dell’alba. Lebannen smontò da cavallo e si affrettò a raggiungerla. Pensava di trovarla esausta e terrorizzata, e tese la mano per aiutarla a camminare, ma lei gli sorrise. Il suo volto, per metà orribile per metà bellissimo, era raggiante, soffuso dalla luce rossa di un sole che doveva ancora sorgere.
— Non attaccheranno più. Aspetteranno sulle montagne — annunciò.
Poi però si guardò attorno come se non sapesse dov’era, e quando il sovrano le prese il braccio si lasciò aiutare; ma il fuoco e il sorriso continuarono a illuminarle il viso, e i suoi passi erano leggeri.
Mentre gli stallieri badavano ai cavalli, che stavano già brucando l’erba rorida, Onice, Tosla e Yenay l’attorniarono, pur tenendosi a rispettosa distanza. Onice disse: — Mia signora Tehanu, non ho mai visto un gesto così coraggioso.
— Nemmeno io — disse Tosla.
— Avevo paura — confessò lei, con quella voce da cui non traspariva alcuna emozione. — Ma l’ho chiamato fratello, e lui mi ha chiamato sorella.
— Non sono riuscito a capire tutto quello che avete detto — fece il mago. — Non conosco la Vecchia lingua come la conosci tu. Vuoi raccontarci come si è svolto il vostro incontro?
Lei parlò lentamente, gli occhi rivolti a ovest dov’era volato il drago. Il rosso cupo dell’incendio lontano stava sbiadendo via via che a est la luce cresceva. — Ho chiesto: "Perché bruciate l’isola del re?". E lui ha risposto: "È tempo di riprenderci le nostre terre". E io ho chiesto: "L’anziano vi ha ordinato di usurparle con il fuoco?". Allora lui ha detto che l’anziano, Kalessin, era andato con Orm Irian oltre l’Ovest per volare sull’altro vento. E che i giovani draghi rimasti qui sui venti del mondo dicono che gli uomini sono violatori di giuramenti e che hanno rubato le terre dei draghi. Sono convinti che Kalessin non tornerà più, e non vogliono più aspettare, vogliono cacciare gli uomini da tutte le terre occidentali. Ma di recente Orm Irian è ritornata, ed è a Paln, mi ha detto. E io gli ho detto di chiederle di venire. E lui ha risposto che Orm Irian sarebbe venuta dalla figlia di Kalessin.
3
Il consiglio del drago
Dalla finestra della sua stanza a palazzo, Tenar aveva osservato la nave che salpava e si allontanava nella notte con a bordo Lebannen e sua figlia. Non era andata al molo con lei. Era stato arduo, molto arduo, rifiutarsi di accompagnarla in quel viaggio. Tehanu l’aveva supplicata, lei che non chiedeva mai nulla. Non piangeva mai, non poteva piangere, però il suo respiro era diventato affannoso mentre singhiozzava: — Ma non posso andare, non posso andare da sola! Vieni con me, mamma!
— Amore, tesoro, se potessi risparmiarti questa paura lo farei, non capisci che non posso? Ho fatto quel che potevo per te, mia fiamma radiosa, mia stella. Il re ha ragione… solo tu, tu sola, puoi riuscire in questa impresa.
— Ma se tu fossi là, se io sapessi di averti con…
— Io sono qui, sono sempre qui. Se venissi, sarei soltanto d’intralcio. Dovete viaggiare veloci, sarà un viaggio arduo. Io vi rallenterei. E tu potresti temere per me. Non hai bisogno di me. Non posso esserti utile. Devi impararlo, questo. Devi andare, Tehanu.
E si era allontanata dalla figlia, cominciando a scegliere gli indumenti che lei avrebbe dovuto portare, indumenti da casa, non gli abiti lussuosi che indossava la gente del palazzo: le sue scarpe robuste, il mantello buono… Se pianse durante i preparativi, fece in modo che la figlia non vedesse.
La giovane pareva disorientata, paralizzata dalla paura. Tenar le diede i panni per cambiarsi, e obbedì. Quando il luogotenente del re, Yenay, bussò e chiese di accompagnare damigella Tehanu al molo, lei lo fissò ammutolita.
— Vai, adesso — la esortò la madre. L’abbracciò e posò una mano sulle cicatrici che le segnavano mezza faccia. — Sei la figlia di Kalessin, oltre che figlia mia.